1941, occupazione della Libia. Un'armata Brancaleone di facce e dialetti italici (ma i dialoghi soffrono di qualche anacronismo) se la vede con un deserto inospitale e l'eterna assurdità della guerra. Il tema è affrontato con i tratti ironici di Monicelli, capace di affiancare al romantico Haber alla disperata ricerca di parole il concreto (e bravissimo) Placido in un sottofondo di amarezza. Qualche momento di stanca e qualche macchietta (il generale e i suoi passaggi accelerati) non rovinano l'armonia. Azzeccatissimo l'apporto di Ho visto un re di Jannacci/Fo.
Il ritorno al cinema del grande vecchio Monicelli è una commedia bellica scissa in due a causa del doppio soggetto da cui è tratta. La prima parte, caotica, chiusa e raccolta, pare più una rielaborazione di Mediterraneo: in realtà si parla di scontri culturali e dell'Islam di oggi. La seconda invece è un road movie con punte surreali (il generale di Sanguineti) che mettono in luce le assurdità della guerra. Tra le due la più riuscita è questa. Monicelli gira ancora con brio e verve, rielaborando anche alcune intuizioni viste nel secondo Brancaleone.
MEMORABILE: Carissimo... per il bene che ti voglio...
Monicelli è tornato; quasi 90 anni e non li dimostra per niente. Il film un po' sì.
Intendiamoci, è tipica commedia all'italiana; i personaggi sono azzeccati (sopratutto Placido, irresistibile frate naif), l'assurdità della guerra è rimarcata con la consueta ironia e amarezza alle quali ci ha abituato il regista ma... ma alcune cose lasciano perplessi; ad esempio le scene accelerate del generale (alla lunga stancano) o certi dialoghi un po' ridicoli.
Comunque, bentornato maestro!
Un reparto medico militare finisce risucchiato in una ritirata nella guerra d'Africa. Monicelli ci mette un po' tutta l'Italia, da nord a sud, facce e dialetti, truppa fatta dal popolo e ufficiali colti ma ben poco marziali. Si parte con la farsa e la cosa funziona poco. Poi il film comincia a funzionare, con toni più equilibrati e momenti efficacissimi (il matrimonio per procura su tutti). Qualche gag poco riuscita, ma nel complesso è un film interessante e mai cartolinesco.
Gli attori si muovono discretamente e in qualche scena rivive lo spirito dissacrante dell'armata Brancaleone, ma nel complesso è un film poco originale, tecnicamente povero e discontinuo nei personaggi, che secondo me Monicelli faceva meglio a non girare. Nonostante molti della critica ufficiale gli abbiano fatto da balia c'è veramente da augurare al re della commedia italiana una strameritata pensione.
Ultima fatica cinematografica del Maestro: gradevole ma non del tutto riuscita; infatti si respira aria di cinema povero e la realizzazione tecnica non è particolarmente riuscita. La storia non è molto originale, però ci si possono trovare temi cari al grande regista nonchè richiami brancaleoneschi e meditterranei. L'idea di mostrare "accelerate" tutte le sequenze che vedono protagonista Tatti Sanguineti è simpatica all'inizio, ma alla lunga stanca un po'. Sicuramente da vedere, ma i capolavori di Monicelli sono ben altri.
La guerra coloniale italica vista con gli occhi del maestro toscano qui nell'ultima sua fatica cinematografica. Un discreto affresco dialettale con personaggi minori assurti a complici della narrazione, tuttavia il risultato non è eccelso e nonostante la seconda parte bellica ci si aspettava francamente di più.
Sessantacinquesimo ed ultimo film del grande Monicelli, Le rose del deserto riprende un tema molto caro al regista, quello del rapporto tra la guerra e il popolo italiano che in frangenti bellici mostra il meglio e il peggio di sè contemporaneamente. Nonostante il talento del grande regista emerga in modo preponderante, il film è penalizzato da una resa tecnica inadeguata e dalla prova di un cast non sempre all'altezza che ne fanno purtroppo un'occasione sprecata.
L'aspetto più interessante del film è la visione insieme ironica e realistica, oltrechè umana, dei comportamenti dei soldati italiani (soprattutto) e tedeschi in Africa durante la II Guerra Mondiale. Anche la figura del frate domenicano (un bravo Placido) forte e disincantata, contribuisce a dare un aspetto veritiero a tutta la vicenda. Ottima la sceneggiatura; la regia di Monicelli, novantenne, è esemplare, gli interpreti tutti in parte. Originale e buona la scelta delle musiche.
A metà strada fra la parodia, la commedia, il grottesco e il drammatico. Ci sono alcune macchiette (tipo quella del generale "accelerato") che sono tragicomiche. Ottimo Placido nei panni del prete. Alla fine il film è gradevole, anche se si fa fatica a inquadrarlo in un genere. In conclusione direi che, malgrado l'età, Monicelli ha qui ancora molto da dire...
Brutto, fiacco, spesso imbarazzante ultimo film del Maestro Monicelli. Non che non ci siano buoni momenti (e non è un caso che il momento migliore sia un "funerale"), ma davvero in queste due ore sfilacciate si stenta a ritrovarci l'estro, la cattiveria, la genialità del suo autore. Musiche moderne terribili e una confezione da fiction Rai anni 90 non aiutano. Incredibile la benevolenza della critica ufficiale, con Mereghetti che gli affibbia le stesse stelle di Romanzo popolare o Amici miei.
L'ultimo Monicelli è un ispirato ma imperfetto ritorno alle atmosfere soldatesche della Grande guerra con incroci quasi alla Mediterraneo. Alcuni episodi funzionano e commuovono, come quello del soldato Sanna, altri sono un po' tirati via come quello della donna araba col tenente Salvi. La confezione è sempre curatissima, con ottime ricostruzioni d'epoca in costumi e oggetti. Il cast fa il resto, con Placido sugli scudi e un intenso Haber. Buono.
Monicelli si accomiata dal cinema con un lavoro nel quale troviamo molti dei suoi temi preferiti: il gruppo di persone che deve compiere un'impresa non alla loro portata, l'antibellicismo, l'ironia sui rapporti tra i personaggi... I mezzi sono quello che sono (e quindi parecchio scarsi), alcuni interpreti non paiono all'altezza (il graduato di Tatti Sanguineti dovrebbe essere buffo ma è solo ridicolo), ma la zampata del vecchio leone qua e là è ancora visibile.
Pochi registi in Italia possono dire di aver concluso la propria carriera dignitosamente, Monicelli può farlo. Stavolta il gruppo di amici non sono ladri, né compagni o cavalieri ma militari in Libia, abbandonati in mezzo al deserto. Modernissimo per l'approccio all'Islam degli italiani, poetico nei due personaggi principali: un favoloso Haber - col bene che ti voglio - e Placido, prete molto poco ortodosso ma pratico e pragmatico. Senz'altro da vedere.
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"Quelli [i soldati]che ricordo io erano bassotti, con culi bassi, invece ai provini si sono presentati giovani belli, alti più di un metro e ottanta, palestrati e non rappresentavano certo l'esercito che ho conosciuto io".
Il produttore Mauro Berardi segnala che il costo previsto di 4 milioni di euro lievitò a 5 milioni per le richieste di Monicelli, soprattutto per gli esplosivi, e che i due litigarono dopo una lunga amicizia.