Pontypool è un miracolo: fa paura mostrando quasi nulla. Come ci riesce? Usando la parola, che è il lavoro del protagonista, Mr. Mazzy, uno speaker radiofonico dal gergo tagliente, ed è anche l'innesco della sinistra epidemia che trasforma le persone di un piccolo paese in zombie "intrippati" da litanie arcaiche. La storia ricorda un romanzo di Palahniuk, "Ninna nanna", in cui una sequenza di vocaboli poteva freddare le persone. Film affascinante, che cala nella seconda parte ma ritrae l'epidemia con un'excursus credibile e pulsa con un cuore eccentrico (e in ambito horror non è poco).
Scommessa coraggiosa e riuscita quella di questo piccolo horror canadese che riesce a creare una notevole tensione senza mostrare nulla o quasi e a trasmettere allo spettatore il senso di claustrofobia provato dai personaggi. La pellicola si svolge, infatti, quasi in unico ambiente: una stazione radiofonica ove arrivano strane notizie su una possibile rivolta che poi si scopre essere un qualcosa di ben più d preoccupante e terrificante. Tra i film "zombeschi" è sicuramente il più originale degli ultimi anni. Splendido il protagonista McHattie.
E' possibile invertarsi ancora qualcosa di nuovo sul tema zombesco? Questo piccolo film, girato in economia, quasi tutto in un interno, con pochi attori e un uso molto parsimonioso di sangue, è un segnale positivo. Non del tutto riuscito (ad esempio, il personaggio del dottore convince poco), ma con una idea portante - quella dell'infezione lessicale - davvero originale e potente. Superlativo McHattie nel ruolo del conduttore radiofonico: volto ruvido, segnato dagli anni e dalle delusioni, voce profonda, che mette i brividi lungo la schiena.
Che Stephen McHattie sia un attore di rara bravura lo testimonia l'efficacia del personaggio qui interpretato (uno speaker radiofonico): in grado di tenere inchiodati davanti allo schermo nonostante la dislessica sceneggiatura. L'idea di una pandemia verbale, con parole (inglesi) infette, è semplicemente geniale e già dai titoli di testa si capisce d'esser di fronte ad un prodotto curato e di spessore. Poi l'ironia predomina sul tema horror, senza peraltro influire sulle potenzialità di un film unico e, a suo modo, indimenticabile; e anche molto in debito con certo Carpenter (Fog, Essi vivono).
MEMORABILE: L'allucinante spiegazione del Dr. Mendez (Hrant Alianak) sul perché e percome gli umani siano diventati zombi con poche parole ad iterazione...
Un'idea così nuova e inquietante non può che essere ben accolta in un panorama che vive troppo su remake e citazionismi vari. Tutto bene, quindi? Per la verità, il problema di questo film è la fiacchezza dello svolgimento, a partire appunto da un assunto così originale e ricco di prospettive e potenziali sviluppi. La bravura di McHattie, insomma, non basta a fare il capolavoro. Riuscito a metà.
Come non premiare un'idea così solida in un genere che ha detto e fatto di tutto? È la voce profonda del protagonista ad accompagnarci in una notte dove una strana epidemia sta prendendo piede: la lingua inglese è infetta, le persone impazziscono: sono zombie affamati di parole. McDonald gioca bene sul non-vedo, l'atmosfera che si percepisce è dosata e claustrofobica, i colloqui tra lo speaker e gli esterni incutono timore e c'è personalità nel gestire i rapporti tra i protagonisti. Qualche guizzo in più e uno script meno ridondante sarebbero serviti.
Coraggioso (tutto girato nello studio di una radio locale) e piuttosto originale (è questo ciò che conta maggiormente). Gli attori sono decenti; e avere proprio lì un esempio di ciò che accade all'esterno aiuta lo spettatore a farsi un'idea della situazione, già comunque dettagliatamente spiegata, tanto che, più che un film, a tratti sembra un libro vocale con possibilità di illustrazioni esplicative. Certo, non ci sono grandi colpi di scena (è un lento prendere coscienza della situazione, aggiungendo un tassello alla volta), ma la singolare spiegazione (il tipo di infezione) non è niente male
MEMORABILE: "Attenti al sommergibile...Non posso smettere di pensare. Mi serve un campione di quello che sto dicendo. Semplice semplice semplice". "Ok, è andato".
Se da una parte bisogna fare tanto di cappello al soggetto, dall'altra rimane una realizzazione brutta. L'immobilità del film, che si svolge quasi interamente in uno studio radiofonico, avrebbe meritato migliori dialoghi. E poi regia e fotografia dimostrano troppa pochezza proponendo quasi come unica soluzione primissimi piani con la macchina che gira intorno al soggetto. La totale assenza di colonna sonora e il gioco del non-vedo protratto in eterno sono le mazzate finali per questo film che, senza variabili, risulterà essere di una noia mortale.
Clamorosamente bello. Due interni, tre attori, qualche schizzo di sangue: con questi pochissimi elementi il regista tira fuori una pellicola che incute terrore senza farti saltare dalla poltrona o farti girare dal disgusto dimostrando che, con l'orinalità e l'ingegno, anche poche parole ripetute in loop possono creare ansia ed angoscia. Mostruosa l'interpretazione di Stephen McHattie. Da vedere assolutamente in lingua inglese, magari con sottotitoli in italiano, perché senza il proprio idioma il film perde diversi giochi di parole.
MEMORABILE: Il racconto disperato ed angosciato del finto reporter in elicottero.
Rifacendosi al virtuoso minimalismo circoscritto di un Right at your door, sinergia rarefatta di non-azione interna e non-visto esterno, McDonald trasforma una piccola stazione radio in un'oasi di sopravvivenza assediata da un mondo in quarantena. Il virus metaforico è l'informazione, o meglio l'informazione filtrata, la notizia manipolata e raffinata, metodo di dominio su un'umanità oramai intossicata dal verbo di massa globale (la lingua inglese). Horror virale che dalla centralità della parola cerca di estrarre un'allegoria ambiziosa, restando spesso vittima di sfasature e cadute di tono.
MEMORABILE: L'eloquio "avvolgente" dello speaker protagonista; Il vomito eruttivo sul vetro della cabina radiofonica.
In effetti l'horror "semiotico" ci mancava: la pandemia – sempre di estrazione romeriana ma più dalle parti dei Crazies che dei Living Dead – questa volta si diffonde attraverso i segnali linguistici e i processi cognitivi che ne colgono il senso. L'idea bella e fresca supporta i primi quaranta minuti, dove McDonald riesce a concretizzare inquietudine, claustrofobia e senso d'incombenza mostrando nulla e ottimizzando il tutto. Ma quando l'originalità si fa stile, l'anticonformismo comincia a puzzare di pretenziosità e l'esorbitanza non riesce a produrre ironia. In parte Stephen McHattie.
Dalla parola ai giurati passando per Phone Boot sono infiniti i film che con una singola ambientazione hanno creato un'incredibile clima di genere. Qui poi c'è l'ispirazione carpenteriana che già aveva messo in scena "zombie" singolari. L'infezione non è nei corpi ma nelle parole e il gioco funziona, si segue bene. Peccato che è poco rispetto alla durata complessiva. Ci si impegna a dare spessore ai personaggi ma a mio parere senza riuscirci più di tanto e rimanendo spesso e volentieri sul vago e poco delineato. Ma intrattiene bene.
Un'idea di partenza niente male, una confezione solida ed efficiente, un ottimo protagonista. Si seguono le tre unità aristoteliche (un giorno in una stazione radio) e si punta piuttosto in alto: le premesse per un piccolo cult in effetti c'erano tutte, eppure la tensione si mantiene sempre su livelli piuttosto bassi e le idee a tratti sembrano latitare. Non che il film non funzioni: sia la trama che il modo in cui essa è narrata incuriosiscono e rifuggono abilmente il deja-vu, ma se si cercano emozioni vere conviene cercare altrove. Discreto.
Uno zombie movie così verboso e rigoroso nella dinamica interna è difficile da trovare: tenere alta la tensione in un film dove i cervelli, più che essere mangiati e spappolati, sono tenuti a dura prova da una subdola minaccia fonetica, non è da tutti, ma questa piccola produzione riesce nell'intento di creare qualcosa di nuovo dallo stantio mondo degli zombi movie. Penso che al buon Romero questo film sia molto piaciuto.
Uno strano virus che si trasmette inspiegabilmente attraverso la parola cosparge l'Armageddon su un piccolo villaggio canadese, spingendo la popolazione alla morte reciproca mentre i pochi protagonisti di una radio locale tentano un'interpretazione. Opera difficile, noiosa fino alla claustrofobia, sperimenta una via "mentale" al solito horror di maniera, ma con risultati molto discutibili e alla fine anche disturbanti.
Le parole ammaliano, blandiscono, circuiscono, infiammano, placano: certe volte uccidono; e certe altre infettano. Tabuizzazione della mediasfera? Qualcosa di più. Film tanto curioso quanto imperfetto: non capita spesso di sfruttare il tema linguistico come motore principale di uno zombie-horror e, anche se il risultato non sempre è impeccabile e alcuni snodi narrativi sono piuttosto esili e risibili (ridicola la pretesa di scientificità per la causa dell'epidemia), la visione rimane consigliata.
Non perfetto, a causa della staticità di alcuni passaggi, ma davvero originale per quanto riguarda il nocciolo ideologico: il contagio attraverso la parola. Se la prima parte risulta efficace perché l'orrore è solo suggerito (e fa giustizia degli zombie-movie iperrealistici sino al ridicolo), la seconda, pur non ben definita concettualmente, ha il pregio di introdurre un tema inusitato per il genere: il contagio linguistico. Il punto di forza, però, è l'interpretazione di McHattie, una grande presenza mai sopra le righe.
Intrigante horror che per buona parte della sua durata costringe lo spettatore a immaginare ciò che dovrebbe vedere. Bruce McDonald sfrutta intelligentemente l’unità di tempo, di luogo e d’azione e partorisce un climax che va dal paranoico al claustrofobico. Finale non propriamente all’altezza delle aspettative ma che comunque ha dalla sua una grande atmosfera da incubo collettivo. Bravo Stephen McHattie.
La mastodontica potenza della parola, del suono, del concettualismo filosofico e l’invisibilità della paura, della paranoia misantropica, della tensione che emerge fluida e tagliente da ogni angolo o postribolo. Piccolo horror che getta una nuova luce sul filone dei morti viventi, gelido e crudele ma con un finale incerto senza disonore né gloria. Ottimo il cast.
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Tra i film in concorso da me visionati (solo 5 poiché per il resto ho recuperato vecchie "cose"
di Ray e Oshima) è quello che mi ha coinvolto di più e che mi è piaciuto maggiormente. C'è stato anche un discreto applauso.
Credo meriti di essere distribuito anche da noi.
Spero possa accadere.
DiscussioneBrainiac • 21/11/09 22:06 Call center Davinotti - 1465 interventi
Bel film, simpatica l'idea delle parole che zombizzano. Era in inglese sottotitolato?
Stephen McHattie (lo speaker citato da Cotola) è un attore da Oscar: la sua sola presenza tiene dritto il film, così come, analogamente, rende interessante il successivo Summer's blood, sorta di Stepfather moderno, sottovalutato e meritevole di essere visto.
Quoto in toto il papiro del Davinotti, aggiungendo solamente che la presunta originalità della scelta dell'azione fuori campo (definizione che rispecchia il mio "non visto esterno") viene ampiamente confutata da una tradizione di pellicole precedenti abbastanza sostanziosa.
Basti citare solo l'ultimo, esemplare ed inchiodante degli epigoni seriali: il significativo Right at your door.
Non parliamo poi del contagio che si manifesta con logorrea sconnessa e frasi senza senso ripetute meccanicamente, già esperito nel fanta-apocalittico E venne il giorno (di poco precedente rispetto al film di McDonald).
DiscussioneZender • 20/04/12 17:54 Capo scrivano - 47802 interventi
Curioso Right at your door, a legger la trama. Ma esiste in italiano?
Zender ebbe a dire: Curioso Right at your door, a legger la trama. Ma esiste in italiano? Si, esiste in italiano e, a differenza di questo tediosissimo Pontypool, è pure un buon film.
Recuperalo ;)
DiscussioneZender • 21/04/12 09:07 Capo scrivano - 47802 interventi
Ok, grazie a tutti e tre! Lo farò, tanto se passa su Rai4 paserà altre 800 volte circa :)