Lung II - Film (2016)

Lung II
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Titolo originale: Lung II
Anno: 2016
Genere: horror (bianco e nero)
Note: Aka "Lung", "Lung 2".

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 30/03/20 DAL BENEMERITO BUIOMEGA71
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Buiomega71 30/03/20 01:08 - 2901 commenti

I gusti di Buiomega71

Criptica e allucinata discesa in una mente devastata. Stevens crea un mondo incubotico e alienato nel tinello di casa a zero budget, preso a togliersi pezzi di vetro dalla testa e a vomitare sangue. Il bianco e nero aumenta il disagio viviso e alcune allucinazioni lasciano il segno (la mostruosa "cosa" bottiana nel cassonetto, l'amasso di carne semovente nel frigo con due sessi e il pene masturbato che sprizza liquami). Ma il mix tra lo sperimentalismo tsukamotiano e le derive underground non hanno il fascino necroforo e la putrida poesia di Flowers.
MEMORABILE: La testa nella valigia con gli scarafaggi; La carrozzina con lo scheletrino; I cadaveri marciti nel letto; La lotta tsukamotiana con l'alter ego.

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  • Discussione Buiomega71 • 30/03/20 10:26
    Consigliere - 25943 interventi
    Visioni, allucinazioni, alienazione, solitudine, follia, degrado mentale e fisico.

    Questa volta Stevens rende omaggio agli sperimentalismi frenetici e schizoidi di Tsukamoto, girando il suo incubo personale con zero budget e nel tinello di casa (nel vero senso della parola) e con esterni negli angoli più squallidi e desolanti di Philadelphia (un boschetto, un parcheggio, i vialetti delle abitazioni popolari).

    Bisogna dare adito all'autore (che questa volta impersona l'alienato protagonista, fino a sfiorare il narcisismo) di essere , forse, la personalità più autoriale, personale e originale del panorama underground horror contemporaneo, dove la passione viscerale e l'amore per il genere và oltre il semplice tran tran dello sbudellamento.

    Ma Lung (o Lung II) risulta troppo criptico, troppo fine a sè stesso, troppo irrisolto, con poco o nulla da dire, se non le derive nella follia del suo protagonista, dove Stevens si mette a nudo (e non solo metaforicamente) in un cortocircuito mentale e allucinogeno che, alla fine, rasenta anche un pò la noia.

    Viene a mancare la poesia macabra, la visonarietà estetico mortifera e la marcescente necrofilia che ha fatto di Flowers un piccolo gioellino.

    Un uomo (Phil Stevens) gira per i boschetti in preda a delirio e schizofrenia compulsiva, vede sè stesso (lo straordinario Bryant Lohr, che impersona lo stesso serial killer di Flowers, ricollegandosi così all'universo stevensoniano) che porta a spasso una carozzina, sentiamo i pianti di un neonato, ma la carrozzina contiene la carcassa di un cadaverino, l'omone (con la camicia imbrattata di sangue e lo sguardo perso nel vuoto) getta le ossa nell'acqua da un ponticello.

    Stevens vaga così per gli scorci più degradati della sua città, in preda a mostruose allucinazioni, fino ad arrivare in una casa dagli interni fetidi. Un uomo si è fatto saltare la testa con un fucile, il suo cranio è esploso e il sangue imbratta il muro.
    Stevens gironzola , come in trance, nella casa, nel frigo ci sono frattaglie umane sparpagliate quà e là, nella zozza vasca da bagno giace un cadavere oltre la putrefazione, nel lavandino galleggia, nell'acqua putridosa, il teschio di un animale, nella camera da letto altre due carcasse umane.

    Stevens ha flashback di una procace infermiera (pare uccisa a pugni eppoi sventrata) e di uno psicologo che bisbiglia frasi incomprensibili.

    Telefona a sè stesso, si cura il piede ridotto ad un ammasso di cane sanguinante con la carne che si apre.

    Ha ancora flashback di lui nudo in una camera di contenzione con le pareti imbrattate di sangue, eppoi velocizzazioni, lui che distrugge una piccola televisione da campeggio, seduto, nudo, su una sedia a rotelle, sbatte i pugni sul pavimento, poi schizzi ematici, irrefrenabili istinti violenti e omicidi.

    Disegna e dipinge freneticamente figure macabre e indefinite, trova una valigetta che contiene una testa mozzata che butta mosche e scarafaggi e un seghetto, lotta con il suo alter ego malvagio, si fa una doccia, si estrate pezzi di vetro infilati nella testa e sbocca sangue.

    Un altro ricordo assilla la sua mente ormai alla deriva, due donne amoreggiano nella stanza da letto (forse una è la moglie), prende una mazza da baseball e le uccide a bastonate, poi si siede sul letto e annusa il perizoma indossato da una delle due che si trova sul letto, riprende la mazza e disfa lo schermo della tv al plasma. Si reca nello scantinato e tenta di ammazzarsi facendosi cadere, sulla capoccia, una vecchia televisione legata ad una corda. Le schegge dello schermo infranto lo feriscono alla testa.

    Torna nel parco e aggredisce un passante con la stessa mazza, poi rivede se stesso nella figura spaventosa di Lohr.

    Stevens guarda a certo cinema underground sperimentale, il primo Lynch, Giovinazzo, Toscano, Anger, omaggia Carpenter, Zulawski e Barker, il Cristopharo di Red Krokodil ma il punto di riferimento pare sia il Tsukamoto di Tetsuo, in un blackout artistico troppo astruso e personale per coinvolgere davvero.

    Stevens non ha soldi, ma ha talento e passione, e gira le sue ossessioni personali in un bianco e nero che ne aumenta il disagio e l'atmosfera disturbante, così come sottolinea lo stato depressivo e la sporcizia.

    Ma anche se le suggestioni necrofore di Flowers paiono lontane, Stevens dona alcuni momenti "mostruosamente affascinanti" che lasciano il segno.

    Uno scheletro giace in uno stagno, in un cassonetto dell'immondizia, dentro ad uno scatolone, Stevens trova una sottospecie di creatura polimorfa che sembra un incrocio tra un aborto della cosa bottiana e la viscosa schifezza rambaldiana di Possession, che lo fissa con un occhio ciclopico semovente. Nel frigo della casa degli orrori , tra cervella e poltiglie umane non meglio definite, scorge un'ammasso di carne indecifrabile, che ha un seno e il sesso femminile aperto e un pene con glande in vista. Masturba stà cosa schifosa nel pertugio vaginale e strofina il glande, che comincia a schizzare sangue come se fosse sperma.

    Eppoi le derive necrofile dei cadaveri marci e scheletrici (come in Flowers), il tentato suicidio previo televisore sintonizzato sull'effetto neve, i tafani, i sanguinosi colpi di mazza, l'estrazione del dente dalla testa mozzata.

    Come in Flowers i dialoghi sono azzerati (solo l'inquietante commento sonoro di sottofondo e un barlume di bisbiglio volutamente incomprensibile-la telefonata-), una sfida narrativa tipica del regista, che accumula per immagini (l'incipit shock di carne fatta a pezzi, macellata, tranciata, tagliata, aperta, pasticciata e quello che rimane di un torso umano), vagando e divagando in perenne stato di schizofrenia (anche narrativa) e follia schizoide, tanto è tormentato il suo personaggio, tanto è paranoide il costrutto del film.

    Ottimi gli impressionanti sfx di Marcus Koch e la performance luridamente dissociata di Stevens.

    Stevens che non riesce a eguagliare la bellezza mortifera e carnalmente femminea di Flowers, con un progetto un pò troppo ambizioso (per gli standar del genere), non poco narcisistico e avvitato troppo su sè stesso.

    Il talento , comunque, non mente e questo personalissimo (forse troppo) viaggio all'inferno di una mente guasta e corrotta è nettamente superiore alla gran parte degli "extreme" visti ultimamente, che riconferma Stevens geniale e solitario cantore della desolazione e del putrido.

    Si avverte il tanfo di luridume e di necrofilia, ormai firma inconfondibile del regista di Philadelphia.

    Ma l'universo malato Stevensiano, questa volta, è esageratamente "cervellotico" e marcatamente "chiuso", zeppo di simbolismi e derive underground smaccatamente autoriali

    Manca, insomma, la sincerità e la passionalità viscerale che ha reso Flowers un piccolo miracolo.
    Ultima modifica: 30/03/20 16:29 da Buiomega71
  • Homevideo Buiomega71 • 30/03/20 10:59
    Consigliere - 25943 interventi
    Ottimo il dvd americano edito dalla Unearthed Films

    Sistema: NTSC

    Regione free (leggibile da tutti i tipi di lettori)

    Formato: 1.85:1

    Audio: Il film è senza dialoghi, ma usufruisce solo della disturbante colonna sonora composta da Mark Kueffner.

    Edzione da collezione a due dischi

    Nel disco 1 (LUNG 1): Work in progress di LUNG (una versione non completa del film), i corti (3 minuti) di Phil Stevens CATS e DESCENT (10 minuti), commento audio di Phil Stevens, selezione scene.

    Nel disco 2 (LUNG II): LUNG II (il film), il making of del film (43 minuti, praticamente con il solo Stevens sul set che spiega la genesi e la lavorazione del film, con il suo gatto che gira per la casa rimodellata a location ), intervista dell'autore della colonna sonora Mark Kueffner (9 minuti), l'artwork Martin Trafford Traffart al lavoro (6 minuti), 15 minuti di intervista a Phil Stevens e all'amico Bryant Lohr, commento audio di Phil Stevens, selezione scene.

    Durata del film ( versione rigorosamente uncut e in formato NTSC) di 1h, 14m e 11s

    Immagine al minuto 00.36.43. Phil Stevens nel bagnetto della casa, tra cadaveri nella vasca e teschi di animali nel lavandino, si cura il piede martoriato.

    Ultima modifica: 30/03/20 14:03 da Buiomega71
  • Discussione Raremirko • 31/08/20 23:28
    Call center Davinotti - 3862 interventi
    Mi è piaciuto e Buio ha ragione quando dice che Stevens ha punti in contatto con, tra gli altri, Lynch.

    Molto d'atmosfera, può contare su sfx pregevoli e tante situazioni disturbanti.

    Cervellotico, gratuito, ma unico.