Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Giallo di ambientazione balneare che, come spesso accade nel cinema francese, utilizza gli strumenti del genere per smascherare l'ipocrisia e i vizi inconfessabili di una provincia idilliaca solo in apparenza. L'intreccio avrebbe anche qualche buona carta in mano, ma tra un ritmo decisamente sonnacchioso e una totale assenza di suspense, seguirlo con interesse diventa impresa ardua. Bravo Noiret in uno dei suoi tipici personaggi cinicamente sornioni, affiancato da un Marchand che sospetta di tutti a ragion veduta; alterno invece l'apporto del cast femminile.
Si tratta del primo horror di Roger Corman tratto da Edgar Allan Poe. L'azione non è sicuramente di quelle mozzafiato, è una storia che preferisce un ritmo più compassato e che si concentra molto sulle atmosfere e sulla curiosità, più che su effettive scene paurose che comunque, per l'epoca, ci sono. E queste atmosfere sono rese già qui con sapienza. Vincent Price inaugura la sua serie di personaggi gotici con la consueta recitazione magnetica ed esagerata, che ben si fonde con la storia. Ottima la ricostruzione ambientale. Un buon lavoro (e ne verranno di migliori).
Piacevole spy story diretta dal regista italiano che più di ogni altro si è cimentato nel genere e interpretata dal suo attore feticcio Ken Clark, qui affiancato da una Beba Loncar bella ma un po' troppo bamboleggiante. Intreccio più ricercato del consueto che non verte sulla solita arma segreta che potrebbe distruggere il mondo, ma su un macchinoso complotto volto a destabilizzare la distensione Usa/Urss, condotto con buon ritmo e un tocco di spregiudicatezza (nella sequenza alla sauna fa persino capolino qualche topless). Dal tipico sapore bondiano la colonna sonora di Trovaioli.
Classico yakuza ero guro dello specialista Teruo Ishii con la bellissima Meiko Kaji. Non riuscito il tentativo di ibridazione con elementi da ghost story. In realtà, a parte la presenza del gatto nero che lecca la ferita di una bimba, figlia di un boss yakuza, e, cinque anni dopo, la guida verso la doverosa vendetta, la pellicola si risolve nei consueti e insistiti scontri con luccicar di katane, peraltro ben coreografati e molto sanguinosi, con pareti shoji sfondate o spruzzate di rosso. Delude un po' il duello finale tra la ragazza cieca e la boss rivale.
Come sempre, qualsiasi genere si desse al buon Lucio Fulci, ecco che se ne usciva fuori con un film magari non capolavoro, ma sempre degno di nota. Dei tentativi di rinverdire lo spaghetti-western questo è sicuramente uno dei migliori, al netto di certe lungaggini e di una mezza storia d'amore che ci stava come i cavoli a merenda. Per il resto il sadismo è quello dei momenti migliori del regista e l'ambientazione desolata aiuta e in certi casi addirittura sostituisce la vicenda. Insomma il film ha i suoi bravi difetti ma lascia il segno. Cast discreto, il migliore è Tomas Milian.
Il film, che narra una vicenda realmente accaduta nel 1970, avrebbe potuto essere un gioiellino, ma la pochezza artistica di certo cinema italiano ha la meglio, rendendolo un prodotto poco più che mediocre. La fotografia è buona e il regista tutto sommato il suo lo fa, ma con una recitazione così scadente non si va da nessuna parte. Non sono pochi i momenti in cui dei dialoghi (molto didascalici) non si capisce praticamente nulla a causa dei consueti sospiri e urla. Si salvano il finale e qualche momento simpatico e grottesco, ma l'impressione è quella dell'occasione persa.
Spetta alla diversa sensibilità di ognuno giudicare un film tanto intimista e introspettivo, nel quale alle parole molto spesso si sostituiscono i silenzi dei campi lunghi che si aprono sui paesaggi innevati di Yanji, cittadina cinese ai confini con la Corea del Nord. THE BREAKING ICE è la storia di un'amicizia che trascende in amore e si confonde, che muta aspetto per riprendere i connotati di un rapporto a tre, da sempre calamita per un certo tipo di cinema che ama giocare con l'ambiguità dei sentimenti.
Nana (Zhou), guida turistica che accompagna in pullman...Leggi tutto chi desidera visitare i dintorni, sogna di pattinare sullo specchio gelato dei vicini laghi ghiacciati, di scivolare da sola su quelle superfici per fuggire dalla meccanicità di un lavoro che non ama e dal quale evade condividendo le sue serate con Xiao (Qu); è lui l'amico di sempre, a sua volta chiuso in un ruolo tutto da interpretare, ricco di sfumature che non permettono di capire fino a dove potrebbe spingersi il suo sentimento per Nana. Ma fin da subito irrompe nella loro vita il coetaneo Haofeng (Liu), giunto in zona per un matrimonio al quale lo vediamo partecipare nelle prime scene. Quando da una balconata nota il pullman di Nana, decide di aggregarsi al gruppo di turisti. Perde anche il cellulare, suscitando la solidarietà della ragazza che legge in lui una solitudine e forse un accenno di depressione che la spinge a invitarlo ad uscire con lei e Xiao. Da qui i tre cominciano a frequentarsi, a vivere nello stesso appartamento fino a quando - inevitabilmente - subentrano l'amore e il sesso, scompaginando le relazioni e costringendo a rivedere l'intreccio che regola il rapporto tra loro.
L'abilità di Anthony Chen sta nel cogliere la poesia in sequenze accompagnate da una delicata e fondamentale colonna sonora, trovando non solo momenti di grande intensità girati con padronanza tecnica superiore ma anche una sensibilità che gli permette di cogliere immagini di forte suggestione (si pensi alla scena notturna di pattinaggio, in cui i contrasti di luce sono straordinari, favoriti da una fotografia di alto livello). Un po' più ruffiani invece altri passaggi, in cui si indulge in un simbolismo di maniera, o altri che comunicano meno di quanto vorrebbero (l'avvicinamento dell'orso), mentre l'insieme non sembra nel complesso oltrepassare la soglia del film d'autore appesantito da ritmi soporiferi che non trovano sufficiente giustificazione nel messaggio che trasmettono.
Non sembra insomma che il film - al netto di alcuni tratti di pregevole fattura che potranno con merito sedurre gli appassionati - abbia troppo da dire né che lo dica servendosi di personaggi memorabili o particolarmente interessanti. A restare impresse nella memoria sono soprattutto le riprese naturalistiche, le location scelte ad hoc per trasmettere un concetto ancor meglio delle parole o degli sguardi.
L'estrema mediaticità del delitto di Avetrana è subito testimoniata nell'incipit del primo episodio, in cui gruppi di turisti del macabro vengono accompagnati sui luoghi teatro della vicenda, primo fra tutti naturalmente la casa della famiglia Misseri. Quattro puntate di un'ora ciascuna, per ricostruire i fatti, possono sembrare tante, ma ciò a cui la serie punta è soprattutto dare un quadro psicologico del mondo in cui il delitto si è consumato, dedicando non a caso ognuno degli episodi a una delle quattro figure principali (nell'ordine Sarah,...Leggi tutto la cugina Sabrina, lo zio Michele e la zia Cosima), partendo dalle quali si riesce a completare una descrizione sufficientemente esaustiva dell'insieme. Può forse sembrare una forzatura e in parte lo è, una simile suddivisione, ma è una scelta che rivendica una visione autonoma e originale, rispetto a una narrazione più lineare e tradizionale.
Si parte da un episodio totalmente dedicato alla quindicenne Sarah Scazzi (Pala), in cui se ne delineano bene le inquietudini, certi sentimenti di inadeguatezza, un primo forte sentimento nei confronti di Ivano (Commare), il ventiduenne che Sabrina (Perulli) cerca in ogni modo di fare suo. Ci viene fatto capire chiaramente - anche attraverso i pensieri sul diario di Sarah - come il conflitto tra le due cugine possa accendersi da un momento all'altro, trattenuto e talora esplicitato. La messa in scena e la regia di Pippo Mezzacasa sono di qualità superiore, la direzione del cast straordinaria con risposte eccellenti da parte di tutti, a cominciare dalla giovane Federica Pala (quello sguardo perduto e insieme risoluto che riflette tutta l'innocenza di chi si affaccia alla vita faticando a goderne gli entusiasmi).
Quando nel secondo episodio, che ancora non svela quasi nulla riguardo al delitto, si passa a mettere sotto i riflettori le insoddisfazioni e la gelosia di Sabrina, l'immedesimazione nei personaggi si eleva ulteriormente, limando quelle che potevano apparire nell'ora precedente lungaggini superflue. Giulia Perulli comunica al meglio tutte le indecisioni e le fragilità di chi passa da compagna di avventure della cugina a primadonna di fronte alle telecamere. Si comincia a parlare di scomparsa e ad Avetrana confluiscono le troupe televisive con in testa la giornalista interpretata da Anna Ferzetti: merito dell'attrice se il personaggio tanto colpisce immediatamente per la maturità nell'approccio, per lo spessore umano infuso in chi sa di dover gestire una situazione difficilissima stando attenta a non far irritare Sabrina, subito inquadrata come la chiave di volta per far immergere gli spettatori da casa nella storia.
Si continua con il terzo episodio, in cui lo zio Michele (De Vita), fin lì rimasto ai margini e ben poco inquadrato, si conquista inaspettatamente grande spazio, permettendo al suo interprete di giganteggiare regalandoci un ritratto struggente, potente, interiormente combattuto ancor più degli altri. In chiusura l'episodio dedicato a zia Cosima (Scalera), di nuovo una performance impeccabile nel sottolineare i tratti insoliti e l'imperscrutabilità del personaggio (caratteristica da garantire per tutti i protagonisti coinvolti, dal momento che ancora qualche punto interrogativo rimane da chiarire, sul fatto); è impossibile non notare parimenti la glacialità rabbrividente di Imma Villa nel ruolo della madre di Sarah, testimone di Geova alla quale la figlia preferiva la molto più "normale" zia, di fatto per lei una vera seconda madre.
Eccellente la resa delle location, che restituiscono in pieno l'atmosfera corretta, contenuta la “romanzatura” degli eventi (con qualche eccezione) e un lavoro certosino in regia che esalta la professionalità del risultato. Come ciliegina sulla torta, una "Who Wants To Live Forever" (Queen, of course) che da sola è capace di esaltare una sorta di emozione trascendente donando a Sarah una dimensione quasi aliena. La serie può dirsi sicuramente riuscita: non cerca artificiosi colpi di scena nel finale degli episodi né al suo interno, preferendo un approccio cinematografico che sconta un ritmo a volte un po' sonnacchioso. Matteo Rovere in produzione è di nuovo garanzia di un prodotto superiore alla media.
Prosegue imperterrita la saga della Morte al lavoro, ripetendo ad libitum la stessa formula senza variazioni di rilievo. Anche l'idea del 3D deriva dal capitolo precedente, quindi non resta che concentrarsi ancora una volta sull'originalità degli incidenti occorsi agli scampati di turno. Grande impiego di effetti speciali per la prima catastrofe, come sempre, questa volta di scena su di un ponte sospeso durante lavori di manutenzione evidentemente già tardivi. Il tempo di individuare i protagonisti a bordo...Leggi tutto di un autobus aziendale sul quale qualcuno ha una tragica premonizione, che su quel ponte capita di tutto. In otto però (e grazie alla suddetta premonizione) si salvano, e saranno coloro che diventeranno le prede di una Morte particolarmente sadica, come d'occasione. Lo sappiamo bene: tutti loro dovranno lasciarci fortunosamente le penne nell'ordine con il quale avrebbero già dovuto farlo e come accadeva nel sogno ad occhi aperti.
Il meccanismo si mette in moto e quel che capiterà ha come sempre il compito di stimolare in chi guarda raccapriccio e un sorrisino, dato dagli eccessi grotteschi attraverso cui tutto si verifica. Perché è evidente che non si punta alla credibilità: siamo in un horror e l'importante è portare in scena il sangue nei modi più bizzarri possibili. E la prima vittima, che muore durante le prove di complicati esercizi ginnici, lascia subito il segno: la resa è insieme agghiacciante e quasi comica (non sarà facile dimenticarla), con effetti speciali che supportano a dovere il tutto, mentre è importante capire come funziona lo schema: molti elementi che contribuiscono a costruire minacce pronte ad esplodere (un chiodo che cade dall'alto dove non dovrebbe, viti che si allentano e altre amenità) attirano opportunamente l'attenzione, grazie a una regia che sa come muoverli, e il "gioco" ha inizio.
Una volta capito come funziona, però, il tutto si fa presto inevitabilmente ripetitivo, e dal momento che le altre morti accidentali sono meno fantasiose e spettacolari, si capirà come il meglio del film stia tutto nella prima parte, con Tony "Candyman" Todd che, nel ruolo di un ambiguo coroner, spiega quel poco che c'è da sapere sull'unico modo per scamparla: uccidere qualcuno per appropriarsi degli anni che quello dovrebbe ancora vivere. Ma sono piccolezze in una trama elementare che procede schematicamente senza offrire certo grandi prove recitative e che stanca presto, non aiutata dalla regia di Steven Quale, piuttosto anonima; efficace però nel citato disastro iniziale, con riprese d'impatto e il consueto delirio splatter digitale che mostra già la tipica predilezione della saga verso le teste spiaccicate o maciullate da oggetti contundenti. Insomma, niente di nuovo sotto il sole, solo un'onesta prosecuzione della saga che segue le regole dettate dai capitoli precedenti, con personaggi stinti e intercambiabili che fanno movimento senza incidere nemmeno per sbaglio...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA