E Reynolds si (ri)conferma autore viscerale, emotivo e zeppo di talento narrativo, e spiace constatare che si sia fermato (per ora) a soli tre film (già l'esordio di
The Ugly metteva subito le carte in tavola sulla stoffa del grande regista, a suo modo originale e personale), mettendo in stallo una carriera ben più che promettente.
Sarebbe un peccato raccontare l'intelaiatura narrativa di
Heaven, o almeno, tutti i flashback e i flashforward "rashomoniani" di cui ne è ricco, che spiazzano, sorprendono, ingannano (quello che appare di primo acchito non è quello che effettivamente può sembrare, minando sicurezze e dando una versione distorta e "menzogniera" della realtà dei fatti, di quando tu sei sicuro che invece non è così).
Con in testa il Lynch di
Strade perdute , lo Scorsese dei tempi migliori e anticipando gli stilemi narrativi di Gaspar Noè, il talento e la poetica del regista di
Un giorno rosso sangue si infiamma in una storia complessa , di amori impossibili giocando sul fil rouge della
Moglie del soldato, di transessuali con il dono del Johnny Smith della
Zona morta, di tesissime partite a poker allo scadere delle 4 del mattino, di night club, di mogli carognose e di dottori laidi e viscidi, di torpiloquio e seduzioni melliflue e provocanti, di registrazioni compromettenti, degli incastri narrativi che vanno seguiti a mente lucida e con rigorosa attenzione.
Ma quello di Reynolds è anche (o forse soprattutto) cinema sanguigno, ed ecco che divampano attimi di grande violenza (i sanguinosi e feroci pestaggi, la strage a colpi di canne mozze nel locale, il massacro delle prostitute, il bestiale stupro all'interno dell'auto in un fognoso vicolo, i due psicopatici assassini) che sconfinano nello splatter dai sapori pulp (l'improvviso e inaspettato incidente d'auto-e come è girato-la fucilata in faccia, i corpi devastati e dilaniati dai pallettoni) e nelle umiliazioni (Heaven costretta a baciarsi davanti allo specchio angariata dal suo "protettore", le cattiverie sul suo stato di transessuale).
Perchè
Heaven (che sarebbe il soprannome della ragazza transessuale) è destabilizzante, elettrizzante, sorprendente, che non molla mai la presa, ricco di sfumature e di pugni allo stomaco, di attimi di tenerezza e di svolte adrenaliniche, che stimolano l'encefalo e le emozioni.
Grande Karl Urban nel ruolo vandammaiano del buttafuori "schiacciasassi" (c'è un perchè a questo nomignolo, che si scoprirà solo nel finale) e Martin Donovan che si trova, hitchcockianamente e suo malgrado, in mezzo a situazioni più grandi di lui e menzione speciale per Daniel Edwards nel ruolo della sensibile e mesta Heaven, angelo caduto sulla terra, spesso brutalizzata ma abbagliata da un dono divino che gioca una partita a scacchi con il destino (e con la morte).
Chiusa finale che stringe il cuore.
Per me è già un piccolo cult, da non perdere se lo intercettate da qualche parte.