Il vecchio leone Skolimowski (che alterna con sapienza tecniche registiche diverse) si tuffa con la foga di un giovincello in un soggetto che parebbe quello trito e ritrito dell'evasione ma che invece si trasforma, per tempi e atmosfere, in una specie di Dead man più crudo ma non meno lisergico (un paio di scene meritano da sole la visione). Un talib evade e torna al primordiale spinto da un animalesca voglia di sopravvivenza. Gallo, muto, si trasforma in un credibile e sofferto uomo in fuga. A tratti ostico, forse un po' ripetitivo, ma da vedere.
Il territorio di guerra in questa curiosa operazione del bravo regista polacco è semplicemente un espediente per analizzare una fuga, la disperazione di un individuo braccato in un territorio ostile e sconosciuto. Il disorientamento va a braccetto con la voglia di sopravvivere e il bianco della neve amplifica lo smarrimento e l'inquietudine. Diverse le scene riuscite (l'incredibile "poppata"). Per sganciarsi da una storia minimale e criptica adotta qualche svicolamento onirico un po' confuso. Niente male la prova di Vincent Gallo. Interessante.
La regressione da uomo ad animale non è casuale come sembrerebbe, ma è frutto della follia bellica: a quel punto non resta che sopravvivere ed essenzialmente uccidere.
La bella idea di partenza è supportata da una regia di alto livello e visivamente
sopraffina e notevole, ma non è irrobustita a dovere da una sceneggiatura che qua e là,
pur nella sua brevità, tende a ripetersi (ma non eccessivamente) e a rimanere (volutamente?) sospesa. Ne esce fuori un film intrigante, a tratti ammaliante ed ipnotico ma, forse, un pò incompiuto.
Criptoremake di una prodromica Caccia sadicanella bassa Baviera, questo à rebours fino allo stadio larvale, ove la posta in giogo è il sofferto recupero di ogni verginità. Immerso in onirici squarci di bianco, spezzettato da allucinatorie deflagrazioni, epigrafato ad hoc da sure del Corano atte a scandire il Golgota di un sordomuto Gallo costretto a padroneggiare un deserto pollaio costellato di avversità, il film espettora imago di una bellezza adesiva e ieratica che si appiccica alle iridi e all'ippocampo senza abbandonarlo più.
Un terrorista viene catturato, evade e inizia una lunga fuga tra monti e foreste innevate. Violando le sacre regole dello spettacolo, il film di Skolimowski parte con i fuochi artificiali e termina con un sussurro. Interpretazione interamente fisica di Vincent Gallo, bravo nel rendere - senza una sola parola di dialogo - la sofferenza di un uomo portato allo stremo. Pura rappresentazione (ai limiti del documentario), con un finale che potrebbe lasciare un senso d'insoddisfazione per l'assenza di significati più profondi o di metafore.
Skolimowski persegue la strada di un cinema percettivo, acustico in cui l'obbiettivo spalancato sul mondo mira ad accoglierne la totalità integerrima. Qui, il tentativo di intubarci nella sensorialità di un talebano in fuga dai suoi aguzzini americani, destabilizza e persino respinge. Ma accadano fin troppe cose in un film che ha la pretesa di non raccontarne alcuna, e quando il protagonista fiaccato da una fuga rocambolesca viene schiacciato da un albero in caduta libera è difficile non farsi cogliere dall'ilarità. La politica, scaciata dalla porta, rientra petulante dalla finestra. Insoluto.
Il talibano braccato, menomato, torturato, ancora braccato, ridotto ai minimi termini ma sorprendentemente capace di difendersi anche in territori a lui sconosciuti. La trama non credo interessi al regista né può definirsi riuscita, secondo me. E' più un'esercitazione sulla belvificazione umana riuscita a metà, portata avanti con stile diretto e minimalista, con un incipit meraviglioso (quel correre attraverso i canyon) e qualche scena che avvince (tipo quella del latte materno). Gallo, attore che sa essere anche repellente, se la cava benino.
Non è un film di facile decrittazione. Cosa vuole dirci Skolimowski con questo film quasi muto, girato tra le nevi, su un talebano sfuggito dai carcerieri che si aggira nei boschi uccidendo qua e là? Che alla fine l'uomo si riduce a istinto di sopravvivenza? Forse neanche questo, il film è lasciato alla libera interpretazione di ognuno, non dà soluzioni. Un po' ripetitivo, con splendide riprese dei paesaggi e di alcune visioni, molto bene Vincent Gallo. Mi attendevo però qualcosa di più. **!
Qualcosa manca a Essential ma non saprei definir cosa sia e mi interrogo con inquietudine sul fatto che di altro non si tratti se non di un po’ di insana ipocrita cattiva coscienza occidentale. Skolimowski crea un film “immediatamente” politico già nella scelta di un soggetto estremo, così fintamente vicino (nell’intermittente irrealtà dei media), così egoisticamente lontano (nella quotidianità). Un film che cerca la poesia nel sangue, nella solitudine, nell’assassinio, nell’abominio di sé, nel dolore, in un ancestralità silenziosa e totalizzante. Pànico.
MEMORABILE: La scena del cervo risparmiato; La motosega.
Confesso che l'ultima fatica di Skolimowski mi ha parzialmente deluso, forse anche a causa delle alte aspettative che riponevo in essa. Invece la pellicola, pur nella sua brevità, si rivela un po' ripetitiva e con alcuni snodi narrativi non del tutto convincenti. Peccato perché il regista polacco sa bene come si dirige e lo fa in maniera impeccabile, aiutato da un'ottima fotografia e da un convincente Vincent Gallo. Tutto sommato l'operazione si rivela solo parzialmente riuscita e rimane un po' di amaro in bocca per l'occasione mancata.
Terrorista islamico riesce a fuggire dalla prigionia americana. Sceneggiatura che si concentra solamente nella fuga rocambolesca che man mano diventa cruenta, vive di incontri isolati. Gallo si immola nella lotta per sopravvivere ma non viene aiutato da alcune scelte (le allucinazioni e la donna incinta) che caricano un quadro già disperato. Buone ambientazioni, dal desertico al ghiacciato. La Seigner non incide. Critica politica con l’uso del waterboarding.
MEMORABILE: L’uccisione dei tre militari americani; Il cane accoltellato.
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Ottima notizia, la trasmissione di questo film a Fuori Orario. Anche il fatto che sia la v.o. sottotitolata non mi spiace affatto (e penso che Didda farà i salti di gioia), tanto mi pare che di diologhi ce ne siano pochini.