il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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339788 commenti | 64264 titoli | 25502 Location | 12707 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Lubo (2023)
  • Luogo del film: La piazzetta dove Lubo (Rogowski) chiede a un artista di strada di suonare la sua fisarmonica
  • Luogo reale: Piazza Vittorio Emanuele III, Cannobio, Verbano-Cusio-Ossola
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  • Film: L'afide e la formica (2021)
  • Luogo del film: La via in cui si svolge l'allenamento in salita di Fatima (Parku), atto a potenziarne la forza musco
  • Luogo reale: Viale dei Mille, Lamezia Terme, Catanzaro
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Saverio Tani

    Saverio Tani

  • Francesca Florio

    Francesca Florio

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Reeves
L'ufficiale italiano astuto e pronto ad arrangiarsi e quello inglese signorile e bonario ma molto legato alla forma: i luoghi comuni non mancano in questo film che è però comunque divertente soprattutto grazie a Totò, mentre il suo antagonista Walter Pidgeon è un po' un pesce fuor d'acqua. Scilla Gabel è sempre una presenza notevole e Toni Ucci si ritrvoa in un ruolo che avrebbe potuto essere del primo Sordi.
Commento di: Piero68
Un film decisamente fuori dai canoni di Sollima ma di assoluto valore in cui alla sceneggiatura viene anteposta la scrittura, la caratterizzazione dei personaggi e tutte quelle cose che il cinema spesso perde di vista. Un Favino stratosferico e irriconoscibile svetta sul resto del cast, regalando una performance che già da sola varrebbe l'intero film. Ma oltre a questo coi sono la sceneggiatura, il tratteggio dei personaggi e una fotografia "apocalittica" estremamente azzeccata. Insomma, il film scorrerà pure "adagio", ma non c'è nulla da fare: la classe non è acqua.
Commento di: Pigro
Peccato che non ci sia scappato il morto, verrebbe da dire, considerato che questo episodio vede il detective Poirot non alle prese con un bell’omicidio ma più banalmente con un furto. Che comunque è parecchio strano e soprattutto fa riferimento allo spionaggio nel bel mezzo della corsa pre-bellica agli armamenti. Insomma, carne al fuoco ce ne sarebbe, ma il plot sembra avere poco respiro e tutto sommato, a parte qualche fiammata (anche reale), l’impressione è di non avere abbastanza verve per avvincere lo spettatore.
Commento di: Puppigallo
Onesto western sulla dura (persino letale) vita dei cowboy, inseguita da un ragazzo che non ha idea di cosa lo aspetti. La pellicola dice quello che deve dire, ovvero cosa può accadere a un gruppo di mandriani che devono attraversare terre selvagge e proprietà private, o presunte tali. Viene anche sottolineato il fatto che far coesistere gli stessi non è facile. E pur non risultando particolarmente originale, ha il pregio di durare il giusto e di caratterizzare i personaggi in maniera più o meno credibile, su tutti il protagonista, tanto entusiasta quanto novellino.
Commento di: Anthonyvm
Uno script dalla struttura curiosa (tre episodi separati, cronologicamente non sempre lineari, che convergono nell'atto finale), qualche onestissimo momento di tensione (la leggenda metropolitana della "statua di clown" viene inscenata con gusto) e un apprezzabile tentativo di coniugare sottogeneri diversi (dal road-thriller à la Radio killer al torture porn in salsa Saw, passando per lo slasher post-Craven) vengono inficiati da una sfilza di cliché, banalità e insensatezze tali da sfiorare la parodia. Sopportabile solo se preso come scervellato diversivo per maratone halloweenesche.
Commento di: Gabigol
Folk-horror ambientato in una ridente e soleggiata isola delle Ebridi. Hardy, coadiuvato dal lavoro di sceneggiatura di Shaffer, galleggia tra i più disparati registri: dalla fiaba nera al grottesco, senza lesinare in momenti surreali o fatidiche discese nell'incubo (finale). Cristianesimo e paganesimo si scontrano nella loro comune fede incrollabile (ottimi Woodward e Lee, duellanti ideologici) e il film stesso diventa virtuoso esempio di come l'horror viva prima di tutto di contesto e atmosfera. Molte le tribolazioni produttive e di censura per un film diventato cult.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Lo chiamavano “il biondino” degli 883; era il numero due, quello che dopo appena un paio di dischi con Max Pezzali e dopo aver co-fondato il celebre gruppo… nel 1993, all'apice del successo, lo abbandonò d'improvviso per trasferirsi in America e inseguire il suo sogno, quello di scrivere e girare un film con la modella Brandi (che mai aveva conosciuto né ebbe modo di conoscere). Fallì ogni obiettivo.

Questa è la storia che sanno un po' tutti, che ha sempre raccontato Repetto stesso renedendosi conto ogni giorno di più di essersi...Leggi tutto trasformato in una figura quasi eroica, donchisciottesca, nell'incarnazione di chi, abbandonando fama e denaro, si lancia nel vuoto per cercare di realizzare davvero se stesso infischiandosene di cosa si lascia alle spalle. Certo, c'era anche la consapevolezza di apparire per molti inadeguato alle spalle di un cantante e compositore straordinario come Max Pezzali, ma non era solo quello il motivo dell’abbandono e l'entusiasmo con cui il nostro spiega ogni passaggio funge da preziosa conferma.

Repetto, senza perdere un'oncia della sua verve giovanile nemmeno oggi che di anni ne ha 56, compie con grande umiltà un'autoanalisi lucida del complicato percorso intrapreso presentandosi a teatro per raccontare né più né meno che una parte della propria vita, la stessa parte che ha per anni ripetuto nelle interviste e in qualche sporadica partecipazione televisiva.

Sotto la regia di due autori d'eccezione come Stefano Salvati (dietro la mdp in tanti celebri videoclip, non solo degli 883) e Maurizio Colombi (produttore di musical teatrali di grande successo), Repetto porta in scena la sua storia corredandola con più di una buona idea. Innanzitutto quella principale, ovvero l'interpretazione live dei classici degli 883 cantati dalla voce "mai ascoltata" del gruppo. Da qui viene la più gradita delle sorprese: per quanto il talento vocale non sia lo stesso di Pezzali (la personalità e la particolarità uniche della voce di Max non si battono), Repetto dimostra di saper cantare bene, intonato, potente e di potersi riappropriare a pieno diritto di quelli che erano brani anche suoi con una grinta che gratifica la qualità di pezzi entrati nella storia della canzone italiana. Non solo l'Uomo Ragno ma anche "Rotta per casa di Dio", "Non me la menare", "Tieni il tempo", "Nella notte", "Sei un mito", "Nord Sud Ovest Est", "Come mai", "Con un deca" (in versione acustica seduto con la chitarra classica) e altre hit diventano un piacevolissimo modo di integrare la narrazione, supportata da tre schermi che proiettano immagini alle sue spalle.

Repetto racconta la propria storia in terza persona: lui e l'amico di sempre diventano Flash (lo chiamavano così per la reattività e l'entusiasmo) e Max, eroi in un'Italia che ritorna, in un Medioevo fumettistico, alla corte del Duca Claudio Cecchetto, contornato dalla sua cerchia di scudieri (Amadeus, Jovanotti, Linus, Sandy Marton, Tracy Spencer...). Max e Flash - che in un breve sketch realizzato con l'ausilio dell'Intelligenza Artificiale interagiscono giovani dai due schermi laterali con il Repetto di oggi che a loro si rivolge dal palco - diventano personaggi in costume disegnati sugli schermi alle spalle del narratore, chiamato a narrarne le gesta. I primi passi nel rap (fondamentali per la creazione di testi che infilano nelle strofe pop mille parole con effetti originalissimi), la voglia di sfondare, gli appuntamenti con la Warner, il brano scritto per Massimo Ranieri, le feste...

Intervallata dai brani che vengono inseriti come in un musical agganciandone i titoli ai temi che di volta in volta si affrontano, la storia prosegue arenandosi poi nella palude americana senza spiegare cosa sia accaduto dopo (e senza quindi mai citare "Zucchero Filato Nero", l'unico album solista di Repetto, del 1995). Ed è un peccato, perché è l’intera parabola - ascendente e discendente - di Repetto ad averlo trasformato in una sorta di sfuggente, affascinante Icaro moderno.

Apprezzabili gli interventi canori in inglese di Célie, cantante soul dalla splendida voce, curiosi quelli ripetuti di un Uomo Ragno in maschera che nel buio della scena funge da confessore del protagonista in uno scambio di filosofici pareri sulle diverse visioni della vita. Il Repetto attore risulta magari imperfetto, acerbo, ma è dotato di un'innata, contagiosa simpatia che si sposa al meglio con la sua genuina semplicità d'animo. Lo spettacolo non sarà travolgente ma è piacevole, ben realizzato, e le gustose interpetazioni "a cappella" nei bis confermano le inattese doti vocali di Repetto. Peccato ci delizi solo molto parzialmente con i suoi spassosi passi di danza scatenata che rendevano bizzarre e uniche le performance del gruppo, ma chi ha amato gli 883 difficilmente resterà deluso dalla possibilità di ritrovare on stage un personaggio mitizzato tanto “oscuro” e insieme solare.

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Ritratto di una ricca borghesia che trascorre le vacanze in Costa Azzurra, amici e conoscenti riuniti in una splendida villa con piscina. La madre Louisa (Marisa Borini) con le figlie Elena (Golino) e Anna (Bruni Tedeschi) rappresentano il fulcro attorno al quale ruotano il marito (Arditi) di Elena, la figlioletta adottiva (Bruni Garrell) di Anna, l'anziana zia (Gigi Borini) e un vecchio amico di famiglia, Bruno (Raffaelli). Con loro anche qualche figura di passaggio legata all'attività cinematografica di Anna (è sceneggiatrice) e i domestici, per un quadro complessivo ampio...Leggi tutto e non immediatamente identificabile nei rispettivi ruoli.

Dovrebbe far parte del gruppo anche Luca (Scamarcio), il partner di Anna, il quale però, prima che lei partisse, le ha fatto intendere che la loro relazione sta decisamente per chiudersi. E’ il rapporto che lega questi ultimi a offrire i momenti più divertenti e vivaci del film, grazie soprattutto a una Bruni Tedeschi assolutamente travolgente, imprevedibile e a briglia sciolta come di consueto. Il suo continuo arrendersi all'evidenza seguito subito dopo dal rifiuto di accettarla è fonte di scene spassose che fanno a tratti impennare un film per il resto invece troppo adagiato su un bozzettismo poco sigificante, in cui ogni personaggio mostra carenze evidenti sotto il profilo della caratterizzazione in grado di donargli la necessaria tridimensionalità.

Tutto si confonde in una sfilata di volti spesso faticosamente collocabili correttamente nel complesso mosaico familiare ai quali si aggiungono vezzi da cinema referenziale (i molteplici agganci all'arte e alla pittura) e autobiografico (chi è confidente col mondo della Bruni Tedeschi non tarderà a riconoscerli). Ma il tutto si sfalda al cospetto di una sceneggiatura che ha davvero poco da dire, affidandosi a qualche tocco eccentrico e sparute gag solo abbozzate. E' vero che la bravura del cast (in cui comunque la Bruni Tedeschi svetta nettamente) permette comunque di donare una sorta di sufficiente credibilità generale, ma poi sarebbe stato bene lavorare maggiormente sui protagonisti e sull'impianto inter-relazionale, senza rifugiarsi in un meta-cinema piuttosto facile nelle sue valenze metaforiche (la nebbia offuscante nel finale) che aiuta solo a confondere ulteriormente le acque.

Il fratello morto che di tanto in tanto occhieggia come se la sua presenza fosse normale acquisisce l'appeal dei fantasmi moderni, che sempre più rientrano con naturalezza nel disegno complessivo come a sovrintendere quanto accade in loro "assenza". Il ritmo però è basso, arranca mentre non si riesce a dare giusta incisività a una trama in cui l'unico spunto in grado di costituirsi come storia autonoma di rilievo è quello che unisce la Bruni Tedeschi e Scamarcio (ottimo nei panni del partner “bello e impossibile”), perché anche il bravo Arditi non trova spazi significativi e la Golino ha un ruolo marginale quanto quello degli altri.

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Irrimediabilmente datato a causa di un'idea poi sfruttata al cinema altre infinite volte (l'uomo che si riprende dal coma scoprendo di aver perso la memoria), l'ultimo film di Duvivier imposta la sua storia partendo appunto dall'incidente che provocherà la tragica amnesia del protagonista

Con un non troppo virtuoso alternarsi d'inquadrature che passano dalla strada percorsa a gran velocità al corridoio della clinica dove viene ricoverato Georges Campo (Delon) ci svegliamo nel lettino con quest'ultimo, del tutto spaesato e incapace di ritrovare i ricordi...Leggi tutto di sé. Al punto che quando nella stanza entra sua moglie Christiane (Berger), non la riconosce. Lei d'altronde non può sperarlo, considerate le condizioni di lui, ma c'è comunque qualcosa, nella donna, che sembra tradire una certa ambiguità, sentimento che naturalmente il film cercherà di coltivare più a lungo possibile. Anche perché Georges fatica a fare anche minimi passi avanti, nel recupero della memoria. L'unica cosa che ritorna nella sua mente sono fortissimi ricordi di guerra, come se vi avesse partecipato di persona. Non è così, gli ricorda anche l'amico di famiglia Friedrich (Fantoni), ospite fisso della grande villa di campagna dei coniugi Campo, anche se è vero che è da poco rientrato da Hong Kong (Georges dimostra in effetti di conoscere qualche parola di cinese).

L'atteggiamento del protagonista, tuttavia, è meno arrendevole di quanto ci si aspetterebbe e anzi, gioca in modo quasi sbruffone con la moglie che si rifiuta di venire a letto con lui prima che abbia recuperato almeno parzialmente la memoria. Ed è proprio nel malizioso porsi di Georges nei confronti di una situazione ancora tutta da interpretare che il film può giocarsi le carte migliori. Anche perché Delon è sicuramente in parte, ben calato in un personaggio cui serve dimostrare di non sentirsi troppo vittima degli eventi subendoli senza reagire. E quando in casa crolla un lampadario dal soffito o si apre una botola a sorpresa in soffitta sfiorando la tragedia c'è da chiedersi se siano solo coincidenze...

Chi bazzica il genere avrà in mano già tante delle prevedibili risposte, anche se poi il finale un po' s'incarta nelle spiegazioni lasciando aperto qualche interrogativo. La credibilità d'altra parte non sembra una qualità del lavoro di Duvivier, artefatto in molti frangenti, forzato in più di un risvolto e con qualche figura la cui presenza appare del tutto superflua (il domestico cinese Kim, perdipiù goffamente interpretato dal tedesco Peter Mosbacher). Resta il magnetismo dell'avvenente coppia protagonista, che comunque recita con bravura, mentre la regia di Duvuivier appare compassata e il procedere fiacco della vicenda non aiuta (c'è da aspettare l'ultima parte perché finalmente accada qualcosa di significativo, ed è in fondo già la spiegazione dell'enigma)...

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

SFOGLIA PER GENERE