Prosaico come un racconto di soldati consapevoli di finir male. I bombardamenti, le inquadrature esterne, fan precipitare la mente nella guerra come fenomeno abnorme rispetto alle formiche umane. Oltre ciò, la disperazione è resa piatta dai dialoghi impostati di Santamaria (una scelta migliore sarebbe stata il dialetto per tutti) e dalla fotografia asciutta in trincea. Le immagini di repertorio acuiscono le differenze e toccano le coscienze. Un buon documento, impreciso come un ricordo lontano.
MEMORABILE: Le esplosioni; Il rumore delle bombe in sottofondo; Il suicidio; La confessione cristiana data prima di uscire dalla trincea.
Per descrivere la guerra in trincea e le terribili conseguenze sui soldati non basterebbero cinque ore di pellicola; e l'orrore sarebbe indescrivibile. Dove non arrivavano i mortai, o i proiettili, ci pensava il lento logorio mentale, che portava alla pazzia, alla perdita delle facoltà psicomotorie, della coordinazione. Olmi ci presenta una ricostruzione a grandi linee di un tremendo passato, quasi un'opera teatrale, dove ognuno dice la sua, istruito, o non (la saggezza popolare è quella che più di tutti arriva all'orecchio e al cuore di chi ascolta). Un buon ristretto dall'amaro contenuto.
MEMORABILE: "Chi sopravvive è costretto a morire due volte"; Nelle immagini di repertorio i soldati della trincea sembrano tutti uguali (perdita di identità).
Definirlo film drammatico è riduttivo: si tratta di un'immersione nella grande paura che ha attanagliato una generazione. Contro ogni retorica celebrativa, l'ultima fatica di Olmi leva il suo assordante silenzio contro l'assurdità della guerra. Non c'è commento musicale, se non i dissonanti e affascinanti accordi di Paolo Fresu sulle sequenze finali. Grande l'intervento fotografico di Fabio Olmi. Sceneggiatura e regia impeccabili; quando si dice un film d'autore.
MEMORABILE: Il tenente quando si degrada: "Mi levo i gradi per riprendere la mia dignità".
La guerra (del 1915-18) è "assente" eppure fortemente presente col suo carico di dolore, morte ed assurdità. A tratti Olmi non dice nulla di nuovo (l'attesa snervante e logorante; gli ordini surreali e suicidi dei superiori che non rischiano nulla...), ma lo fa magnificamente, costruendo una pellicola dai toni quasi "metafisici" e "surreali". Ma al regista bergamasco sta molto a cuore quello che forse è il "vero" cuore pulsante del film: il ricordo. E' importante che quanto accaduto non cada nell'oblio. Sia che si parli di Storia che di Arte è un messaggio altissimo e di estrema importanza.
MEMORABILE: Il titolo che esprime perfettamente il senso del film ed il messaggio che Olmi
vuole veicolare col film.
Olmi paga il debito con la grande guerra da par suo: atmosfere imprigionate (neve, luce lunare, postazione claustrofobica), la natura incantata e indifferente, un'antibuzzatismo (il nemico non si vede e non si aspetta, solo qualche voce amica) e ovviamente il disprezzo per la guerra, sacra Prima compresa. Tutto bene, tutto altissimo, talvolta siamo ai massimi livelli del genere ma questa passione per il "crudismo" recitativo mi trova contrario perchè non è realismo ma cattiva recitazione (come sentire Paolini al cubo e non è bello). Da vedere, comunque.
MEMORABILE: La fotografia, eccezionale; Il soldato napoletano che canta, magia allo stato puro.
Imbarazzante. Come testo teatrale sarebbe stato anche accettabile, perfetto nella sala buia di un museo come contributo audiovisivo, ma al cinema quest'ultimo sforzo di Olmi è impresentabile. Si salva solo la fotografia, aiutata dalla bellezza dei luoghi dove l'Italia andò a martirizzare i suoi soldati un secolo fa. Il resto - dialoghi, recitazione, regia - è intriso di tale retorica che persino lo spettatore più ben disposto viene portato alla frustrazione. Scappate.
MEMORABILE: I baffi hipster di un, al solito, scialbo Santamaria.
La I guerra mondiale descritta in un perimetro ristretto temporale e fisico, come quella di una trincea come tante. L'intento è proporre come eroi personaggi di varia estrazione, cultura e grado, attraverso le palpitazioni dei loro dubbi umani. A parte i dialoghi talvolta fastidiosamente sussurrati (e un Claudio Santamaria "mascherato"), la poesia dell'opera è perfettamente riproposta e arriva dove deve arrivare.
Olmi gira un film sulla grande guerra quasi senza mostrarla; eppure, il conflitto bellico è sempre presente ed intacca le anime e gli spiriti di un manipolo di gente semplice mandata a combattere e morire sulle trincee. L'orrore è così forte che si preferisce togliersi la vita piuttosto che affrontarlo, in una delle sequenze più toccanti del film. Girato con pochi mezzi ma estremamente efficace nell'ambientazione e nella fotografia, questo è un potente film di denuncia il cui messaggio, a dispetto dei tempi, è estremamente attuale.
Olmi ci lascia una testimonianza d'autore sull'assurdità della grande guerra di trincea, dove tanti nostri giovani trovarono la morte senza sapere perché, concentrandosi su un avamposto sommerso nella neve a ridosso del nemico dall'alto valore simbolico. L'alienazione dei soldati è avvolta in una fotografia spettacolare e struggente. Il risultato è indubbiamente poetico ed evocativo, ma lascia la sensazione che manchi qualcosa, che la denuncia sia troppo sussurrata e la scena troppo immobile.
Film sull grande guerra ne sono stati fatti tanti. Il pregio di questa produzione di Olmi sta nel non aver fatto "un film sulla guerra" quanto sull'attesa, della guerra. Girato con un colore filtrato in bianco e nero, si avvale di un'ottima fotografia che spesso sfocia nel metafisico e nel magico e conferisce ai volti una consistenza quasi pittorica. Un film volutamente lento e meditativo accompagnato dalle musiche di Paolo Fresu. Più che un buon film, per non dimenticare.
Una rarefatta ma lucida condanna della guerra in un film di breve durata che colpisce per durezza nonostante non si assista a immagini di battaglie. La denuncia viene dalla paura dei militi trascinati in un ostile ambiente innevato e costretti a lunghissime attese e a sperare in una sospirata licenza che talvolta non porta nemmeno buoni frutti. Buono il cast e perfetta la colonna sonora.
“Ghe riverem a baita?” chiedevano i soldati al Sergente Rigoni Stern durante la ritirata di Russia. I poveri soldati di Olmi a baita ci sono già, una trincea sul fronte italo-austriaco della guerra precedente, filmata quasi in bianco e nero mentre fuori la natura sfolgora, bellissima e impassibile nelle sequenze all'aperto. Secco e conciso nella durata, visivamente prezioso e originale (per innovare non serve un giovane, basta una testa giovane), forse un po' retorico in alcuni momenti, forse inevitabilmente. Olmi dichiara guerra all'ovvio e vince.
Come manifesto contro la guerra, ma anche semplicemente antimilitare, pur se utopico, è accettabile e condivisibile. La patina altamente poetica è classica del regista e qui accentuata da immagini e suoni che scaldano e gelano allo stesso tempo. L'atteggiamento troppo vittimista (in una guerra comunque vinta) affligge e porta a pensare cosa stia succedendo nella trincea opposta. Il nemico è comodamente al caldo e ben pasciuto, attento a sparare a tutto ciò che appare davanti al suo mirino? E noi solo a eseguire ordini assurdi e suicidi?
Dramma bellico sulla tragedia della grande guerra. Olmi tratta con maestria il dramma delle nostre truppe dislocate in trincea durante un rigidissimo inverno della Grande Guerra. Ritmi lenti, dialoghi risicati e glaciali, il più delle volte nei dialetti italici (sempre a cari a Olmi). Paesaggi incantati che fanno da contraltare al dramma della guerra. Come Herzog, Olmi dimostra l'amore per la natura, che rimane eterna di fronte al macello che si compie quotidianamente sui campi di battaglia. Lento e onirico.
Visto successivamente a una conferenza sulla tecnologia della Prima Guerra Mondiale, è riuscito ad affliggermi indicibili pene nonostante l'esigua durata, costringendomi a guardare l'orologio ogni tre secondi nella speranza del termine del supplizio. Olmi affronta un argomento già brillantemente trattato da Kubrick e Rosi con un didascalismo imbarazzante, pochi dialoghi stucchevoli e recitazioni teatrali che sembrano uscite da una testo scolastico. Ottimo per punire gli studenti durante sadiche lezioni di storia al liceo.
L'ultima opera del compianto Olmi ha nella straordinaria ricerca fotogafica il suo punto di forza maggiore. Le struggenti immagini delle trincee innevate, le luci dei mortai, la meraviglia del cielo stellato rendono ancora più amaro il conflitto con il nemico (che non si vede mai). La scelta di puntare sul dialetto è veritiera e vincente, meno quella di puntare su Santamaria, che parla solo in italiano. Qualche bel dialogo scandisce un ritmo narrativo non certo travolgente, ma che ben si confà all'infinità attesa di ordini e sviluppi bellici.
MEMORABILE: Il canto del soldato; Il dialogo sul larice; Il suicidio.
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Daniela ebbe a dire: Grazie Fabio, sei stato gentilissimo :o) Grazie a te, è bello sentirsi fare una domanda e condividere una passione in modo profondo e soprattutto costruttivo
un abbraccio
Grazie Fabio della delucidazione. In effetti la nota mi aveva incuriosito. Poi Olmi ha il mio massimo rispetto.
DiscussioneDaniela • 7/11/14 13:55 Gran Burattinaio - 5928 interventi
Sapete, ho cercato in rete immagini del film per rendermi conto dell'effetto ottenuto con questa tecnica, ma si trovano quasi tutte a colori... Una delle pochissime che forse può rendere l'idea è questa:
http://quinlan.it/2014/11/05/torneranno-i-prati/
DiscussioneZender • 7/11/14 15:28 Capo scrivano - 47821 interventi
Sì è una delucidazione interessante. L'effetto penso si riesca a capire bene solo a cinema, comunque.
DiscussioneDaniela • 7/05/18 13:59 Gran Burattinaio - 5928 interventi
Anche senza amare particolarmente il suo cinema, che ho visto poco e male, ne ho comunque sempre apprezzato il rigore: mi propongo/impongo una retrospettiva, a partire da quel Il mestiere delle armi che, a differenza di altri titoli, mi colpì molto all'uscita nelle sale.
Anche io non ho mai amato molto il suo cinema (che peraltro ammetto di conoscere poco), però sicuramente è stato molto importante per la settima arte. RIP