Confesso che ero partito prevenuto. La credevo una storia molto lontana dagli abituali standard (cui sono abituato) e per questo inevitabilmente "lontana". Invece, pur dopo un'iniziale difficoltà, ho scoperto una storia godibile, fresca, ben scritta e realizzata. In alcuni tratti sembra un po' demagogica, ma con ogni probabilità è un giudizio nostro che viviamo al di fuori di quella realtà. Brave e simpatiche le attrici, personaggi maschili un po' troppo simili.
Libere, disobbedienti, innamorate, ma anche in gamba queste ragazze palestinesi di Tel Aviv che sognando l'Europa si proiettano in un futuro diverso dal maschilismo vero o velato dei loro partner. Tutto nasce dentro a un appartamento, fucina di idee e fermenti nuovi. Così, con uno stile colorato, fra piatti tradizionali e polvere bianca, si prepara la loro battaglia contro il mondo intero. Qualche stereotipo di troppo non ne svantaggia però la freschezza complessiva.
MEMORABILE: Il rituale dell'acconciatura del foulard di Noor, così sapiente.
Tre ragazze condividono un appartamento a Tel Aviv. Due si presentano subito in maniera molto disinibita, una invece cerca di resistere alle tentazioni della vita. Poteva uscirne un film sciocco e invece si tratta di un'opera niente male che mette al primo posto l'aspetto culturale non facendo di tutta l'erba un fascio. Interessanti sono le reazioni dei genitori rispetto alle vicende che toccano le loro figlie. L'arretratezza culturale non è solo legata a luogo ma anche alla mentalità del singolo.
Un appartamento nel centro di Tel Aviv in cui convivono tre ragazze musulmane, due disinibite e l'altra in via di emancipazione. Una storia piuttosto al ralenti in cui si mescolano tradizioni antiquate, proibizionismo, sessuofobia, accanto a pulsioni verso un'europeizzazione che passa però per discutibili vie. Poco credibili le "vendette" messe in atto contro un certo maschilismo e latita completamente la tragedia profonda della convivenza arabo-israeliana. Ne risultano dei modesti siparietti rigidi (come il cast stesso) e trasgressivi a "piccole dosi".
MEMORABILE: Ogni inquadratura una sigaretta; L'hijab di Nur; La "trappola" per il promesso sposo.
Commedia agrodolce che segue le vicende di tre ragazze che condividono un appartamento a Tel Aviv, città piena di contraddizioni, così come le protagoniste. I personaggi sono scritti molto bene e rispecchiano perfettamente il secondo e il terzo aggettivo del titolo (italiano), il primo invece decisamente no, perché per ragioni diverse - o addirittura opposte - "libere" non possono esserlo. Il film è spigliato, veloce, a tratti almodóvariano, i dialoghi brillanti e gli uomini, in generale, ne escono malissimo. Com'è giusto che sia.
Giovani coinquiline: l’avvocata e la dj lesbica disinibite tra sesso droga e rock’n’roll e la religiosa con fidanzato devoto. Un campionario di situazioni che giocano con l’inevitabile cortocircuito e la conseguente emancipazione delle tre, prima fragili poi forti, contro il patriarcato diffuso. Film femminista con garbo e determinazione, con una marcia in più e in meno: le donne sono palestinesi nella "bolla" Tel Aviv, avamposto di una cultura araba attuale, ma senza uno sguardo sulle reali condizioni conflittuali solo residualmente accennate.
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