Cupo, torvo, ammantato da una luce macabra e angosciosa, kammerspiel paranoico e orrorifico, in bilico tra cedimenti mentali e paure innominabili
Derrickson si riconferma autore coi fiocchi, personalissimo nello scandagliare le fobie e le paure ancestrali (già ben sciorinate nell'
esorcismo di Emily Rose, e ancor prima nel bellissimo
Hellraiser 5-di cui
Sinister ha diversi punti in comune, non ultimo la discesa negli abissi tenebrosi del protagonista e l'odore acre dello snuff movie-), attento alla psicologia dei suoi personaggi (Hawke è modellato sul regista stesso, per sua stessa ammissione), abile nel costruire storie di paure a scatole cinesi (i filmini, le case , il contrapasso della visione, la consegna dei piccoli carnefici), chirurgico nell'insinuare (sotto pelle) le fobie e le paure ancestrali
La morte al lavoro (da
Cannibal Holocaust fino al
Cigarette Burns carpenteriano) in bobine di filmini di famiglia che si trasformano nella morte in diretta (in realtà, come spiega il regista stesso in un intervista, lo snuff è un filmino dove si paga per vedere la morte di una persona, quì sembrano delle normali riprese da filmetto familiare della domenica, che si muta, improvvisamente, in incubotica sinfonia di morte), che sia in un assolata e tranquilla giornata in giardino (la terribile impiccagione iniziale), in un picnic (la famiglia bruciata all'interno dell'auto in fiamme che sembra
Christine), in un rilassante pomeriggio a bordo piscina (il macchiavellico e agghiacciante annegamento di massa notturno), in una tranquilla notte di tregenda (la famiglia sgozzata a letto) o il piano sequenza di un tosaerba (e non solo Hawke distoglie lo sguardo dall'inaspettata e raccapricciante visione).
Derrickson mostra l'orrore delle stragi familiari attraverso lo sguardo (e gli occhiali) di Hawke, concedendo poco alla macelleria, ma molto all'immaginazione (sottolineando il tutto con partiture musicali inquietanti e ambientali, fatte di voci, lamenti e rumori, davvero disturbanti, più delle immagini stesse) dove quello che sembra una scoperta che le può cambiare la vita, diventa una trappola mortale senza uscita (una volta che incontri uno scorpione nel solaio, un serpente, e un rottweiler-gigantesco come
Cujo, per ammissione dello stesso Hawke-allora sei bello che spacciato-e questi tre elementi torneranno nel finale nella raffigurazione babilonese, chiudendo il cerchio, come accade anche in
Kill List-) e cambiare casa serve a poco (
Paranormal Activity insegna)
Un incubo ambientale e casalingo che attanaglia e che sfocia nel feroce e surreale finale (quasi fiabesco), dove si toccano le corde di
The Children ( i bambini e i loro giochi di morte) e di
Poltergeist (dentro lo schermo, non più televisivo ma attraverso l'occhio di un proiettore) e di echi carrolliani (Alice entra nel paese delle meraviglie orrorifiche, il Bagul come il Cappellaio matto o il Bianconiglio)
Non tutto funziona alla perfezione (i noiosi e infiniti perlustramenti notturni di Hawke e i classici jumpscare, il brutto make up di Bagul-creatura che poco spaventa con quel look tra Alice Cooper e il Brandon Lee del
Corvo-e quello dei bambini fantasma che giocano a nasconderella tra le stanze della casa e intimano al silenzio-una bambina, poi, e troppo modellata sulla Jody di
Amityville Horror-), ma ci si passa volentieri sopra, perchè Derrickson sa trattare la materia, e quel che conta è l'angoscia che trasmette e il disagio che attanaglia (fino a quel finale allucinato e cattivissimo)
Punta di merito alle sonorità composte da un Christopher Young in stato di grazia
Derricksoniano fino al midollo, con momenti genuinamente terrificanti.
Pitturando casa