Vertige - Film (2009)

Li escogitano tutti, cinque amici francesi, i modi per mettersi nei guai durante un'arrampicata. S'appesantiscono con l'inesperto di turno, scelgono il sentiero alternativo che tanti appigli ha fornito agli horror di tutti i tempi, sottovalutano l'insidia del ponte tibetano. E fino a lì, Ferry li segue senza affanno, girando asciutto da documentarista e citando La morte sospesa ad ogni chiodo da roccia piantato. Poi arriva il ridicolo killer e tutto precipita in caduta libera, fra trappole all Wrong turn ed un noiosissimo triangolo amoroso.

Torna il numero cinque, certificato essere porta jella quando gli amici fanno gruppo, come in questo caso riunitisi per scalare un percorso (chiuso) d'alta montagna. Un terzo del film (il primo) sorprende per la grandiosità della regia, sorretta da scenografie vertiginose e da free climbing spericolato. Poi subentra l'Anton della situazione, ovvero il montanaro neglètto e cattivo, scontato come il lupo delle favole e la pellicola dirotta, malamente, nel becero e insaporito slasher. Omicidi insignificanti anticipati da trappole da cacciatore negato, suggellano un thriller ben poco interessante.

Il film si lascia seguire con interesse fino ad un certo punto, anche per merito dei grandiosi scenari montani. La tensione è costruita con mano capace da parte del regista. Poi la trama si fa prevedibile, anche se un colpo di scena c'è: quando ormai mi aspettavo l'entrata in scena del solito "redneck" assassino, ecco invece apparire... lo scemo del villaggio! Giuro, non si era mai visto un tale mentecatto epilettico e urlante. L'ilarità involontaria che provoca resta alla fine l'unico motivo per trascinarsi verso l'insignificante finale.

Valli a capire, i nostalgici che davanti a scenari metropolitani sospirano "una volta qua era tutta campagna". Dopo qualcosa come 9834095830840 trogloditi boschivi e montani in vena di bracconaggio umano (ovviamente energumeni, vere forze di quella natura che li nutre) al cui confronto smog e isterie delle megalopoli sono salutari, valli davvero a capire. E vatti anche capire perché Ferry, anziché tenerci tutti per i capelli vacillanti sul filo della kenofobia (cosa in cui pecca di maestria) per tutti gli 80',da metà metraggio wrongturneggia svergognato e imbastisce la parata della stereotipia.

Regole di sopravvivenza: non andare in giro in 5 (numero sfortunato), non lasciare la via vecchia per la nuova (non si sa quel che si trova), non perdersi nei boschi perchè fitti di zotici assassini collezionisti di teste mozze e praticamente immortali. Regole che i protagonisti infrangono tutte, per cui cosa volete che succeda? Però devo ammettere che la prima parte, quella a penzoloni sulle rocce, mi ha dato più di un brivido, sarà perchè soffro di vertigini al primo gradino dello scaleo di cucina? Peccato per il seguito rozzo col rozzissimo (e un pò patetico) Anton...

Alla base c'è qualcosa di assolutamente impossibile: nessun arrampicatore e appassionato serio di ferrate impegnative si porterebbe mai dietro un pivello, per giunta innamorato della bella del gruppo. Come già rilevato, il film si lascia seguire, pur con diffidenza data l'impossibilità di partenza, fino alla fine della prima parte. Poi uno pensa che ha visto Un tranquillo weekend di paura e può anche smettere di guardarlo senza soffrire. Largo uso del blue screen.