Col caso Moro in realtà il film di Bellocchio (ignorato, nonostante le previsioni, al Festival di Venezia 2003) ha un contatto quasi casuale. Dell'atmosfera di tensione, di forte scontro sociale palpabile allora non resta che qualche telegiornale d'epoca, filmati di repertorio... Tutto quello che avviene all'esterno del covo dove Moro è rinchiuso ci giunge sbiadito, come fosse un mondo lontano, mentre sappiamo fin troppo bene quanto le BR fossero organizzazione complessa e strutturata. I quattro brigatisti a guardia di Moro sembrano vivere per conto proprio, nemmeno fossero semplici banditi sardi. È evidente che Bellocchio ha come unico obiettivo quello di scavare nelle...Leggi tutto loro psicologie andando oltre la rappresentazione di un avvenimento ormai storicizzato, ma anche qui non coglie assolutamente nel segno romanzando esageratamente e regalando al gruppo di brigatisti una debolezza, un’inquietudine di fondo che poco ha a che vedere con l'immagine reale costruita negli anni attraverso interviste e indagini. La figura di Moro, che pure sta sullo sfondo, emerge prepotentemente ma anche qui ci fa ricordare con nostalgia la strepitosa caratterizzazione offertaci da Volontè nel più riuscito IL CASO MORO. L'idea insomma era buona, il cambio di ottica che esclude tutti i movimenti della famiglia, della politica, della polizia permette di vivere il rapimento Moro in un’ottica diversa, ma ciò non toglie che il film viri eccessivamente nel dramma sconfinando in più occasioni nel patetico e risultando peraltro inattendibile nella caratterizzazione dei brigatisti. Se la firma non fosse di Bellocchio e il tema ancora così “scottante”, BUONGIORNO NOTTE rischierebbe di apparire come un tv-movie inconcludente. Fuori luogo il saccheggio dei Pink Floyd. Da confrontare con PIAZZA DLLE CINQUE LUNE, che quattro mesi prima aveva gettato ben altra luce sul caso Moro dando voce alle interessanti teorie "cospirazioniste" che includono i servizi segreti, Hyperion, Pecorelli e molto altro. Meno drammaturgicamente interessante ma molt opiù stimolante e "diverso".
Tentativo generoso ma in ultima analisi non compiuto di Bellocchio, che prova a illustrare gli aspetti metapolitici di una vicenda così lacerante e assurda, ma che pur rappresentando efficacemente, a tratti, il cumulo di idiozie sedimentate nella testa dei criminali, finisce per perdere di vista il contesto, suggerendo probabilmente controvoglia una sorta di pietas del tutto immeritata. Herlitzka è bravo ma è un Moro troppo astratto e idealizzato; in parecchie scene il ridicolo emerge irrefrenabile. Cinematograficamente riuscito il finale.
Uno dei film nello stesso tempo più inverosimili (dal punto di vista della realtà storica) e credibili (per il lavoro fatto sulla psicologia dei personaggi) realizzati sulla buia stagione del terrorismo. Il regista Bellocchio si concentra sulla figura di una giovane terrorista (bene interpretata da Maya Sansa) e sulla sua "deideloggizzazione", la drammatica e progressiva presa di coscienza dell'assurdità e antistoricità delle azioni di violenza politica. Sullo sfondo la figura di Moro appare come un doloroso e tragico simbolo. Da vedere.
Film non completamente riuscito, che soffre anche di snodi narrativi non risolti (il personaggio di Briguglia) e tuttavia ha almeno il pregio di far emergere l'idiozia assolutista che animava le menti di questi sedicenti rivoluzionari. Moro rimane un simbolo doloroso (ma siamo lontani dalla vera personalità dello statista) che dal luogo di prigionia mediava con i rapitori e il mondo politico come se si trovasse ancora in Parlamento.
Più che un film sul caso Moro si tratta della rilettura assolutamente personale (ma che a me pare a tratti condivisibile) che il regista ha dato del famigerato accaduto. Ovviamente, vista soprattutto la delicatezza dell’argomento trattato, il film ha scontentato tutti. In realtà si tratta di un’opera bella, intensa e particolare, con un bella regia, sobria e particolare, con dei buoni attori e condita, a tratti, dalle splendide musiche dei Pink Floyd. Se però vi aspettate una precisa ricostruzione storica è meglio che stiate alla larga.
Film inverosimile, a tratti ideologico, onirico, come, d'altra parte, lo sono state le Brigate Rosse; cioè assurde, ideologiche, non capaci di leggere né di comprendere. Il cast gira benissimo e si lascia vedere senza difficoltà alcuna. Introspezione prilegiata rispetto all'azione. Un punto di vista nuovo rispetto ai classici film sul tema ma che, a modo suo, è uguale eppur diverso. Le musiche dei Pink Floyd sono cornice e trait d'union dell'opera. Bello.
Bellocchio, da sempre regista attento al cinema a sfondo sociale/storico/politico, si cimenta in una rilettura degli "Anni di Piombo" e sul momento topico del rapimento Moro. Il tutto è filtrato attraverso un'ottica personale, che cerca di dare ai sequestratori un'umanità e una fragilità forse un po' eccessive, così come è tratteggiata in modo un po' troppo poetico la figura del politico. Buona comunque la ricostruzione storica, più suggerita che mostrata, dato che il regista si sofferma maggiormente in interni, sulla psicologia delle BR.
Il sequestro di Aldo Moro dalla prospettiva di un'ipotetica rapitrice consente a Bellocchio di raccontare in maniera inedita e non scontata, tra realtà e sogno, la follia brigatista: sono i gesti quotidiani dei terroristi, le occupazioni pratiche (notevole l'inizio con la visita all'appartamento), il fiato corto dei carcerieri di fronte alla sofferenza dell'ostaggio la vera potenza del film, in cui agisce un ottimo cast. Uno sguardo che interroga l'ininterrogabile ossessione ideologica e omicida e che ci lascia sconvolti. Grande cinema.
Ispirato al rapimento di Aldo Moro, il film offre una chiave di lettura molto personalizzata: sorge il dubbio ideologico ad una delle carceriere con conseguenti contrasti. Sullo schermo, spesso, vengono riproposte drammatiche immagini di repertorio. Finale ambivalente ma che si tiene lontano dalla realtà.
Roberto Herlitzka ci regala una splendida interpretazione di Aldo Moro in un film che altrettanto splendido non è. La colpa è di aver messo in particolare risalto una non ben chiara oniricità relazionandola ad un fatto che ha una connotazione storica e politica ben precisa, che lascia poco spazio a raffinate divagazioni metafisiche. Peccato perché il materiale e gli attori per far bene c'erano tutti. Rimandato.
Il rapimento di Moro come lo hanno vissuto i suoi rapitori. Le crisi di coscienza che si trasformano in visioni oniriche e i convincimenti ideologici che portano alla morte inevitabile del presidente DC. Punto di vista interessante, con Bellocchio che lascia volutamente in disparte la tematica sociale di quel tempo per incentrarsi sugli occhi del personaggio interpretato da una brava Maya Sansa. Non completo ma da vedere.
Quello che non è, è ciò che non poteva essere. Ma è configurando il possibile - addentro ai sogni e all'immaginazione di Chiara - che Bellocchio ci restituisce il collasso tra ideale e reale, scrutando il corpo di Aldo Moro scandalosamente scisso tra uomo e personaggio politico, evidenza e apparenza. Senza nulla aggiungere ai fatti storici, Bellocchio rievoca l'angoscia, il giro di vite micidiale che ha stritolato in un atroce accordo il gesto folle dei terroristi all'immobilismo silenzioso e colpevole dello Stato. Splendida Maya Sansa; stordente l'intensità emotiva di Roberto Herlitzka.
Il terzo occhio di Bellocchio coglie stati d'animo, sfumature, sogni, visioni appartenuti ai brigatisti carcerieri di Aldo Moro, nel corso della sua tragica prigionia durante i cosiddetti anni di piombo. Ne consegue non una mera descrizione dei fatti, ma un'interpretazione emozionale dal punto di vista in particolare di una di loro, un punto di vista mutato dalla "logica" spirituale e per questo veramente "rivoluzionaria".
Capolavorico point of view sul rapimento Moro, approcciato dall’interno di un microcosmo intimo quanto subdolo, alienato quanto consapevole. La pandemia degli anni di piombo è lasciata all’orizzonte, mentre è attraverso gli occhi e la mente di Chiara che si racconta l’universo febbrile, reale e immaginifico di un frammento dolente e inconcepibile della storia del nostro paese. I brigatisti tratteggiati come figure umane e per questo più ottuse e terrifiche nella loro quotidiana lotta al potere. Stupende le prove di Sansas ed Herlitzka. (****)
Bisogna rendere onore a Bellocchio per essere riuscito nella difficile impresa di fare un film che in apparenza potrebbe sembrare storico, politico; usando però fatti inventati, personaggi ambigui e intermezzi onirici un po' azzardati. Insomma, ci voleva un bel coraggio per girare un film sull'omicidio Moro visto dagli occhi di una brigatista che sembra uscita dal Favoloso mondo di Amelie (per fortuna senza scadere nel ridicolo). Film fra il trasognato e l'amaro, ma in realtà lucido nella sua analisi politica, con un Moro abbandonato da tutti.
Più che entrare nella storia della prigionia di Moro nello specifico ci si immagina le eventuali crisi di coscienza dei terroristi e i loro ripensamenti. La parte principale spetta a un'accorata Sansa che sa trasmettere intimo dolore senza pathos. Il resto è trattato come se fosse solo un brutto sogno, compreso il finale discutibile. Buone le ambientazioni e la fotografia, anche se i veri filmati di repertorio riescono ancora a dare un profondo impatto emotivo. Herlitzka non è Volontè e si vede.
MEMORABILE: Le lacrime della Sansa fuori dal nascondiglio; L'ultima immagine del Papa.
Il sequestro Moro narrato da una prospettiva particolare, con l'obiettivo puntato su volti, parole e gesti dei carcerieri, lasciando alla TV il compito di fornire il contesto e alle note dei Pink Floyd quello di suggerire una dimensione onirica, sottolineata nel finale. Anche essi prigionieri all'interno dell'appartamento, i brigatisti sono alieni, senza legami con la classe di appartenenza e neppure con quella per cui dicono di lottare. Film originale, ma poco convincente dal punto di vista della ricostruzione storica, in cui lo stesso evento centrale appare un pretesto per raccontare altro.
MEMORABILE: Il segno della croce fatto prima del pasto
Un film non riuscito, né negli intenti né nello svolgimento, che spesso annoia. Bellocchio vorrebbe fare un'opera sulla psicologia dei terroristi ma manca il bersaglio, facendosi surclassare dalla precedente opera-inchiesta di Ferrara che era molto superiore sia sulla psicologia di Moro (e fare comparazione tra Herlitzka e Volonté sarebbe come sparare sulla croce rossa) sia su quella dei brigatisti. Qui invece i suddetti sono caricaturali, mostrati a volte con retorica incarnata nel personaggio della terrorista che ha scrupoli. Brutto il finale.
Bellocchio realizza un film che si pone a metà tra la realtà dei fatti e un più ipotetico cosa sarebbe accaduto se... Il risultato non è malaccio, anche grazie alle decenti interpretazioni sia di Herlitzka che di Lo Cascio; un po' troppo seriosa la Sansa, che dovrebbe essere il fulcro della narrazione. La regia è discreta, così come la fotografia; manca un po' di convinzione nella sceneggiatura, forse eccessivamente attaccata ai fatti reali. Insomma, si poteva rischiare di più a mio avviso, ma comunque il tentativo c'è stato.
1) Bellocchio sa cosa dire. 2) Lo dice benissimo. 3) Si può non essere d'accordo con quanto dice. Dipinge i tre brigatisti (non la Sansa) come degli allucinati (con frasi assurde tipo: "Ma allora se si ribellano anche gli impiegati... è fatta!" "Ma perché nessuno si ribella?"). La Sansa sembra appunto l'unico personaggio umano che vuole fare i conti con quello che le BR volevano essere (successori dei partigiani). Non convince il finale, che pare coincidere con la voglia di molti di dimenticare "la notte della repubblica".
Non tutto convince in questo comunque buon film sul rapimento di Aldo Moro. Il punto di vista è diverso. I fatti storici vengono praticamente ignorati, citati solamente dalla TV e dai telegiornali che fanno da continuo sottofondo. Si preferisce tracciare un profilo psicologico dei brigatisti. Operazione interessante che da una parte riesce, ma dall'altra li trasforma in alcuni momenti in autentiche macchiette. Convincente l'Aldo Moro di Roberto Herlitzka. Belli i momenti tra sogno e realtà. Recitazione discreta, anche se si poteva fare di meglio. Un buon film, con qualche svista.
I giorni di prigionia di Aldo Moro osservati dal punto di vista dei suoi rapitori (le Brigate Rosse) e in particolare di Chiara (interpretata da una brava Sansa), unica donna del gruppo. Parzialmente riuscito, il film risulta un po' forzato in alcuni frangenti. Bellocchio dà un tocco visionario alla storia, e questo rende il film meno piatto e più coinvolgente.
Dopo Picciafuoco, altra chiave di volta in quella peculiare compenetrazione fra sogno e realtà che è diventato il cinema di Bellocchio. L'affare Moro è "spiato" dal buco della serratura degli occhi di Chiara (una Sansa che come dice Briguglia tenta inutilmente di non mostrarsi bella), che ci restituiscono in maniera mirabilmente ellittica, senza necessità di ancoraggi cronachistici o storiografici precisi, tutta l'inesorabile insensatezza d'un punto di non ritorno della storia politica e sociologica del Paese. Strepitoso utilizzo della colonna sonora, voce di Herlitzka compresa.
MEMORABILE: "Siamo d'accordo tutti.." "Ma tutti chi?"; Fischia il vento, urla la bufera..; Moro e le lettere degli eroi della resistenza; "..ho pianto di rabbia".
E' una rilettura dell'evento Moro che si tiene volutamente lontana da qualsiasi racconto del fatto di cronaca e degli agganci politici preferendo presentare le personalità dei componenti il commando dei brigatisti, oltre che quella del condannato. Suggerendone le implicazioni e i dubbi che sicuramente avranno vissuto. A condire il tutto musiche spesso protagoniste, specie i brani dei Pink Floyd. Risultato non del tutto convincente, pesano delle pause e uno stile di ripresa che tende al televisivo.
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la figura di Maya Sansa, ed in generale la storia del film, è molto liberamente ispirata a " Il prigioniero" ( Einaudi) il libro scritto da Anna Laura Braghetti, la carceriera- vivandiera di Moro