Tacciato dai più di calligrafismo,didascalismo o addirittura pavidità, l'opera vive del principio termodinamico secondo cui quanto più l'involucro è gelido tanto più il nucleo è rovente. Se è vero che sposare il punto di vista della vedova Curtis fa storcere il muso,al pari di talune filologiche omissioni e madornali imprecisioni,va comunque riconosciuto che il gelo dell'opera è di quelli calorosi ed è consustanziale alla figura e agli eccessi empatici di Curtis, figuro arduo da tratteggiare, impersonificato con impressionante aderenza da Reily
MEMORABILE: Existence well what does it matters? I exist on the best terms I can: the past is now part of my future, the present is well out of hand
Mi sono sempre molto piaciuti i Joy Division, di Curtis ho saputo poco e la possibilità di avere maggiori informazioni biografiche ha già il mio apprezzamento pre-visione; però il film ha cominciato a piacermi da metà, una volta superata l'idea di un b\n che mi è apparso scelta convenzionale e il poco phatos con cui viene raccontata la storia di un ragazzo che dapprima vien dipinto un po' come uno sfigatello. Recupera più o meno da metà, quando si iniziano a sentire le musiche opportunamente piazzate in giuste scene. Buona atmosfera e degno omaggio.
Tecnicamente professionale ed inappuntabile, la pellicola è stata accusata da più parti di eccessiva freddezza. Sicuramente il grado di coinvolgimento non è vertiginoso e qualche emozione in più non avrebbe guastato, tuttavia il registro stilistico scelto dal regista è preferibile a quello di chi invece quando gira film del genere cerca di dar vita a “santini” ruffiani che alla fine risultano solo stucchevoli oltre che improbabili. La figura tormentata del protagonista (che però non conosco per nulla) mi sembra ben reso.
L'approccio distaccato alla materia biografica è un limite ed un pregio. Pregio perché non gettarsi a capofitto nell'agiografia e cogliere gli aspetti quotidiani (desunti probabilmente dai racconti di quanti hanno condiviso più di un momento con Ian) è probabilmente una forma di rispetto che Corbijn voleva palesare. Come Van Sant per Last Days, che esasperarva il concetto filmando solo camminate, c'è però un limite, che è quello della partecipazione dello spettatore. Proporzionale al coinvolgimento emotivo (pre-filmico) nella vicenda dei Joy Division.
La bella fotografia in bianco nero e la regia freddissima raccontano la tormentata vita di Ian Curtis nella maniera più distaccata possibile. Giusto così, dato che è lo stesso protagonista ad essere distaccato da tutto quello che ha intorno; forse da tal regista mi sarei aspettato qualche colpo di classe in più ma effettivamente questo film non poteva non essere girato che così.
MEMORABILE: L'ultimo attacco epilettico sul palco.
Biopic sulla vita di Ian Curtis, indimenticata voce dei Joy Division, firmato da Anton Corbijn, regista di videoclip noto soprattutto per la sua collaborazione coi Depeche Mode. Girato in un livido bianco e nero, è un film raggelato che tiene a distanza ogni immedesimazione a favore di un approccio tutto documentaristico. Diligente fino al finale, quando si impenna con due sequenze da brivido: quella che anticupa il suicidio e il suicidio vero e proprio, girato senza inutili sensazionalismi e tutto fuori campo. Ovviamente ottima la soundtrack.
La tormentata e breve vita del leader del gruppo musicale dei Joy Division che dalle plumbee atmosfere di Manchester creano un sound unico ed originale tuttora fonte d'ispirazione di molti gruppi musicali tuttora in voga. La narrazione è inappuntabile e il bianco e nero rende efficace l'angoscia che pervade il protagonista. La sofferenza poetica si manifesta nelle liriche drammatiche scritte da Curtis.
Francamente non sapevo cosa aspettarmi da Corbijn e un film su Ian Curtis... certo non questo pastrocchio che lo dipinge semplicemente come un povero fesso diviso tra due donne apparentemente opposte. Il protagonista è bravo e come voce è un buon clone del compianto leader dei Joy Division, ma il resto del cast è abbastanza penoso e il film si rivela noioso perfino per un fan. L'eccessivo contatto con la vedova Curtis non ha reso, probabilmente il film avrebbe giovato da una maggiore indipendenza.
MEMORABILE: I primi dieci minuti con la vita di Curtis pre-band.
A parte l'eccezionale performance di Riley, il biopic sul leader dei Joy Division è noioso. Possibile che la vita di Ian Curtis sia stata così banale come ci viene raccontata, a parte la tragica fine? Possibile che sia stato un semplice susseguirsi di fatterelli oscillanti tra concertini e tradimenti coniugali? Manca il senso del tormento giovanile, manca il senso musicale (nonostante i numerosi brani), mancano l'epoca e l'atmosfera, che si cerca di dare soltanto con un b/n bello sì ma estetizzante e ingiustificato. Un'occasione mancata.
Film esteticamente inappuntabile, bellissimo bianco e nero, colonna sonora straziante, protagonista eccellente, comprimari azzeccati. La storia è incentrata più sul versante privato (il matrimonio precoce, l'amore per un'altra donna, la paternità sostanzialmente ignorata, l'epilessia) che su quello musicale e pubblico dell'artista e viene ricostruita tramite le canzoni dei Joy Division, a riprova di quanto di personale e intimo il cantante mise a disposizione del pubblico. Fino a logorarsi, a perdere il senso di sè e a morirne.
Sinceramente ho apprezzato la scelta di Corbijn di rendere l'opera fredda e distaccata: non è un limite ma sicuramente un pregio. Troppe volte ho assistito a film biografici eccessivamente romanzati, per cui sono rimasto contento che questo si distacca dagli altri. Secondo me una figura come quella di Ian Curtis andava raccontata esattamente in questo modo. Le attese non sono state disattese. Il film non coinvolge emotivamente, ma anche in questo caso e per quest'opera non è un difetto. Da vedere assolutamente.
Per chi non lo sapesse, la musica dei Joy Division e i testi di Ian Curtis sono stati seminali per l’intera storia della new wave e del dark; di questo nel biopic di Corbijin ci sono soltanto vaghi accenni (le canzoni, il manager, i Buzzcocks, il NME), giacché l’obiettivo primario sembra riproporre – piuttosto fedelmente, bisogna ammetterlo - le mimiche e i balli epilettici del cantante sul palco e ricordare minutaglie sulla sua burrascosa vita privata. Il b/n diffonde una nostalgia artificiale, che tuttavia si converte in pathos genuino nel tragico momento del suicidio. Bene gli attori.
MEMORABILE: Il contratto firmato con il sangue; le battute di Peter Hook sul nome "Buzzcocks".
Cosa ci si aspetta da una biografia e nemmeno scritta dall'interessato, ma da una "interessata", la vedova di Ian Curtis? Detto questo e nonostante questo, io credo che il film sia buono, molto buono. Ricreato molto bene quel periodo e l'atmosfera così inglese di tutti i protagonisti, anche quelli meno essenziali. Fotografia eccellente, ma da Corbijn c'era solo da aspettarselo e se la cava anche come regista di lungometraggi. La personalità di Ian, per quello che se ne sa, rivive bene nella ammirevole interpretazione di Sam Riley. Buone le musiche.
La breve vita di Ian Curtis, un grandissimo della musica dark e della new wave britannica fine anni Settanta, in un film in bianco e nero freddo e distaccato che pur risultando a tratti insoddisfacente, dà allo spettatore un'idea dei tormenti del cantante, la cui vita venne stroncata agli albori del successo (che poi i suoi compagni di band hanno conseguito col nome di New Order). Bravo il giovane Riley, indimenticabili i pezzi migliori del gruppo rivisitati in una Manchester spettrale.
Sicuramente, come la maggior parte dei film biografici, ci saranno alcune omissioni/imprecisioni e il fatto che sia stato prodotto dalla vedova Curtis è forse il motivo dell'eccessivo dilungarsi sugli amori tormentati del cantante. Detto questo, il film è comunque eccellente, avvolto in un manto di gelo e grigiore che rende alla perfezione l'atmosfera sospesa e malinconica della musica del quartetto. Straordinario Riley ma bravissimi anche tutti gli altri, completamente calati nelle loro parti con rara immedesimazione. Per me, un ottimo lavoro.
Livido e imperscrutabile come il viso e la personalità di Ian Curtis, questo biopic del bravo Corbjin ha lo spessore filmico necessario per stagliarsi nella mente non come semplice esercizio di stile, ma come opera distaccata e intima cercando di sondare un malessere invisibile: depressione, apatia, frustrazione, malattia, caos sentimentale: tutto condensato e raffreddato da un taglio documentaristico volutamente avaro di emozioni indotte. Per regalarle si sceglie la strada più impervia e il fuori campo finale ne è l'ottima e coerente sintesi.
MEMORABILE: La smagliante fotografia in b/n; L'interpretazione di Riley.
Biografia dall'adolescenza alla prematura scomparsa di Ian Curtis del gruppo dei Joy Division. Pur rispettando la cronistoria man mano più drammatica, il taglio del film toglie ogni enfasi e preferisce inquadrare realisticamente l’ambiente urbano e musicale del periodo. Corbijn usa ottimamente il b/n e studia inquadrature per descrivere i sentimenti e le solitudini. Il ritmo non elevato e la mancanza di empatia col protagonista (meglio la Morton) non permettono all’epilogo di colpire come dovrebbe; almeno le splendide canzoni suppliscono e danno emotività.
MEMORABILE: L'inquadratura fissa alla Morton mentre guarda alla tv il primo show live.
Più che la ricostruzione fedele dei fatti - il film si rifà alle memorie della vedova di Curtis, con le inevitabili parzialità che ne conseguono - il film è un impietoso viaggio nella depressione, la cronoaca di una morte annunciata che rifugge la morbosità per rendere un sincero omaggio all'artista. Riley impersona Curtis con un camaleontismo impressionante e il b/n della fotografia ricrea il senso di alienazione che pervase la vita dell'artista. Buono il cast di contorno, soprattutto Kebbell nel ruolo del manager sboccato.
MEMORABILE: Il contratto firmato col sangue; Il suicidio, lasciato giustamente fuori campo.
Un biopic tanto freddo quanto affascinante, oltre che formalmente impeccabile (come del resto era la musica del grande quartetto di Manchester). Da un ottimo regista di videoclip come Anton Corbijn mi sarei aspettato maggior spazio alle canzoni (presenti sì, ma quasi esclusivamente come live); per il resto nulla da eccepire, la fotografia è a dir poco stupenda e le interpretazioni convincenti. Sicuramente un buon lavoro, nel complesso.
Ian Curtis è stato una figura talmente unica, irripetibile che era praticamente impossibile "rifarlo" al cinema; il bel faccino Sam Riley ci mette il massimo, ma se qualcuno ha visto i rari video rimasti con Ian Curtis capisce bene la differenza. Per il resto il film è freddo, minimalista, formalmente molto curato e concentrato esclusivamente sulla vita privata di Ian con poco spazio alla musica (!). Non si riesce però del tutto a rendere il tormento interiore autodistruttivo di questo Genio, nonostante il funereo bianco e nero. Bello il finale.
Corbijn, già autore di moltissimi videoclip e regista "ufficiale" dei Depeche Mode, si cimenta per la prima volta in un vero film e il risultato è interessante, anche per chi non conosce a menadito i Joy Division. Control è un'opera asettica, in alcuni frangenti quasi glaciale, che sospende la tipica ruffianeria dei biopic per raccontare brutalmente il progressivo isolamento di Curtis dal mondo, soffermandosi in specie sulle sue relazioni distruttive. Riley è molto bravo e ha dalla sua anche un'incredibile somiglianza col cantante. Ottimo.
Il grande merito di Corbijn è quello di rappresentare il compianto Curtis non per l'eroe che è stato dipinto post mortem, ma per il tormentato e sempiterno adolescente che era, una wannabe rockstar a suo modo arrogante e senza troppa empatia verso il vissuto del prossimo. Ci si poteva aspettare qualcosa in più sotto il profilo della messa in scena, ma i difetti di sceneggiatura sono compensati da un plumbeo b/n esteticamente superbo. Ottime le prove del triangolo Riley-Morton-Lara e sulla musica, beh, che altro dire...
MEMORABILE: La lunga preparazione al suicidio: un climax di venti minuti che si dissolve in una manciata di secondi off screen.
La vita (breve) di Ian Curtis, leader carismatico del gruppo punk Joy Division, è resa ancora più drammatica da un b/n espressivo. Più che un semplice biopic, una storia sulle fragilità di un ragazzo nel gestire il successo coniugandolo con la vita privata. I suoi malumori, ma soprattutto i suoi cangianti umori, dirigono il racconto verso un epilogo anticipato, ma comunque di indiscutibile, viscerale presa. Inutile sottolineare quanto bravo ed espressivo sia il protagonista.
Tratto dalla biografia di Ian Curtis scritta dalla moglie Deborah e probabilmente un po' tendenziosa. Il tono reiteratamente understatement non giova molto alla causa. Corbijn gira in un bianco e nero impeccabile, con momenti ragguardevoli. Attori discreti. Il destino di Ian è legato a quello della settima Arte da una curiosità tanto pluricitata quanto priva di fonti attendibili: poco prima di fare quello che ha fatto avrebbe visto La ballata di Stroszek in TV. Tre pallini o due e mezzo: dipende se piacciono i Joy Division.
MEMORABILE: "Dead souls" dal vivo; La seduta ipnotica; Ian che guarda il film in TV; In negativo l'orribile remake di "Shadowplay" sui titoli di coda.
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE: Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT): Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ: Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICHE: Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
Tra le tante omissioni del biopic, va segnalata l'interessante amicizia tra Curtis e Genesis P-Orridge; i due avevano intenzione di fondare una band assieme dopo il rispettivo e reciproco scioglimento di Joy Division e Throbbing Gristle
Curtis era ossessionato da Weeping [brano dei TG che P-Orridge ha scritto dopo aver tentato il suicidio col Valium]; la notte prima di suicidarsi telefonò a P-Orridge cantandogliela in lacrime; subodorato il guasto, Genesis cercò disperatamente di convincere tutti gli amici in comune di andare da Ian e controllare se fosse tutto a posto, ma invano: nessuno lo prese sul serio
Dopo la morte di Curtis, il gruppo passato un periodo di smarrimento tornerà in auge cambiando nome. Inizialmente il gruppo si chiamava Warsaw, ispirandosi ad una canzone di Bowie, Warsawa appunto, in seguito con Curtis al timone mutò il nome in Joy Division, che rappresentava il contingente di prostitute preposte al piacere degli ufficiali tedeschi nei campi di concentramento. Deceduto Curtis presero il nome di New Order. I New Order variarono il loro genere musicale, da un dark evocativo ad un dark più elettronico e commerciale che tuttora li rende appettibili nel mercato musicale mondiale. Le liriche di Curtis sono tuttora molto osannate nel campo della musica leggera ed autorevoli cantanti come Bono Vox degli U2, tra gli altri, hanno sempre ricordato Curtis omaggiandolo durante i concerti.