Fatalità - Film (1991)

La coppia Grassia/D'angelo ritorna al melodramma fuori tempo massimo ma se la cava. Questo film è tra i migliori diretti dal regista napoletano, le location sono notevoli (in particolare la villa) e anzichè esclusivamente le periferie napoletane si toccano Roma, Napoli e la splendida costiera amalfitana. La trama è interessante e il cast sufficiente. Due pallini e mezzo li merita.

Anni '90: Nino D'Angelo cade in depressione dopo la morte dei suoi genitori. 1992: il caschetto biondo è sostituito da un pseudo-mullet (già fuori moda nel 1992, ma a Vietri sul mare le cose arrivano 6-7 anni dopo) sotto il quale è nascosta una faccia più torva del solito. Anche la storia è più drammatica di quelle a cui ci aveva abituato l'attore-cantante napoletano. Film più vicino al modo di fare fiction-tv degli anni '90 che alla sceneggiata drama-musical-kitsch degli anni '80 (che prediligo).

Il musicarello si aggiorna e si trasforma in una sceneggiata dai toni fortemente drammatici con le canzoni in ombra. D'Angelo perlomeno è spontaneo nella recitazione, mentre Paolantoni (al suo esordio) risulta abbastanza irritante. Grassia continua a inquadrare inutilmente a mo' di pubblicità turistica il duomo di Amalfi, ma almeno con la sua regia operaia dona un ritmo accettabile al film. Le location segnalano un discreto budget a disposizione, l'accumulo di sfortune giova al genere e devo dire che il tutto si segue con un certo interesse.

In questo film Nino D'Angelo cerca chiaramente di prendere le distanze dal personaggio di "caschetto d'oro", l'eterno giovanotto di belle speranze che tanto successo gli aveva regalato nel decennio precedente ma che ormai (anche per motivi anagrafici) cominciava a stargli stretto. Questo è una sorta di Merola-movie aggiornato agli anni 90, lento, triste e di una piattezza registica da far cadere le braccia. Spiace perché Nino ci crede davvero e sfodera anche una buona prestazione attoriale. Nel complesso pessimo.

Parente stretto della sceneggiata napoletana del decennio precedente. Sembra una fiction televisiva. Grassia calca la mano con risaputa (a modo tutto suo scafata) tecnica da cineamatore. Melodramma da cronaca rosa? No, incolore. Umorismo non pervenuto. D'Angelo è pettinato alla Don Johnson dei sobborghi e le sue canzoni sono solo in colonna sonora. Personaggi femminili infidi ma insipidi; Paolantoni (la sua interpretazione) tenta di sbancare e riesce a essere insopportabile. Difficile arrivare fino alla fine.

Un Grassia tecnicamente in palla gira probabilmente il proprio "capolavoro" dal punto di vista tecnico, sfoderando una regia che segue col giusto ritmo le peripezie del protagonista (un D'angelo incredibilmente doppiato!). La sceneggiatura punta su di un canovaccio risaputo con tanto di ascesa, crollo e redenzione che non dispiace fino in fondo. Peccato che la mediocrità dei dialoghi affossi la qualità complessiva dell'opera, perché il cast se la cava (nota di merito per il personaggio dell'ingegnere). Non male le location amalfitane.

Nino è felicemente sposato (sua moglie è incinta e lui non lo sa), ma perde la testa per una sciacquetta che lo fa carcerare. Quando uscirà, scoprirà che la moglie si è riposata con un ingegnere... Roba da mal di testa! Il classico triangolo, che qui si fa quadrangolo a scoppio ritardato, per una regia di Grassia un po' più ricca - si fa per dire - del solito. Neanche la guest-star Nino D'Angelo (cinematograficamente alle corte) riesce a risollevare le bieche sorti dell'ovvietà di una pellicola trashisticamente prevedibile.

Aggiornamento (si fa per dire) della sceneggiata napoletana di fine '70/inizio '80, ripropone l'idolo partenopeo D'Angelo in una veste più drammatica e meno buonista dei suoi tipici ruoli passati; assenti sequenze canore, anche se la ost presenta brani del protagonista. Rispetto ai softcore di Grassia del periodo c'è una certa cura in più e non sono presenti scene spinte, nel rispetto di uno script costruito su misura di D'Angelo; scontato e prevedibile quanto si vuole, ma comunque efficace per la platea di riferimento. Mediocre con dignità.

Nino è un venditore ambulante di calzature che sembra essere felicemente sposato. Prende però una sbandata per una donna che lo rovina allontanandolo dalla moglie e dalle cose che contano. Termitati i tempi del caschetto d'oro e delle serenate, D'Angelo, evidentemente provato da vicissitudini private, interpreta un personaggio remissivo pronto a pagare tutti gli errori commessi nel passato. Non c'è spazio quindi per dichiarazioni d'amore cantate e tanto meno per quell'ironia scanzonata che ha sempre accompagnato le opere del cantante partenopeo. Un taglio netto con il passato.