The Mauritanian - Film (2021)

Quando la giusta denuncia civile non trova adeguata sponda nel pathos filmico. Se le premesse sono buone e cosa si scopre nei titoli di coda non può lasciare indifferenti, va detto che sia lo sviluppo dei personaggi che le schermaglie legali-procedurali (le parti più originali della trama) non vengono sfruttate a dovere. Anche gli interpreti trovano difficoltà a manifestarsi a tutto tondo eccetto Rahim, autore di una prova maiuscola nel ruolo principale. La regia dimostra sufficiente personalità ma la parte centrale dell'opera sconta un che di prevedibile e indeciso sul da farsi.

L'estorsione mediante tortura di confessioni nel periodo post 11 Settembre nel campo di Guantanamo, rappresenta una delle pagine più buie della storia americana. Il film di Kevin Macdonald assume pertanto un valore di testimonianza civile al di là dei suoi meriti artistici. Si tratta comunque di una pellicola con alcuni meriti (tra i quali l'ottima interpretazione di Tahar Rahim che è nettamente superiore a quelle piuttosto routinarie dei suoi colleghi e la buona ambientazione) e alcuni difetti nella costruzione drammaturgica che prevede qualche calo di tensione di troppo. 

Una storia (vera) di straordinaria ingiustizia raccontata in modo troppo ordinario: è il difetto di questo film meritevole nei contenuti e diretto con competenza, ma non molto diverso dai tanti legal thriller USA che mostrano come, di fronte ad un vulnus nel diritto, il sistema sia in grado di emendare se stesso. Così il calvario del protagonista interpretato dal bravo Tahar Rahim suscita il nostro interesse, ma non ci coinvolge né emoziona come avrebbe potuto/dovuto considerato il soggetto. Nonostante questo, il film è da vedere come spunto per riflessioni e approfondimenti. 

La Mauritania è una repubblica islamica dell' Africa nord-occidentale e qui parte la storia di Mohamedou, accusato di aver preso parte all'infernale attentato dell'11 Settembre mediante prove irrisorie. Poco a poco di disvela il lungo periodo di torture subite nella prigione cubana di Guantanamo, atte a estorcergli per disperazione una confessione di fatti mai avvenuti. Un film onesto, ben recitato, emozionante specie negli ultimi 10', quando interviene il vero protagonista, oggi nel proprio paese, orgoglioso delle sue memorie tradotte in tutto il mondo.

Correttamente democratico, il film di Macdonald consolida la tradizione americana del cinema civile, recentemente rinnovatasi attraverso opere di diverso peso e spessore, da Spotlight a Report. Col consueto piglio documentaristico l'autore di State of play prova a guidarci nell'inferno di Guantanamo pur se la narrazione appare talora farraginosa, sospesa tra richiesta di coinvolgimento nei riguardi dello spettatore e analiticità di fatti e files. Non a caso molto pesa sulle spalle degli interpreti, dal sofferto Slahi di Rahim a una Foster che ha un paio di smorfiosi guizzi di classe.