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TITOLO INSERITO IL GIORNO 29/04/09 DAL BENEMERITO SAINTGIFTS
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Saintgifts 29/04/09 22:37 - 4098 commenti

I gusti di Saintgifts

Tratto dal romanzo di Moravia e presentato al Festival di Venezia nel 1998. L'incomunicabilità tra i due protagonisti, la giovane e formosa Cècilia e il depresso Martin, è il centro del film. Rapporti sessuali quotidiani senza coinvolgere l'amore, poi, quando appare un altro uomo a cui Cècilia si concede, scatta nel protagonista una forma morbosa di gelosia e di possesso. Ma Cècilia, generosa nell'offrire il proprio corpo, dimostra impenetrabilità per quello che sono i suoi sentimenti. Il film riesce a trasmettere l'angoscia del protagonista.
MEMORABILE: Nel finale, la madre di Cècilia che dice: "Cècilia non ama nessuno".

Lucius 21/07/09 10:05 - 3015 commenti

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Poteva essere un bel film date le premesse della sceneggiatura e le prime sequenze, ma poi affonda nel biechismo più profondo. Emergono diverse carenze psicologiche soprtattutto del protagonista maschile che non riesce a rendere convincente il suo sentimento, o meglio l'evolversi dello stesso, fino a trasformarsi in pura ossessione per la generosa (nelle forme) Cècilia. Finale completamente da rifare, per nulla credibile.

Pinhead80 22/10/10 20:51 - 4769 commenti

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Quello che, in un primo momento, sembra solo essere un gioco, un modo di evadere dalla depressione, si trasforma per il protagonista in una vera e propria ossessione. Il sesso spogliato di qualsiasi valenza viene mano a mano caricato di significati come possesso e inquietudine. Il senso di angoscia aleggia su tutta la pellicola.
MEMORABILE: Sophie Guillemin che si riveste dopo aver fatto sesso.

Giacomovie 21/09/12 12:28 - 1398 commenti

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C'è spessore psicologico in questo interessante film che narra dell'incontro-scontro di due personalità agli antipodi. Lui ipercritico e frustrato; lei semplice e sempliciotta, emblema della vita basata sui piccoli piaceri. L'unico punto di contatto diventa quello fisico, che per lei resta sempre spontaneo e naturale, per lui alimenta invece il turbinìo delle sue ossessioni. Tema delicato condotto con competenza e linearità, grazie anche a degli attori ben scelti. Specialmente la Guillemin, che contrappone al fisico carnale un viso innocente.

Schramm 25/05/15 13:41 - 3495 commenti

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Khan tesaurizza alla grandissima la ben metabolizzata lezione zulawskiana: dialoghi concitati, situazioni beckettiane, risonanza filosofica applicata alla patologia e viceversa, psicologismi banditi. L’anedonia dei sensi a cavalcioni sulla schiena di una pansessualità (p)ossessiva che tutto cannibalizza e oggettualizza, veicolata da una mdp a tratti caffeinomane e da sprazzi di humor allucinato. Il tutto applicato all’acida amarezza di Moravia e sorpassando a sinistra Damiani. Chiedere oltre sarebbe ingrato.

Beffardo57 27/02/18 22:31 - 262 commenti

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Trentacinque anni dopo il film di Damiano Damiani: siamo a Parigi questa volta e il protagonista è diventato un piccolo intellettuale, vagamente ridicolo, un filosofo che tenta sempre di concettualizzare, alle prese con una ragazzona pesante e malvestita, fisicamente attraente, però estranea e incomprensibile. La narrazione scorre sul filo del grottesco, molto meno seriosa rispetto al precedente, che tuttavia risulta più interessante soprattutto per l'ambientazione e lo stile degli ormai remoti (e quindi esotici) anni sessanta. Sfugge il senso di un remake che intende attualizzare la vicenda.

Buiomega71 26/09/20 01:12 - 2914 commenti

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Kahn rilegge Moravia e rifà Damiani (che era più algido e necessariamente meno carnale), con uno sguardo all'Ultimo tango bertolucciano. Ne esce un film nervoso, a volte cinico, un po' noioso (negli sproloqui deliranti e nelle domande insistenti di un Berling al tracollo della fobia ossessiva e sull'orlo della follia), pregno di febbricitante sensualità (nelle curve burrose della Guillemin con quella sua espressione da ragazzina e quella sua innata indifferenza, che però non taglia come la Spaak) e con un finale allucinato (l'incidente). Intinto nellla tipica francesità d'auteur.
MEMORABILE: L'insaziabile fame sessuale di Martin verso Cècilia; Il padre con il tumore alla gola e i suoni gutturali; Sul viale notturno delle prostitute.

Enzus79 28/08/22 08:27 - 2903 commenti

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Tratto dal romanzo di Alberto Moravia: un docente universitario instaura un rapporto alquanto freddo e pieno di paradossi con una ragazzina. Tralasciando le differenze col libro, il film di Kahn delude per non saper trasmettere (se non a tratti) il nesso esistenziale della storia e si limita a proporre una normale romanzata d'amore e gelosie. Discretamente diretto. La Guillemin si ricorda più per il fisico da pin-up che per la sua interpretazione.

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  • Discussione Pinhead80 • 22/10/10 20:58
    Scrivano - 314 interventi
    Nel commento che ho appena redatto e, che verrà pubblicato, ho inserito come momento o frase memorabile quando Sophie Guillemin si riveste. Volevo specificare questa mia scelta (magari un lettore potrebbe chiedersi perchè abbia inserito il vestirsi piuttosto che lo svestirsi della protagonista), perchè secondo me in quel momento rende alla perfezione la sensazione di sesso/prassi anafettiva.
  • Discussione Buiomega71 • 26/09/20 11:10
    Consigliere - 26015 interventi
    Seconda versione del romanzo omonimo di Alberto Moravia, dove, pare, che Cedric Kahn sia rimasto più fedele al testo moraviano (ovviamente il libro non l ho letto) citando addirittura i testi scritti dallo scrittore romano nei dialoghi tra Berling e la Guillemin.

    Con lievi differenze dal film di Damiano Damiani (il protagonista non è più pittore ma un professore di filosofia con velleità da scrittore, al posto della madre ingombrante e possessiva di Bette Davis c'è l'ex moglie a cui confida tutti i particolari della sua relazione sessual/ amorosa ossessiva  con Cecilia-un pò come farà, invertendo i ruoli, Fanny Ardant con Michele Placido ne L'odore del sangue-in Damiani la decisone di lasciare la ragazza viene meno quando il protagonista la vede a passeggio per Roma insieme ad un altro ragazzo, in Kahn è una telefonata e un appuntamento mancato a far vacillare le sicurezze dell'uomo, non c'è più la grande villa materna e non viene presa in considerazione la sequenza della ragazza nuda ricoperta di soldi e il finale si prende le sue libertà rispetto a quello messo in scena da Damiani. Eppoi, ma quì è un fattore di epoche e di ferree leggi censoree, Kahn da libero sfogo ai congressi carnali tra i due, con una serie di amplessi reiterati e prolungati, dove in Damiani erano solo accennati per ovvie ragioni proibitive e, di contro, Damiani pareva un tantino più morbosetto, ritraendo il pittore come una specie di libertino pedofilo, mentre Kahn lo dipinge come un sessantenne sessuomane con il volto del regista indipendente Robert Kramer-non si capisce poi perchè doppiato in italiano con accento francese- e via le fotografie di nudo delle ragazzine del trattato damianesco, piuttosto ardite per gli inizi degli anni 60,  che per Kahn diventano solo dipinti di corpi femminili nudi in varie pose e che mancano di quel mood morboso così sottilmente sbattuto in faccia da Damiani).

    Ne esce così una seconda messa in scena cinematografica (riduttivo e annoso parlare di remake) piuttosto nervosa, febbrile, qualche volta cinica, altre un pò noiosetta (per dare rilevanza al titolo) negli spoloqui deliranti e nelle domande insistenti di Berling, nel suo continuo ricorrere freneticamente da un telefono all'altro, dove l'ossessione per Cecilia diventa malattia , gettando l'uomo sul tracollo della fobia e sul baratro della follia, tra gelosia e paranoia.

    Kahn ci mette dentro, anche, strascichi polanskiani, il Bertolucci dell'Ultimo tango e riverberi zulawskiani, dove il sesso irrompe sullo schermo, in una carnalità strabordante ma al contempo algida, dove Berling viene preso dalla foga schizofrenica di possedere Cecilia ovunque e in ogni istante, sempre con la voglia addosso che va di pari passo con la sua opprimente ossessione.

    Sequenza quasi identiche al film di Damiani (come quando Berling chiede alla ragazza di farle vari favori prima di fare all'amore, l'incontro con i genitori di lei e il padre ammalato di tumore alla gola che emette suoni gutturali) fino al prefinale al viale notturno delle mignotte, che si ammanta di luci inquiete e allucinate (l'impatto della BMW contro l'albero) e soprattutto la fredda e impenetrabile indifferenza della ragazza (Cecilia non vuole bene a nessuno) nel corpo burroso di una straordinaria Sophie Gullemin (terribili le scarpe che indossa però) , dove tutto le scivola addosso con glaciale vuoto interiore di cui non fa trapelare nessun tipo di sentimento che manco le donne robot della Fabbrica delle mogli (anche se la Spaak di Damiani era più tagliente e quintessenza della fredezza femminile), con sguardi e slanci da ragazzina banale e ignorante, ma di un distaccamento affettivo che mette inquietudine e disagio (si veda la sequenza delle crepes al parco).

    Di mezzo Cecilia che fa pipì davanti a Berling e si asciuga con la salvietta in mezzo alle gambe e la ripone, quando c'ha le sue cose e non può fare l'amore, al bankomat a prelevare 6 mila franchi (meno poetica e più pratica che ricoprire il corpo di bigliettoni da mille), Berling che la assale fisicamente nei momenti di rabbiosa gelosia, il magrebino biondo con cui Cecilia ha una relazione in concomitanza con Berling, la prostituta abbordata in macchina che prende le fantasmaticamente sembianze di Cecilia prima dell'impatto (in Damiani una semplice e disperata richiesta d'amore, in Kahn una fellatio dalle disastrose conseguenze).

    Una Parigi notturna, astratta e alienata (splendida la fotografia di Pascal Marti) al posto della Roma assolata e nostalgica di Damiani, Berling ( che si prodiga pure in nudi integrali frontali) meglio di Buchholz, la Gullemin, seppur intensa e carnosa, un pò più sotto alla Spaak e la regia (livida e incisiva nonchè, a volte, teatraleggiante)  tipicamente francese di Kahn distante da quella chirurgica di Damiani (ma quì è questione di stile personale) e l'ex moglie della Arielle Dombasle non fà rimpiangere troppo la madre cinica della Davis.

    Vive di certo realismo, di qualche snobbata, e di una ruvidezza narrativa che evita certo cinema francese da salotto, questa "nuova" Noia, che brilla nei "rabbiosi" rapporti sessuali, nella perdita della ragione del suo protagonista e nella femminiltà prorompente, sfuggente, apatica, impassibile e fisica della Gullemin.

    La noia c'è un pò, quà e là, ma ridestata da momenti di aspra vivacità e di odorosa sessualità.

    Difficile dire se sia meglio Damiani o Kahn, così vicini al testo moraviano, ma così distanti per stile, fattori epocali e cultura cinematografica.




    Ultima modifica: 26/09/20 15:56 da Buiomega71
  • Homevideo Buiomega71 • 26/09/20 15:25
    Consigliere - 26015 interventi
    Registrato, a  suo tempo, dalla vecchia Tele+16:9 nella primavera del 2000.

    Versione uncut (il divieto nelle sale era comunque ai 14 anni) per la durata di 1h, 58m e 46s

    Fuori catalogo (ma rintracciabile a prezzi modici) il dvd della Lucky Red.
    Ultima modifica: 26/09/20 15:26 da Buiomega71
  • Discussione Daniela • 30/09/20 02:52
    Gran Burattinaio - 5928 interventi
    Buiomega71 ebbe a dire:
    Seconda versione del romanzo omonimo di Alberto Moravia, dove, pare, che Cedric Kahn sia rimasto più fedele al testo moraviano (ovviamente il libro non l ho letto) citando addirittura i testi scritti dallo scrittore romano nei dialoghi tra Berling e la Guillemin.

    Indipendentemente dalle citazioni letterarie, il film di Damiani è più fedele al romanzo di Moravia di quello diretto da Kahn nella trama e questo è un dato oggettivo: la modifica della professione del protagonista e la sostituzione della figura della madre con quella dell'ex moglie non sono dettagli, ma cambiano in maniera decisiva le coordinate del personaggio stesso da giovane rampollo di una ricca famiglia con poche esperienze sentimentali alle spalle che si atteggia a pittore senza avere né talento né voglia a professore di filosofia maturo con un matrimonio fallito alle spalle.
    Se invece si parla di spirito del romanzo, si entra nel campo delle impressioni personali - a mio parere anche in questo campo Damiani è più fedele al testo letterario anche se giocoforza meno esplicito per quanto riguarda la sessualità - il che non è detto sia un problema.
    In un solo aspetto ho trovato il film di Kahn più aderente al romanzo, ossia nell'interpretazione del personaggio di Cecilia, che nella versione impersonata da Sophie Guillemin ha una opacità, un'indifferenza in fondo priva di calcolo ma non per questo meno intrinsecamente crudele, che non ho avvertito, almeno non nella stessa misura, nell'interpretazione di Catherine Spaak. 
    Ultima modifica: 30/09/20 03:06 da Daniela
  • Discussione Buiomega71 • 30/09/20 11:00
    Consigliere - 26015 interventi
    Daniela ebbe a dire:
    Buiomega71 ebbe a dire:
    Seconda versione del romanzo omonimo di Alberto Moravia, dove, pare, che Cedric Kahn sia rimasto più fedele al testo moraviano (ovviamente il libro non l ho letto) citando addirittura i testi scritti dallo scrittore romano nei dialoghi tra Berling e la Guillemin.

    Indipendentemente dalle citazioni letterarie, il film di Damiani è più fedele al romanzo di Moravia di quello diretto da Kahn nella trama e questo è un dato oggettivo: la modifica della professione del protagonista e la sostituzione della figura della madre con quella dell'ex moglie non sono dettagli, ma cambiano in maniera decisiva le coordinate del personaggio stesso da giovane rampollo di una ricca famiglia con poche esperienze sentimentali alle spalle che si atteggia a pittore senza avere né talento né voglia a professore di filosofia maturo con un matrimonio fallito alle spalle.
    Se invece si parla di spirito del romanzo, si entra nel campo delle impressioni personali - a mio parere anche in questo campo Damiani è più fedele al testo letterario anche se giocoforza meno esplicito per quanto riguarda la sessualità - il che non è detto sia un problema.
    In un solo aspetto ho trovato il film di Kahn più aderente al romanzo, ossia nell'interpretazione del personaggio di Cecilia, che nella versione impersonata da Sophie Guillemin ha una opacità, un'indifferenza in fondo priva di calcolo ma non per questo meno intrinsecamente crudele, che non ho avvertito, almeno non nella stessa misura, nell'interpretazione di Catherine Spaak. 
    Giusta osservazione. Non posso dire nulla a riguardo perchè non ho letto il testo moraviano, quindi me ne resto buono buono in pachina.

    Ma basandomi solo sulle due trasposizioni filmiche debbo dire che sia Damiani che Kahn (in maniera differente, sia per cultura per che per nazionalità) mi hanno parecchio soddisfatto. Il primo intinto nell'italianità degli anni 60 (oggi, per così dire, nostalgica), il secondo immerso nella sua francesità e nei rapporti carnali alla Ultimo tango, tanto realistici quanto asettici.

    Bravissima la Guillemin (che difficilmente si dimentica), ma la Cecilia della Spaak mi è parsa più algida e sfuggente. Ma anche quì due femminilità agli antipodi, boteriana una, di glaciale bellezza l'altra, che hanno in comune l'indifferenza e l'apatia dei sentimenti che il personaggio richiede.



    Ultima modifica: 30/09/20 18:00 da Buiomega71
  • Discussione Daniela • 30/09/20 17:55
    Gran Burattinaio - 5928 interventi
    Buiomega71 ebbe a dire:

    Bravissima la Guillemin (che difficilmente si dimentica), ma la Cecilia della Spaak mi è parsa più algida e sfuggente. Ma anche quì due femminilità agli antipodi, botteriana una, di glaciale bellezza l'altra, che hanno in comune l'indifferenza e l'apatia dei sentimenti che il personaggio richiede.
    E' vero, sono entrambe indifferenti e apatiche, ma nella Spaak questo mi è sembrato un atteggiamento attivo, quasi una scelta consapevole, mentre la Guillemin sembra lasciare che le cose le "accadano intorno", per questo la seconda mi ha maggiormente ricordato il personaggio del romanzo.
    Il che non vuol dire necessariamente che una reciti meglio dell'altra, in una trasposizione cinematografica il regista (ed in seconda battuta gli attori) sono ben liberi di dare una propria interpretazione - la storia del cinema dopotutto è piena di "tradimenti felici" dei testi letterari di partenza come di trasposizioni correttissime ed incredibilmente noiose.