il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

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362841 commenti | 68905 titoli | 27117 Location | 14331 Volti

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Location Zone

  • Film: Amore amaro (1974)
  • Luogo del film: La scuola in cui lavora Renata (Gastoni) e davanti a cui si svolge la cerimonia fascista
  • Luogo reale: Scuola elementare "Alda Costa", Via Previati 31, Ferrara, Ferrara
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  • Film: Titus (1999)
  • Multilocation: Via Giulia
  • Luogo reale: Via Giulia, Roma, Roma
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Gala D'Errico

    Gala D'Errico

  • Ginevra Benini

    Ginevra Benini

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Paulaster
Due zie prendono in casa l'unico nipote. Soggetto in linea con i tempi: gli anziani sgobbano e i giovani (che non hanno fatto la guerra) pensano al denaro facile. Ottime le caratterizzazioni, anche delle seconde linee, pur se si perde la connotazione toscana degli avvenimenti. Serato è adatto al ruolo e spinge fino a rinchiudere le zie per avere il denaro. La svolta con la Calamai serve a chiudere la vicenda.
Commento di: Hart crane
La cinepresa svaria su un carretto tirato da un cavallo, con lo splendido minimalismo delle musiche di Vig, ed è subito capolavoro. Il resto della soundtrack è affidato al vento. Tarr proietta un normale giorno della vita rurale di padre e figlia in una dimensione astorica, religiosa, estetica, cristica che garantisce l’immunità da quella contaminazione descritta nel monologo, filosoficamente aperto ma marchiato dalla presunzione della coscienza che si vuole sostituire a Dio. Il vecchio e la figlia non ribattono. La loro risposta è vivere, anche la provvisoria esperienza della fine.
Commento di: Cotola
Versione cinematografica del concerto di Waters a Praga. A colpire è in primis la scenografia, con l'impianto luci che mozza il fiato e il mega schermo a forma di croce su cui si susseguono ininterrotte immagini, slogan urlati e frasi che si abbinano alle canzoni. Sotto quest'ultimo punto di vista la selezione è molto buona e va al di là dei classici: c'è spazio anche per una splendida versione di "Sheep" e un inusuale, ma gradito, recupero di "Two Suns in the Sunset". Ci si emoziona tanto al di là degli ovvii proclami politici e si vorrebbe tanto essere lì a godersi lo spettacolo.
Commento di: Cotola
Lo stakanovista Soderbergh stavolta si cimenta con un presunto horror che in realtà è più che altro un dramma psicologico che prova ad affondare i denti anche in tematiche attuali. Ma la sceneggiatura di Koepp resta in superfice e non va mai davvero in profondità, sebbene sappia tratteggiare abbastanza bene personaggi e situazioni, pur in breve tempo. I ritmi non sono sostenuti, ma non ci si annoia. Guizzi non ce ne sono, spaventi neppure: la presenza non vuole essere terrorizzante. Girato tutto in soggettiva, senza che ciò aggiunga qualcosa all'opera. Vedibile ma mediocre.
Commento di: Erfonsing.
Le tematiche (i figli dei ricchi infelici perché lasciati soli da genitori che per raddrizzarli li mandano a scuole militari. Il professore severo ma in fondo di buon animo) sono note e la storia - a grandi linee - è prevedibile. Però alcune svolte narrative (la visita al padre) e - soprattutto - l'interpretazione dei protagonisti, la fotografia, l'ambientazione e la OST rendono la pellicola decisamente accattivante. Giamatti su livelli empirei, ma notevole anche l'interpretazione del tutt'altro che acerbo Sessa. Da vedere perché, nonostante le due ore molto abbondanti, il film vola.
Commento di: Cerveza
Nonostante lo spunto non sia proprio originale e il film impieghi una ventina di minuti per ingranare, la visione rimane comunque piacevole; soprattutto nella parte centrale, poiché la benzina finisce molto prima della fine. Jerry Calà, nell'interpretazione della vita per distacco, compone con Banfi una coppia perfettamente amalgamata. Il pugliese ci fa ridere parlando, mentre lui resta meravigliosamente muto. Meglio lasciare spazio alla simpatia del sottovalutatissimo Tognella. Avulso il comparto femminile: Mara Venier e Annie Belle sono qui più decorative che recitanti.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Commedia surreale che segna il debutto sul grande schermo del giovane Zach Galligan, futura star del blockbuster GREMLINS e qui protagonista assoluto. L’uso del bianco e nero conferisce fin dalle prime scene un’atmosfera straniante e retrò: Adam Beckett (Galligan) si esibisce alla Carnegie Hall al pianoforte davanti a un pubblico numeroso, ma si scopre che lo strumento ha suonato autonomamente! L’umiliazione è inevitabile. In seguito, Adam si ritrova su un treno in Europa, dove incontra un enigmatico architetto...Leggi tutto svedese che gli rivela che quello alla Carnegie Hall era solo un sogno. Incoraggiato a tornare nella sua terra natale per affermarsi artisticamente, il giovane fa ritorno a New York, città ormai trasformata: un terremoto ha devastato l’area e l’Autorità Portuale ha assunto il controllo delle leve del potere.

Disorientato, Adam fallisce un esame artistico – incapace di ritrarre una modella nuda (Van Ravenstein) – e viene assegnato a un lavoro curioso: presidiare da una cabina l’ingresso di un tunnel per segnalare, premendo un pulsante, le auto danneggiate, come gli spiega un collega bizzarro (Aykroyd). In quello stesso luogo incontra nuovamente Mara, la modella tedesca, che lo invita ad assistere a esibizioni eccentriche e lo affascina con i racconti della propria vita. La parentesi sensuale apre la seconda parte del film, in cui Adam incontra per strada un barbone (Rogers) con il quale si dimostra particolarmente gentile e che passerà poco dopo a trovarlo invitandolo in un viaggio grottesco ad esplorare un misterioso mondo sotterraneo. Qui i barboni, guidati da Padre Knickerbocker (Jaffe), sembrano poter dominare chi si muove sul mondo soprastante e spiegano al ragazzo che c'è un solo luogo dove loro non hanno potere: la Luna, dove dovrebbe recarsi per incontrare la sua anima gemella, Eloy (Tom).

Deluso dalla modella scoperta in compagnia di un altro uomo, Adam si imbarca così su un autobus la cui destinazione muta da “Miami Beach” a “Moon”, guidato dal comandante Breughel (Murray). Il veicolo ospita esclusivamente passeggeri anziani, a eccezione del protagonista, e giunge sulla Luna, dove lo scopo della visita dei gruppi di "turisti" diventa chiaro: il consumismo sfrenato e l’acquisto compulsivo in mercati esageratamente forniti. Eloy è lì ad accoglierlo, insieme ad altre ragazze che salutano i visitatori come in uno spot hawaiano, recitando ripetutamente “Welcome to the Moon”: l’idillio tra i due può finalmente sbocciare.

La lunga avventura lunare (tutta a colori, per marcare ancor di più la differenza con la grigia realtà terrestre) è la più azzeccata, anche per la (pur blanda) denuncia alla società dei consumi; memorabile l’idea (solo narrata) dei microchip impiantati nei corpi dei passeggeri di ritorno dal nostro satellite che intervengono automaticamente sostituendo la parola “Luna” con “Miami” nelle conversazioni. Meno efficace l'altra parentesi surreale, nei sotterranei di New York, dalle vaghe ambizioni autoriali concretizzate in sterili scene di massa o che richiamano iniziazioni esoteriche.

Un cinema votato a una sorta di ingenuo sperimentalismo reso “cult” dalle presenze di star del “Saturday Night Live” come Murray e Aykroyd (doveva esserci pure John Belushi, ma morì prima delle riprese). Il primo si vede di più, come detto, anche se non ha modo di brillare granché nonostante il sorriso sornione che ogni tanto gli altera l'espressione, il secondo si concede un paio di interventi nella cabina all'entrata del tunnel spiegando in modo esagitato (e divertente) il mestiere a uno sbigottito Galligan. Il resto sono incontri in una New York alternativa di cui sottolineare gli aspetti più “arty” e un'idea distopica della metropoli devastata che è solo accennata, con qualche stacco musicale che accentua l'eccentricità dell'opera e (troppo) lunghe esibizioni del protagonista al piano in teatro. Galligan è piuttosto espressivo, ancorché inevitabilmente immaturo, gli altri gli girano intorno a rotazione lasciando raramente il segno; al contrario del film, talmente bizzarro da colpire.

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Sono almeno un paio le ottime idee attraverso le quali Soderbergh filtra questa convenzionale storia di spettri scritta da David Koepp. In particolar modo una, articolata poi con l'arricchimento di tecniche da sempre apprezzate come il piano sequenza. L’idea è che la “presenza”, imprigionata in una casa da cui non si esce mai, diventi il nostro occhio: il punto di vista non solo privilegiato ma unico attraverso cui osservare ogni scena. In poche parole, una soggettiva dello spettro, un ribaltamento sostanziale attuato immaginando che gli occhi della macchina da presa...Leggi tutto siano quelli dell fantasma che si aggira per l'ampio appartamento al centro del film. Una visuale pesantemente deformata dall'ottica grandangolare e dal frenetico aggirarsi per gli spazi, con un movimento costante del regista chiamato a percorrere velocemente e senza sosta le scale interne e ogni stanza per mostrarci cosa vi stia avvendendo. Senza stacchi, in piani sequenza interrotti da improvvisi stop che anticipano uno o due secondi di buio.

E' attraverso il comporsi di questi frammenti di diversa durata che scopriamo come la famiglia appena trasferitasi nella casa già “abitata” dalla presenza sia composta da due assi ben precisi: da una parte la figlia Chloe (Liang) e il padre Chris (Sullivan), più “spirituali” e pacati, dall'altra il secondo figlio Tyler (Maday) e la madre Rebekah (Liu), tra loro legatissimi e decisamente più scettici, pratici e sfacciati. Chloe però ha un motivo, per essere tanto schiva e triste: le è da poco morta la migliore amica, dopo che già una ragazza che conosceva aveva fatto la stessa fine. Ce ne sarebbe abbastanza per farle saltare i nervi, ma lei trova invece conforto nell'amico (Mulholland) del fratello e non si spaventa troppo nemmeno quando la “presenza" cambia posto ai libri che lei aveva lasciato sul letto. Fin da subito la giovane si convince che il fantasma sia quello dell'amica Nadia, ma non ha alcun modo di averne certezza. Salterà presto fuori anche la solita sensitiva, immancabilmente colpita dalla forza che parrebbe risedere nella casa.

David Koepp aveva già affrontato un tema simile (ma in modo certamente meno rivoluzionario) in ECHI MORTALI, tratto da Matheson; qui lo ripropone con alcune varianti fondamentali che annullano il clima di terrore di allora per farlo confluire in una vicenda raccontata in modo più sofisticato e comprensiva di colpo di scena in coda. Non c'è però alcuna indagine, qui, volta a conoscere l'origine della presenza, e c'è soprattutto il rifiuto di sottostare a jumpscare o altri espedienti legati al cinema horror tradizionalmente inteso. Lo scopo non è affatto quello di spaventare ma di favorire lo studio psicologico (per quanto relativo) dei caratteri, lasciando che il film confluisca in direzione di un dramma dalle connotazioni sovrannaturali, magari un po' prolisso in alcune parti riguardanti Chloe ma efficace, tanto singolare nella forma e nello stile da farci sorvolare su incongruenze e difetti.

Appresa la lezione impartita da tanti classici precedenti, Soderbergh la pone al servizio di un progetto che punta a colpire in modo diverso, impedendo alla macchina da presa di uscire dalla casa perché prigioniera come lo spettro che rappresenta: quando l'azione si svolge sul balcone o nelle immediate vicinanze dell'edificio, il punto di vista non oltrepassa mai il confine posto dalle finestre, con l'immedesimazione nel fantasma che si concretizza in un continuo ronzare claustrofobico e impazzito tra i diversi ambienti interni.

Chi guarda “in macchina” significa che avverte la “presenza”, ma altrimenti l'avvicinamento anche estremo ai protagonisti non porta a contatti di sorta. L'intervento sugli oggetti è limitato, perlopiù figlio della disperazione di un fantasma che non sa come reagire in altro modo, quando vorrebbe cambiare le cose. I dialoghi avrebbero potuto essere più incisivi, la storia forse meno elementare, ma l'approccio è originale, la regia di valore e il risultato, quantunque imperfetto, si farà ricordare e un suo piccolo posto nella storia del genere se lo guadagnerà.

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Ormai, soprattutto negli slasher, sequel e remake tendono a sovrapporsi: certo, questo SO COSA HAI FATTO cita apertamente il film del 1997 fino a richiamarne i due sopravvissuti e la "star" Sarah Michel Gellar per un cameo “onirico”, ma di fatto ne è nel contempo un chiaro remake, dal momento che la situazione che viene a crearsi è identica a quella di allora e il meccanismo pure.

Siamo da principio alla festa di fidanzamento di Danica (Cline) e Teddy (Withers), alla quale è stata invitata...Leggi tutto la migliore amica di lei, Ava (Wonders), e pure il ragazzo col quale quest'ultima stava ai tempi del liceo, Milo (Hauer-King). Da allora è passato qualche anno, ma ancora i ricordi sono vividi, tanto che quando alla festa i protagonisti incrociano Stevie (Pidgeon), una loro ex compagna con la quale poco avevano legato, la invitano a festeggiare insieme il 4 luglio andando sulla strada lungo il mare a godersi i fuochi artificiali. Poi una “canna” di troppo e Teddy comincia a fare lo scemo, a mettersi in mezzo alla strada, a “sfidare” gli automobilisti che passano fino a quando uno di loro, per schivarlo, perde il controllo e finisce giù dal precipizio, sugli scogli. Andare fino a laggiù a vedere che fine abbia fatto è impossibile, ma almeno si chiama la Polizia, che infatti arriva e può solo constatare il disastro.

I cinque si guardano bene dall'ammettere qualsiasi tipo di responsabilità e si ritrovano insieme un anno dopo al matrimonio di Danica, che nel frattempo ha cambiato partner. Tra i regali scartati ce ne è uno inquietante: un bigliettino anonimo sul quale sta scritto ciò che tutti immaginiamo: "I know what you did last summer" ("So cosa hai fatto l'estate scorsa"). I sospetti corrono subito a Teddy, non presente alla festa e che tutti pensano abbia il dente avvelenato per essere stato lasciato. Ma è davvero tutto così semplice? Ovviamente no, e intanto fa capolino un killer che veste come quello del 1997: impermeabile da pescatore, cappellaccio largo e in mano un uncino con cui sventrare le sue vittime. La mattanza prende ufficialmente l'avvio, costringendo il gruppo di ragazzi a contattare Julie James (Love Hewitt), che da un assassino vestito allo stesso modo si era al tempo salvata. E non molto bisogna aspettare perché ricompaia pure Ray Bronson (Prinze jr.), l'altro sopravvissuto. Poco tuttavia i due possono fare per impedire il nuovo massacro...

Formula immutata con la regista Jennifer Kaytin Robinson, anche coautrice dello script con Sam Lansky e Leah McKendrick, che replica senza gran fantasia soprattutto negli omicidi, tutti tendenzialmente identici e mancanti del necessario tasso di splatter. E se si elimina il gusto di veder sprizzare un po' di sangue, in uno slasher, cosa resta? Giusto il colpo di scena in stile whodunit, che occupa l'ultima parte dando una parvenza da thriller classico - che non dispiace - al film. Con una recitazione accettabile dell'intero cast i danni sono limitati, ma certo le situazioni in cui i nostri vengono a trovarsi sanno decisamente troppo di già visto, con l'inserimento dell'immancabile influencer estroversa e invadente esaltata all'idea di riprendere per il suo blog i veri luoghi a Southport dove si era verificato il precedente massacro.

Le dinamiche tra i personaggi funzionano a fatica, i depistaggi sono puerili e pure il killer sembra più goffo del previsto. Qualche discreta sequenza non manca, l'interazione tra passato e presente è elementare ma mantenuta con coerenza, mentre la Gellar “ammazzavampiri” si fa rivedere solo in un incubo di Danica per un paio di minuti, il tempo di sanguinare un po' in faccia. In definitiva un'operazione superflua e mai intrigante, con un paio di jumpscare telefonati e la stanca riproposizione di un canovaccio ampiamente anticipabile anche da chi non avesse visto il modello targato Williamson (che già non era proprio un granché, nonostante successo e sequel). E poi non si può vedere oggi, in uno slasher, un attacco alle spalle reso visivamente solo con lo schizzo di sangue su di un monitor...

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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