Già in tutta la sua prima parte si respira aria di grande cinema (da sottolineare la silente home invasion e , l'inutile, agguato della polizia, il lucernaio, la goccia d'acqua, Shepard nella stanzetta del bambino), dove le tematiche vanno dalla giustizia privata, ai sensi di colpa (notevole l'attimo in cui Hall si cruccia con la sua coscienza per aver ucciso un uomo e la moglie pensa solo al colore del divano da sostituire), alla persecuzione e ai sapori rancidi del revenge movie.
Poi Mickle (quì nella sua opera della maturità, anche se
We are what we are aveva già gettato i semi) vira bruscamente in quello che è puro cinema muscolare, decisamente walterhilliano, di amicizia virile e leggi fai da te (di mezzo Mickle prende pure il vecchio zio Sam e John Carpenter, e non solo per lo score di Jeff Grace), dove ci si addentra in zone laide e untuose (le vhs nel bagagliaio, i filmini porno/snuff con la ragazza immigrata uccisa a colpi di mazza), per poi esplodere in tutta la sua visceralità (sparatorie splatter, devastanti fucilate) in una via di mezzo tra
Hardcore e
Taxi Driver.
Gli umori sono quelli degli anni 80, ma con ristagnanti riverberi anni 70, dove Mickle da una luce oscura sulle videoteche tanto care a Tarantino e a noi appassionati, alla
Notte dei morti viventi proiettato in un cinema all'aperto, a un gruppo maleassortito di "giustizieri della notte" e al tanfo acre di tuguri che sembrano fabbriche di morte al lavoro (
8mm è dietro l'angolo).
Shepard giganteggia, Johnson (costantemente sopra le righe e dandole quel tocco grottesco tipicamente texano-che sembra uscito da un film di Dennis Hopper-) anche, mentre Hall convince nel ruolo del borghesuccio capitato lì per caso e messo in mezzo in un gioco più grande di lui (il pezzo d'orecchio mutilato da un colpo di pistola, la parziale sordità dello sparo come Stallone in
Copland) , mentre le figure femminili (così pregnanti in
We are what we are) sono solo di contorno (la moglie di Hall all'oscuro di tutta la faccenda pulp/gangster/noir che coinvolge, suo malgrado, il marito).
Il sangue sprizza copioso (sui muri, sui lampadari) per poi venire "scolato" nella tazza del bagno ( in una poltiglia liquamosa rossastra che rimanda a quella analoga di
Psycho II) e la violenza (quando arriva) è tostissima, così come i pedinamenti notturni in lande desolate che sembrano terre di nessuno.
Resa dei conti dolentissima (le colpe dei padri ricadono sui figli e il mito del fuorilegge dal fascino rude passa la consegna al giro sordido degli snuff movie con ragazze da massacrare) per uno dei film più intensi e solidamente aldrichiani di
giochi estremamente pericolosi degli ultimi anni.