Adele, figlia (non riconosciuta) di Victor Hugo, è innamorata pazza di un militare. Ignorata, lo segue fino alle Barbados, dove però le dà di volta il cervello... Drammone sentimentale giocato da Truffaut su un registro quasi clinico: l'inesorabile discesa di Adele nell'abisso della pazzia, che diventa l'unica soluzione al suo amore inappagato, è seguita come al microscopio. Ne deriva una sensazione di gelo, e non aiuta l'antipatia invincibile della pur bella Adjani. Pesantuccio.
Il valore del film starebbe nello sguardo incredibilmente distaccato e oggettivante di Truffaut. Considerata la sua indole sentimentale, a fronte di un personaggio - Adele - che induce a facili trasporti emozionali, non è in effetti la scelta più scontata. Così il regista la insegue nel baratro dell'autismo, senza produrre echi e risonanze, con asciuttezza encomiabile, da credere che ciò che più ne emerge è un impeto trattenuto, un battito nel petto soffocato tra i cuscini, lo strazio e il disagio di non aver posato, in fine, se stesso. Tra i film più sopravvalutati del regista. Cauto.
Reso non lento dalla scelta di costruirlo con una sequenza di quadri sostanzialmente brevi, colpisce per la prestazione di una stupenda Isabelle Adjani, che richiama la pietà dello spettatore. Girato, ovviamente, benissimo, con tocchi di classe sopraffina.
Una storia d'amore, recita il furbesco titolo italiano. Un amore sbagliato semmai, non corrisposto, portato caparbiamente avanti dalla sua protagonista per sublimare la figura del padre perennemente assente che preferisce la sorella morta per annegamento. E di fatti Adele si immagina sempre di annegare, sogna di essere lei. Film freddo, glaciale, con una grande fotografia e tutto giocato sulla bella interpetazione della bellissima Adjani. Una biografia con molti elementi volutamente falsati. Come sempre ottima l'impaginazione visiva di Truffaut.
Splendido melodramma firmato da Truffaut, che continua a declinare le (ir)ragioni del cuore e lo fa con una classe e un'eleganza sopraffina, ma anche con un grande rigore emotivo che potrebbe lasciare basito chi in un film romantico cerca sdilinquimenti e svenevolezze assortite. A corroborare un ottimo risultato ci pensa una strepitosa Adjani, che incarna maestosamente la macerante follia amorosa del suo personaggio e l'eccellente fotografia "pittorica", firmata dal Premio Oscar Almendros.
Questo film è un melodramma per eccellenza, con l'ispirata e splendida Isabelle Adjani alla ricerca di essere ricambiata dell'amore che prova verso un tenente francese. L'amore che diventa ossessione e follia, la forza della donna che perderà tutto compresa la dignità senza mai mollare. Tutto il film poggia sulla grandissima prova recitativa della Adjani che mostra, negli sguardi ripresi in primo piano, un'intensità commovente. Scena finale da brivido.
MEMORABILE: "Per te ho calpestato tutto. Non ho più gelosia, non ho più orgoglio, ma non potendo avere il sorriso dell'amore mi condanno alla sua smorfia."
E' un film freddo, perché è Adele ad essere, contemporaneamente, invasata e fredda. E' capace di autorappresentarsi in un diario: osserva se stessa umiliata con lucido compiacimento. E le scene del film sono pagine del diario di Adele. Un film sull'ossessione che svela la fondamentale estraneità di ogni ossessione dal proprio oggetto. Pinson è un nome che Adele dà ad un altro dolore, un dolore soltanto suo. Nell'ultima scena, Adele guarda Pinson come se non lo conoscesse. Come un estraneo, che ha amato solo per il dolore che sapeva infliggerle.
MEMORABILE: L'ultima scena: la verità si rivela interamente nella follia.
Un sentimento totale, divorante, avvolgente, come poche altre volte il cinema ha saputo raccontare. Adele H. supera le barriere imposte dallo spazio e dalle convenzioni dell'epoca per inseguire l'unica uomo che desidera per sè; ne uscirà schiantata, nel cuore e nell'intelletto. Ancora una volta, Truffaut mostra un personaggio femminile "gigantesco", anche nei suoi errori, a confronto con uomini piccini, superficiali, meschini. Bellissima fotografia dai colori smorzati di Nestor Almendros. Cameo del regista in stile hitchcockiano.
MEMORABILE: Quella cosa incredibile da farsi per una ragazza [... ], passare dal vecchio mondo al nuovo per raggiungere il suo amante, quella cosa io la farò.
Incantevole e struggente trasposizione di una storia vera. Le estreme conseguenze psichiche di un amore non ricambiato vengono messe in scena con arte e raffinatezza da un Truffaut che utilizza uno stile essenziale ma molto efficace. Ha il solo difetto di accennare ed iniziare alcune scene senza concluderle. Bella l'ambientazione ed i costumi e bellissima la Adjani nella sua coinvolgente disperazione.
Un'ossessione amorosa condiziona irrimediabilmente la vita di una donna. La storia della figlia di Victor Hugo diventa nella mani di François Truffaut un magnifico melodramma totalmente incentrato sulla lucida follia del personaggio principale, interpretato magnificamente dalla Adjani, qui decisamente nel ruolo della vita. Di assoluto rilievo la fotografia.
Non c’è soluzione per l’ossessione di Adèle, non c'è legame famigliare che tenga. Il suo è un amore più forte di ogni altra cosa, un amore autodistruttivo e non corrisposto che lacera corpo e anima. Straordinario il percorso e lo stravolgimento sentimental-emotivo filmato da Truffaut, che anche grazie a un’intensa e sofferta prova della Adjani compone un melodramma a tinte glaciali che riflette tutta la masochistica follia di un bisogno tanto vitale quanto deleterio. Senza dubbio una delle migliori opere dell'autore francese.
I saggi di Truffaut sull’amour fou trovano fondamento concreto nella vera storia di Adèle Hugo e del suo amore patologico per il tenente inglese Pinson. La monotonia del soggetto preclude l’efficacia drammatica complessiva, che induce a convogliare l’interesse sull’eleganza della messa in scena d’epoca (la Nuova Scozia ottocentesca) e sull’interpretazione di Isabelle Adjani: gli sguardi, i dialoghi disperati, i monologhi folli, gli atti puerili e autodistruttivi di una giovane donna prigioniera di una passione insana e di un cognome troppo ingombrante. Femminile.
MEMORABILE: Gli incubi di Adèle; il numero di illusionismo con il complice nascosto tra il pubblico; Adèle alle Barbados, ormai ridotta all’ombra di se stessa.
A dispetto del fuorviante titolo italiano, quella di Adèle e Albert non è la storia di un amore ma di un viaggio (materiale e metaforico) ai limiti dell'ossessione e della follia. Notevole l'abilità di Truffaut nel dirigere i sentimenti dello spettatore lungo il film. All'inizio è facile simpatizzare per Adèle, sedotta e abbandonata dall'antipatico tenente inglese; ma col passare dei minuti ci si accorge che qualcosa non va e le parti si capovolgono. Da ricordare anche la bella fotografia e l'intensa interpretazione della Adjani. Notevole.
Un Truffaut minore, salvato in corner da un'Adjani eccezionale, che rende interessante un personaggio di per sé ben poco interessante e trattiene con forza al di qua della sponda del trash un melodrammone con storia, ritmi e dialoghi degni del più datato sceneggiato Rai. Il film migliora nell'ultima parte in cui la follia della protagonista si concretizza e la Adjani è libera di fare le prove per Possession, ma per il resto c'è poco da stare allegri, a partire dall'anonimo protagonista maschile. Confezione buona, che conferma la sufficienza.
Truffaut rende il melodramma uguale all'ossessione e sceglie la Adjani che rende una grande prova e regge sulle sue spalle l'intero film, che altrimenti finirebbe nel dimenticatoio (impossibile non intravedere i germi di ciò che darà in Possession...). Purtroppo i ritmi sono lenti, la sceneggiatura superficiale non esalta gli altri personaggi a partire dalla controparte maschile. Interessante l'aspetto "cosmopolita" del Canada e delle Barbados ottocentesche. Non più di due palle, poiché l'asetticità la fa da padrona in una storia sterile.
Isabelle Adjani è una perfetta Adele H, donna capace di qualsiasi cosa pur di riuscire a coronare un folle sogno d'amore. Proprio la grande interpretazione dell'attrice rappresenta uno dei punti di forza dell'operazione, che comunque può vantare anche una ricostruzione storica di prim'ordine e una bellissima fotografia. Truffaut fotografa la discesa agli inferi della protagonista quasi con occhio di entomologo, facendoci partecipi di un'ossessione che la condurrà al suo terribile e inevitabile destino.
La storia di Adele Hugo, figlia dello scrittore Victor, racconta uno scorcio di vita travagliata di una ragazza innamorata, illusa, dagli enormi problemi sociali e comportamentali, che con le sue ossessioni si spinge oltre il limite dell'accettabile. Bellissima l'atmosfera in costume e la regia esperta di Truffaut che riesce a far immedesimare nella disperazione della protagonista, interpretata in maniera impeccabile.
Come un cuscino di trine lacerato, si consuma la triste vita di Adele Hugo nell'organizzare il proprio delirio attorno all'amore non corrisposto di un giovane tenente. Truffaut si tiene lontano dal parteggiare per alcuno, mentre avrebbe giovato una più calda ed espressa partecipazione. Il finale ha più valore storico-agiografico e tronca subitaneamente il lavoro di scavo fin lì condotto. Come spesso per i suoi lavori, non si grida al miracolo.
Tra i grani più inquieti del rosario cine-letterario di Truffaut , impegnato, con l'ispirazione e l'applicazione che consustanziano il suo stile, a nutrire l'opera di immagini, parole, suoni, corpo, anima fino a farne qualcosa di pre-cinematografico, respingente, primordiale. Non è un caso che uno dei motivi della re-visione di un film così scostante e atavico stia nella farneticante verifica che l'abiezione di Adele (una Adjani che dimenticare non si può) possa non verificarsi, conoscere un rinsavimento e un riscatto dal suo delirio d'amore senza oggetto. Ossianico e disperante.
Oppressa dal peso di un cognome ingombrante, Adele insegue da un capo all'altro del mondo un uomo che esiste solo nella sua immaginazione, un ideale letterario più che una persona in carne ed ossa, e per questo è capace di amare irragionevolmente, prescindendo da ogni considerazione. Splendido melodramma che trova in Adjani una interprete implausibile perché troppo giovane e bella per il ruolo ma nello stesso tempo perfetta, con i suoi occhi febbrili ed il pallore della pelle di porcellana, come incarnazione di un'eroina romantica tragica destinata a perdersi nella follia.
Truffaut ci parla di una vita segnata dalla fatalità, prima nell’anima poi nel corpo; ci parla di Adele, bambola di porcellana che vaga come un fantasma, pervasa da un doloroso senso di fallimento, senza più amor proprio, senza più un sogno da realizzare. Gran film, in cui il timore del rifiuto e la conseguente perdita di sé sono disegnati con sottigliezza e senza alcun sensazionalismo. Isabelle Adjani, sul cui volto è riflesso un male di vivere indicibile, è semplicemente indimenticabile.
La storia vera della quinta e ultima figlia di Victor Hugo. Adèle abbandona la famiglia per inseguire in Canada un tenente inglese di cui è innamorata ma. nonostante ella sia la figlia di uno degli uomini più celebri del tempo, lui la sfugge. Nella realtà Adele Hugo non era così bella e aveva dieci anni di più di Isabelle Adjani, qui ventenne e splendida, ma il talento di Truffaut era tale che il film risulta egualmente verosimile. Ottimi ricostruzione scenografica, costumi e fotografia. Un film nello stile di Luchino Visconti.
La storia, tragicamente reale, di Adele Hugo, che Truffaut rende un po' più giovane ma che del suo incredibile percorso racconta fedelmente tutto. Perfetta la ricostruzione del periodo, bellissima la fotografia, angoscianti le sovraimpressioni polanskiane durante i sogni. Adjani, tanto bella quanto pazza, rimane indelebile nella memoria e fagocita tutti gli altri personaggi, tuttavia ben scritti, a partire dalla compassionevole padrona di casa interpretata dalla Marriott. Ennesima perla di cinema che in mani qualsiasi sarebbe parsa una telenovela.
Donna francese va in Canada a inseguire un tenente di cui è innamorata. Storia di un amore disperato con punte anche nerissime (gli incubi e la follia) in cui Truffaut fa digerire il clima dell'Ottocento. La Adjani è diabolica nel passare da lucida menzognera a stalker d'antan e regge gran parte del film. Truffaut è ineccepibile come inquadrature e rende fluida una storia apparentemente melensa.
MEMORABILE: Il cuscino per la gravidanza; Senza espressione alle Barbados; Il finto ipnotizzatore.
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*Il film è tratto dai diari di Adele Hugo (figlia del grande scrittore francese) che furono ritrovati nel 1955 e ricostruiti (poichè erano scritti in codice) da Frances Vernor Guille che collaborò anche alla sceneggiatura.
** A proposito della splendida fotografia, Truffaut disse al direttore Almanderos che bisognava fare in modo che il film sembrasse in un bianco e nero a colori
*** Truffaut appare brevemente nella parte di un soldato
**** Mi è molto piaciuta la recensione del Morandini di cui riporto un piccolo pezzo che ritengo molto importante (e condivisibile) per capire la natura del film (e a volte anche dell'amore):
" chi lo trovasse troppo freddo e distaccato, troppo intransigente nel suo tranquillo rigore, si può osservare che non è necessario essere romantici per raccontare una storia romantica. Talvolta, anzi, non si deve esserlo
Insomma come ho scritto nella mia recensione non è che quando si parla d'amore bisogna per forza fare gli scimuniti o snocciolare frasi banali da "bacio". Ovviamente è il mio parere personale.
Versione editata dalla MGM che presenta luci ed ombre: dal punto di vista visivo, infatti, il film è ottimo. Male vanno invece le cose per ciò
che riguarda l'audio che è solo mono sia per l'italiano che per le altre lingue. Per sentire
bene ho dovuto alzare quasi al massimo l'audio del mio lettore dvd. Non credo se ciò sia un bene. A ciò si aggiunga pure che l'unico extra disponibile è il trailer cinematografico in francese. Se non altro però il prezzo non è molto alto. Si può trovare intorno ai 10 euro ma
anche a meno (magari sfruttando un'offerta).
Non ho ancora visto questo film, però ho letto di esso in uno studio psicologico che tratteggia quello che viene definito amor fou, passione senza limiti, prerogativa che va per la maggiore tra alcune di noi donzelle.
Ricordo che questo film veniva citato a perfetto paradigma di ciò che alla fine amore non è, in quanto molte donne, come Adele, si costruiscono un'immagine idealizzata dell'amato che per lo più non corrisponde a realtà, al punto da NON VEDERE ciò che in realtà accade, ovvero il rifiuto o peggio, l'indifferenza da parte dell'oggetto d'amore, per continuare a vivere in un mondo a parte, dove si avverano i desideri.
Direttamente dall'archivio privato di Buiomega71, il flanetto di Tv Sorrisi e Canzoni della Prima Visione Tv (Ciclo: "La mia droga si chiama cinema", giovedì 24 ottobre 1985) di Adele H., una storia d'amore: