Le mie notti sono più belle dei vostri giorni - Film (1989)

Il solito Zulawski: assenza di trama e di qualsiasi nesso logico, copiosi ed estenuanti sproloqui (in questo caso spesso in rima) che girano a vuoto, parole in libertà assoluta, “logica senza fili”, salti di pali in frasca, toni pretestuosi, seriosi, presuntuosi e quant’altro. Tutto gratuito e fintamente intellettuale ed autoriale. Solo per zulawskiani incalliti o in ogni caso per chi già conosce lo stile del regista. A vostro rischio e pericolo.

Fra i meno ardui del maestro polacco, questo gioiello esprime con tutta la sua poeticità (il protagonista delira spesso in rima) molti dei temi essenziali dell'opera zulawskiana: la morte come conseguenza dell'amore passando per il possesso. Il virtuosismo stilistico di una regia sempre eccellente appare qui più controllato e a guadagnarne è la "linearità" di una storia ciclica, incapace di trovare risoluzione se non in un ineluttabile epilogo segnato, sancito e presagito da una coppia di intensi flashback. Capolavoro dal pessimismo squisito.

Estremamente arduo e criptico, il senso reale di questo film è probabilmente rimasto nella testa del regista polacco che, come al solito, non si fa problemi a rendere accessibile il suo mondo. Nonostante ciò alcuni momenti visivi (il suicidio dei genitori, il finale), il commento sonoro e il senso di decadenza che accompagna tutta la vicenda rendono questo particolare lavoro degno di nota, pur con molte riserve.

Andrzej Zulawski non è un mostro di chiarezza e il suo film fatica a mostrare un senso, sebbene si presti a diverse interpretazioni. Il lato grottesco della pellicola è notevole, un po' meno gli inserti intellettuali che rovinano un'atmosfera piacevolmente surreale, con numerose scene molto buone, il finale su tutti. Bravissimi i due protagonisti. Sophie Marceau è sempre splendida. Particolare il taglio del montaggio, che rende ancora più strana una pellicola non per tutti. Sicuramente non banale.

Un programmatore di successo e una sensitiva si incontrano casualmente, scoprendosi accomunati da un comune passato che li spinge a conoscersi più in profondità: una storia non particolarmente brillante e originale, ammantata da una coltre di criptiche verbosità e bergonzoniani calembour, specialmente da parte di Dutronc, che sembrano voler nascondere una certa mancanza di idee. Restano impresse solamente le scene dei flashback, in cui emerge un senso di decadenza, ma per il resto l'empatia con i personaggi è scarsa e di profondità ce n'è meno di quanto appaia superficialmente.

Programmatore in fin di vita e veggente avvenente hanno in comune traumi infantili. Storia d'amore sopra le righe che a tratti ricorda stilemi ferreriani e che riesce a essere insostenibile. Dialoghi stucchevoli e monologhi in terza persona che risultano difficili da digerire, ma il peggio sono le frasi in rima baciata. Se la Marceu durante gli spettacoli può dare anche un senso a frasette elementari, quando parla il protagonista sembra un lucido folle che non fa ridere. Non male i momenti nel laghetto e qualche ripresa studiata discretamente.