Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza - Film (2014)

Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza
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MMJ Davinotti jr
Titolo originale: En duva satt på en gren och funderade på tillvaron
Anno: 2014
Genere: commedia (colore)
Note: Leone d'oro al Festival di Venezia 2014.

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Commenti L'IMPRESSIONE DI MMJImpressione Davinotti

Cinepresa fissa, attori quasi di più. Il film di Andersson (che si aggiudica nientemeno che il Leone d'oro) più che far riflettere annoia, punta l'occhio su personaggi interiormente disperati o sperduti e li piazza lì a dire qualcosa come in una goffa parodia di cinema d'autore, dove chi guarda è portato a ricercare per forza un significato ad ogni parola per non fermarsi davvero a riflettere sull'inconsistenza stessa dell'operazione. Tracce quasi impercettibili d'ironia nordica, qualche idea efficace sparsa con parsimonia e allungata come un brodo insipido, senza che si riesca a cogliere davvero il gusto per la caricatura o il sottile disegno surreale. Qualcuno si fa rivedere dopo un po', i due...Leggi tutto malinconici venditori di scherzi di carnevale più di ogni altro e giustamente: il contrasto tra ciò che vendono (sempre gli stessi tre articoli: i denti di Dracula, il sacco di risate e la maschera di zio Dentone) e il come lo vendono poteva offrire una delle chiavi umoristiche di lettura, ma tutto si confonde in un quadro d'insieme composto senza un obiettivo preciso apparente, seguendo forse un flusso di coscienza che però non arriva ad alcunché. Per questo appaiono oltremodo inaccettabili gli eterni silenzi, i ripetuti passaggi dell'esercito del re e del re stesso al bar, il soffermarsi semplicemente su chi guarda dalla finestra o chi si sporge dal balcone. Sempre in attesa che rifacciano capolino i venditori di scherzi, unico aggancio a un modo di interpretare il cinema legato a una comprensione più universale. Fotografia gelida, umanità altrettanto fredda. Scene come quadri da osservare attentamente, che nascondono in chi li abita sentimenti inespressi e incapacità di relazionarsi scavando oltre la superficie (sintomatico il finale con il gruppo di persone che aspettando il bus si domanda che giorno della settimana sia). La frase del titolo fa riferimento alla poesia che una ragazzina recita "indirettamente" (cioè raccontando di cosa tratta, senza recitarla) sul palco d'una scuola, uno dei tanti momenti che lasciano abbastanza perplessi. A tratti si percepisce l'originalità del progetto, più spesso si rischia l'assopimento di fronte a un film che procede tremendamente a rilento.

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 1/03/15 DAL BENEMERITO COTOLA POI DAVINOTTATO IL GIORNO 3/09/15
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Lou 3/03/15 18:26 - 1119 commenti

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Film di chiara impronta nordica, con atmosfere surreali e personaggi alienati che ben ritraggono l'assurdità della condizione umana. Non c'è vero intreccio, a meno della presenza di un'improbabile coppia di venditori di "materiale per divertirsi" in molte delle 39 scene di "nonsense". Il linguaggio dei mostri umani è ripetitivo e fatto solo di parole di circostanza. Dovrebbero forse far sorridere alcune delle grottesche situazioni rappresentate, ma prevale il senso di smarrimento e di insensatezza.

Xamini 4/03/15 00:05 - 1247 commenti

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Il Leone d'oro del 2014 è un film d'essai composto da 39 quadretti surreali malati di anaffettività e inizialmente slegati, che disegnano tuttavia un quadro (desolante) di insieme (l'unico significato possibile, si direbbe). L'opera di regia interviene precisamente in fase di allestimento della scena: ogni singolo elemento di ogni vignetta è posizionato con estrema precisione e gli spostamenti valorizzano l'insieme. È un cinema un po' difficile da digerire, di quelli che parlano per immagini e la comunicazione la praticano al di là delle parole; un cinema di ossessioni visualizzate, che comunica quasi solo ai palati fini (senza peraltro risparmiare sbadigli).
MEMORABILE: Il re al bar; Il vetro che divide l'umanità dalla solitudine dell'uomo che sbaglia appuntamento.

Cotola 1/03/15 11:30 - 9009 commenti

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Film dalla struttura atipica e senza una vera storia: è costituito da 39 "quadri"("volgarmente" diremmo sketch comici) attraverso i quali il regista riflette sull'esistenza. E così una certa umanità viene messa alla berlina con i suoi (dis)valori e le sue piccinerie. Su tutto emerge l'insensatezza della vita umana. L'umorismo è di marca nordica e non sense e non tutti potrebbero apprezzare. Alcuni quadri sono chiari, altri decisamente meno. In ogni caso un film ricco di riferimenti colti che forse meriterebbe almeno una seconda visione per essere meglio compreso. Non per tutti.

Rebis 9/03/15 16:53 - 2332 commenti

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Caro Roy Andersson, anche il cinema è una macchina. Uno di quei meravigliosi ordigni che l'homo sapiens ha creato per distruggere i suoi simili. L'homo sapiens. Quell'essere abbietto, miserabile di fronte alla morte, incapace di bellezza e amore. Caro Roy Anderson, il cinismo contempla della realtà solo una parte, quella che legittima la sua infelicità; e il nichilismo ne rifiuta la ricchezza, incapace di sostenerne il peso. PS: i piccioni non riflettono, vivono; parafrasi di un film che non vive, ma riflette se stesso.

Daniela 6/07/15 07:34 - 12622 commenti

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Una serie di tableaux vivants con figure di cera animate che ripetono più volte le stesse battute per sketch brevi quando non fulminei: se molti lasciano interdetti sul loro significato, altri colpiscono per la loro bizzarria, come quelli della coppia di tristissimi venditori di scherzi di carnevale oppure il re a cavallo che si ferma al bar prima e dopo la battaglia. Film certo non per tutti i gusti, ma che, se affrontato con pazienza e curiosità, ripaga con momenti di umorismo angosciante ed anche, inaspettatamente, con una sequenza di grande poesia e commozione (il canto della locandiera).
MEMORABILE: La maschera di zio dentone; la canzone della locandiera zoppa, che chiede un bacio in cambio di una bevuta a chi non ha soldi per pagare

Paulaster 8/07/15 16:46 - 4389 commenti

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Rispetto ai lavori precedenti registro registico invariato a livello di inquadrature; il film migliora sul fronte fotografico con colori meglio definiti dove il pallore dei personaggi emerge più chiaramente; meno caustico tende più allo sberleffo, ma alla lunga tedia. I due venditori annoiano e le vicende coi personaggi storici perdono di appeal: si preferiscono gli episodi dai momenti brevi. Il rimando a Kaurismaki è evidente per un certo tipo di surrealismo e stavolta anche per le musichine a corredo.
MEMORABILE: I ballerini di flamenco.

Didda23 10/09/15 10:45 - 2426 commenti

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Una concezione di cinema che allontana e non avvicina, che respinge e non attrae, che annoia e che non emoziona. Andersson, evidentemente, preso unicamente dal proprio ego e dal proprio status di "autore", si dimentica di chi il cinema lo alimenta (lo spettatore) e gli propina 100 minuti di vuoto cosmico, che rischia di irritare anche il più volenteroso degli esseri umani. Telecamera fissa, personaggi inebetiti, tormentoni di una tristezza disarmante sono gli elementi di un'opera trascurabile a dir poco. Premiare con il Leone d'oro un film del genere significa ammazzare il cinema. Micidiale.

Capannelle 3/12/15 23:02 - 4398 commenti

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Salvo la fotografia desaturata e il cast di facce tristi e indolenti. Per il resto l'assenza di storia e l'esistenza di soli piani sequenza condannano lo spettatore a una lenta agonia. Non riusciamo nemmeno a empatizzare con i due venditori di scherzi di carnevale, il refrain musicale non prende più e qualsiasi attesa di un cambio di impostazione si rivela vana.
MEMORABILE: "I denti da vampiro, la risata finta e la maschera di Dentone": mai li comprerò.

Lythops 20/02/16 20:11 - 1019 commenti

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Più che una riflessione sull'esistenza del regista, tanti quadri di vita buttati lì, con uno stile alla Ciprì e Maresco "evoluto", privo cioè delle volgarità e delle performance moltiformi areofagiche di Giuseppe Paviglianiti. E a riflettere sull'esistenza è lo spettatore che, pur trovandosi di fronte a un film non proprio per tutti, riconosce tante tipologie caratteriali nonostante la mentalità nordica a volte difficile. Vagamente pasoliniano, con una fotografia desaturata e scarna, non è classificabile, ma resta comunque notevole.

Hearty76 21/03/16 08:38 - 258 commenti

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Mi piacciono molto le storie-non-storie filtrate da un'angolazione surrealista senza che vi siano necessariamente una trama compiuta o una logica consequenziale; ma questa carrellata di scenette smorte e prive di qualsivoglia spessore è inguardabile. Non critico la cornice dell'umorismo nordico in sé, bensì l'ovvia non proponibilità d'un prodotto del genere al pubblico italiano. Se almeno conoscessi qualcosa della lingua svedese forse in qualche modo l'apprezzerei. Unico pro: concilia il sonno.

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Belfagor 20/01/18 14:37 - 2689 commenti

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L'asetticità dei tableau tradisce il dispotismo del regista, che forza lo sguardo su azioni vacue e meccaniche così come impone la propria visione unilaterale della vita. Se si deride (giustamente) l'idealismo ingenuo, allora bisogna fare lo stesso col nichilismo, sua faccia uguale e contraria, che eleva i propri limiti a condizione generale e priva il cinema del più basilare senso di meraviglia. Come il piccione del titolo, il film si nutre male e digerisce peggio, incarnando tutti i cliché del cinema d'autore e meritando il grido fantozziano.

Manrico 25/01/18 10:02 - 95 commenti

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Gli statici e surreali quadretti di umana desolazione allestiti da Andersson possono disorientare/annoiare lo spettatore meno propenso al mood, ma non si può negare al regista svedese una dolente capacità (molto nordeuropea, ma con profondi addentellati nel teatro del Novecento, prima ancora che nell'esageratamente citato Kaurismaki) di costringere a uno sguardo amaro e obliquo. Il re al bar, le sempre più squallide vicende dei venditori di scherzi, l'incomunicabilità delle telefonate, sono attimi ben riusciti di un film che ripaga gli sforzi.
MEMORABILE: Il vecchio che accetta la birra del cliente morto al bar della nave.

Bubobubo 14/10/18 16:14 - 1847 commenti

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Di un'immobilità ciclica e ricorsiva che, se da una parte mette a dura prova i nervi dello spettatore meno paziente, dall'altra disturba e perturba, nel suo mettere in scena variazioni ontologiche che reali variazioni, a ben vedere, poi non sono. Le intenzioni allegoriche si fanno esplicite da subito: la mancanza di senso che vada oltre l'orizzonte dell'immagine, anche. Non privo di momenti spassosi e coinvolgenti (tra cui la sequenza d'apertura), ma troppo lungo e surreale per coinvolgere.

Faggi 10/11/18 20:30 - 1549 commenti

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Tristezze cosmiche, entropia emotiva, umoralità dissestante, squarci malinconici, dilaniazioni psichiche, misteri di ingiustizie metafisiche, angoscia. Disincantati quadri a camera fissa e piani sequenza - le scelte formali sono categoriche, dal carattere deciso, senza slittamenti; decisamente funzionanti - per riflessioni (surreali, grottesche, inquietanti) dispiegate su registri di straniamento visuale e dialogico. Senza scampo siamo nei territori dell'imprevedibile umore saturnino, scaldato (a freddo) da calibrate dosi d'umorismo nero.
MEMORABILE: La canzoncina; La macchina rotante (sembra una pentola infernale).
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  • Discussione Graf • 11/09/15 10:43
    Fotocopista - 908 interventi
    Povera casalinga di Voghera, tutte a lei devono capitare...

    Va bè, allora immaginiamo che una casalinga di Voghera o anche di Forlimpopoli o di Villa Scorciosa vada a vedere uno di questi film....
    La mia era più una supposizione diciamo letteraria, buona per una piccola sceneggiatura, piuttosto che una descrizione di un fatto reale.
    Difficilmente, nella realtà, un operaio padano, un bracciante agricolo della puglia, un professionista romano o una casalinga di Voghera, letto il titolo, scelga questo film per divagarsi...
    D'altronde ci sono tutti i mezzi massmediologici a portata di mano per informarsi prima del contenuto o del tenore di un film...
    Ultima modifica: 11/09/15 14:33 da Graf
  • Discussione Rebis • 11/09/15 14:22
    Compilatore d’emergenza - 4419 interventi
    Faccio solo presente che non sempre i mezzi massmediatici ci mettono al riparo dalle boiate pazzesche, come è accaduto a me nel caso specifico, ben consapevole del tipo di film che stavo andando a vedere :D
  • Discussione Zender • 11/09/15 14:26
    Capo scrivano - 47726 interventi
    Beh, anche perché forse le boiate pazzesche son tali per uni e meno per altri :) Per questo chiedo di essere di solito il meno "tranchant" possibili, quando si scrive. Bisognerebbe poter scrivere cercando di spiegare innanzitutto cosa può piacere e cosa no.
  • Discussione Graf • 11/09/15 14:54
    Fotocopista - 908 interventi
    Non ho visto questo film e, credo, che non lo vedrò mai soprattutto dopo aver letto le acuminate critiche di Didda23 e di Rebis (che ridanno valore al dignitoso diletto della stroncatura – legittima se fondata - pratica oggi, ahimè, così poco esercitata in una fase storica che privilegia il politicamente corretto…)... però mi chiedo: tutti così noiosi i film dichiaratamente autoriali?
    Non è così, l’esito di un film dipende anche dal talento del regista oltre che da una valida sceneggiatura.
    L’esempio di Smoking/ no smoking (regia di Alain Resnais) è perfetto: film di 5 ore assolutamente concettuale e teoretico ma leggero come una piuma e di una raffinatezza stilistica che fa gioire lo spettatore…
    Evidentemente Roy Anderssonn non è Alain Resnais.
    Ultima modifica: 11/09/15 14:57 da Graf
  • Discussione Rebis • 11/09/15 15:24
    Compilatore d’emergenza - 4419 interventi
    Zender ebbe a dire:
    Beh, anche perché forse le boiate pazzesche son tali per uni e meno per altri :) Per questo chiedo di essere di solito il meno "tranchant" possibili, quando si scrive. Bisognerebbe poter scrivere cercando di spiegare innanzitutto cosa può piacere e cosa no.

    Certo Zender, infatti avevo scritto "come è accaduto a me"... penso che anche la noia sia una condizione molto soggettiva, io non trovo noiosi i film di Antonioni per dire, mentre mi sembrano uno stillicidio quelli di Sokurov. Certo, il cinema d'autore ha di solito una scansione narrativa volta alla riflessione, all'elaborazione concettuale, quindi va da sé che un rallentamento del ritmo va messo in conto. Però rilancio autori con la A maiuscola capaci di fare cinema impegnato mantenendo alto il livello di adrenalina, come Kathryn Bigelow o De Palma per dire, il cui cinema è irriducibile a quello di genere. Personalmente fatico un po' a circoscrivere il cinema d'autore e a distinguerlo da quello di genere, spesso è una distinzione limitante e fine a se stessa...
    Ultima modifica: 11/09/15 15:26 da Rebis
  • Discussione Didda23 • 11/09/15 16:47
    Contatti col mondo - 5798 interventi
    Ci sono troppe componenti da valutare: tematiche, sensibilità registica, gestione dei tempi e degli spazi.

    Non credo che sia giusto dire:

    ritmo lento = film palloso

    Stalker ha un ritmo dilatatissimo eppure ti ipnotizza dal primo all'ultimo fotogrammma.

    Il film di Andersson oltre ad essere tremendamente lento e ripetitivo (fosse solo quello il problema) non mi ha detto nulla a livello di tematiche, non ha creato quel pensiero costante nella testa che si crea solo davanti alle opere che danno un qualcosa.

    Amour di Haneke, per esempio, l'ho detestato soprattutto per l'ideologia, ma mi ha lasciato un qualcosa che mi ha fatto riflettere per giorni interi. Quindi anche se non mi è piaciuto, gli riconosco un valore autoriale non indifferente.

    In questo non ho mai sorriso, nemmeno a scene di un trash disarmante ( il re a cavallo e la zoppa canterina).

    Poi per carità a qualcuno è piaciuto e non mi sognerei mai di mettere in dubbio la credibilità di Daniele e Xamini che lo hanno apprezzato.

    Metto in dubbio la credibilità della critica che a unanimità non ha fatto altro che celebrarlo.
  • Discussione Graf • 11/09/15 21:34
    Fotocopista - 908 interventi
    Infatti Didda23, un film non si valuta perché è lento o veloce.
    Il ritmo del racconto filmico deve essere funzionale alla materia narrativa e stilistica dell’opera…
    Un film di Antonioni che avesse il ritmo travolgente di una farsa motoria sarebbe un nonsense.
    Una comica di Mack Sennet non può possedere la lentezza di certi film poetici di Tarkovskij: non farebbe ridere.
    La scelta del ritmo del film e della lunghezza o brevità delle singole inquadrature è una decisione espressiva molto delicata.
    Un montaggio troppo rapido ed agitato può creare problemi di ricezione per lo spettatore.
    Il colpo della metropolitana di Joseph Sargent è uno stupendo film di rapina che ha azzeccato il ritmo giusto nella concatenazione delle immagini; il suo remake, Pelham 123- Ostaggi in metropolitana, è solo un caotico pasticcio dal montaggio così rapido e cinetico da creare seri problemi alla normale percezione visiva degli spettatori…..
    Ultima modifica: 11/09/15 23:52 da Graf
  • Discussione Capannelle • 3/12/15 22:01
    Scrivano - 3486 interventi
    Cotola ebbe a dire:
    In ogni caso sono tutti piani sequenza: non c'è, o almeno così mi è sembrato, un solo movimento di macchina che sia uno.

    Vero, un'altro film dove hanno abolito l'addetto al montaggio. Datemi la forza di arrivare alla fine...
  • Discussione Daniela • 22/02/16 16:05
    Gran Burattinaio - 5930 interventi
    Lythops, visto che hai apprezzatoi questo piccione aggiungendo i tre pallini e mezzo ai mei quattro, così da rialzare la media poco esaltante - forse dovresti recuperare un film di poco precedente di Roy Andersson, Song from the second floor, con lo stesso stile e analoga poetica fra il comico ed il disperato.
  • Discussione Lythops • 23/02/16 07:26
    Call center Davinotti - 34 interventi
    Ciao! In effetti mi ha stupito la reazione della maggioranza. Per quanto mi riguarda, l'ho già visto tre volte: mi devo preoccupare? Lo faccio solo coi capolavori...
    Grazie della segnalazione, provvederò a cercare la filmografia integrale di costui. Ti auguro una buona settimana.
    Alessandro.