L’australiano Peter Weir è sicuramente uno dei registi con maggior senso del mistero e dell'inquietudine. Già in PICNIC AD HANGING ROCK era riuscito a liberare il suo talento visionario trasformando un luogo apparentemente tranquillo in un teatro di drammatici eventi. La natura pareva animarsi, evolversi aprendo scenari grandiosi e affascinanti. Con THE LAST WAVE Weir riprende il discorso avvicinandosi al mondo e alle profezie degli aborigeni australiani (siamo a Sydney), osservandole con occhio indagatore ma imparziale, senza sostenere alcuna tesi particolare. Cerca solo di sfruttare a fondo l’ampio potenziale...Leggi tutto mistico di religioni ancora sconosciute, di immergere la nostra realtà in territori vergini esaltando la componente onirica attraverso un ritmo lento, musiche “ambient” perfettamente calzanti e un protagonista assolutamente freddo, passivo e quasi ieratico come Richard Chamberlain (noto tutto per il telefilm UCCELLI DI ROVO, in cui recitava proprio la parte di un prete). Ne è uscito un film a tratti noioso, eccessivamente descrittivo degli estenuanti percorsi attraverso i corridoi di casa prima e nella “tana del lupo” poi, ma indubitabilmente suggestivo, grazie anche a un uso magistrale della cinepresa. Si vede che Weir ha talento e se forse cercasse di raggiungere i suoi scopi attraverso una sceneggiatura più brillante e una dinamicità maggiore potrebbe avvicinarsi al capolavoro. Invece deve accontentarsi di aver fatto “solo” un buon film, coerente col suo cinema ma certamente non accessibile a chiunque. In ogni caso THE LAST WAVE è opera di classe, lontana anni luce dal catastrofismo hollywoodiana di certe “profezie”.
Peter Weir, almeno nei suoi film australiani, ha sempre saputo regalarci un senso di mistero veramente raro. Dopo il formidabile Picnic ad Hanging Rock questa volta ambienta la sua storia nella civilissima Sidney dei giorni nostri (o meglio di 30 anni fa, epoca in cui fu girato il film), dove però si vivono drammatiche tensioni tra i bianchi colonizzatori e la cultura degli aborigeni (la popolazione originaria del luogo). Dal ritmo lento, quasi ipnotico, è pellicola che merita almeno una visione.
Notevolissimo dramma dalle tinte apocalittiche per Weir, dopo il già notevole Picnic Ad Hanging Rock. La classe del regista rimane immutata ed è un piacere vedere un prodotto talmente ben diretto e confezionato, con protagonisti in parte e una storia di mistero che si discosta da ogni facile sensazionalismo o banalità. Molto interessante è infatti l'esplorazione della cultura aborigena e della sua religione oscura. Belle le parti oniriche e le visioni del protagonista, azzeccato il sottofondo musicale atmosferico, grande finale. Eccellente!
Interessante film di Wier (dal genere di difficile definizione) che riesce a creare una certa tensione e a catturare l'attenzione dello spettatore nonostante il ritmo non sia particolarmente frenetico. Merito di una buona sceneggiatura che mescola abilmente il reale e l'onirico e che tiene botta fino al finale decisamente riuscito. Uno dei lavori meno conosciuti del regista ma in ogni caso meritevole di essere visto.
Avvocato difende un aborigeno dall'accusa di omicidio, ma scopre una realtà tribale magica e sconvolgente. Weir ha il tocco giusto per trasformare un messaggio politico e una storia simbolica in qualcosa di vibrante ed emozionante. La denuncia della sopraffazione della cultura indigena e la complessa trama di inquietanti presagi, che mostrano la persistenza di una realtà rimossa, diventano corpo per un plot intenso, aperto spesso su squarci onirici e visionari di grande effetto. Un film umido, sotto il segno dell'acqua. Notevole.
È doveroso precisare che "L'ultima onda" non è affatto un capolavoro, come certi critici vorrebbero farci credere. Suggestivo, mistico, ricercato e con qualche momento abbastanza inquietante, questo film è un affresco visionario il cui punto debole risiede nei ritmi fin troppo rallentati, nei momenti morti e in un incipit un po' confuso. Detto questo, l'indagine svolta dal regista sugli antichi culti tribali è interessante ed una visione fa senz'altro curriculum.
Intenso e misterioso film di genere ibrido, un po' catastrofico e un po' horror, in cui è interessante lo scontro fra le culture tribali e quella moderna incarnata dal protagonista. Un po' troppo lento in alcuni passaggi ma comunque coinvolgente, grazie anche alla buona prova di Chamberlain. Da vedere almeno una volta.
In un'epoca in cui le sale mondiali erano invase dal becero catastrofismo ctonio dei vari Terremoto ed Ormai non c'è più scampo, l'australiano Weir sceglie di affrontare un'apocalisse molto più oscura, atavica ed ultraterrena. Da sempre affascinato dalle terrificanti tradizioni stregonesche aborigene, il regista centellina gradualmente inquietanti segni premonitori naturali (la pioggia nera, l'acqua che tracima dalla vasca da bagno) fino a spogliare l'uomo civilizzato (un Chamberlain intensissimo) di ogni sua barriera difensiva contro l'irrazionalità.
MEMORABILE: Il silenzio assordante del finale, uno dei più cupi dell'intera storia del Cinema.
A Sidney, un giovane avvocato, incaricato della difesa in tribunale di alcuni aborigeni accusati di un omicidio legato a riti tribali, fa strani sogni che sembrano preannunciare una catastrofe naturale... Film "sbagliato", a cominciare dalla scelta del protagonista, col suo troppo levigato volto televisivo, fino al ritmo sincopato con passaggi che sfiorano la pesantezza. "Sbagliato" eppure ipnotico ed affascinante, in grado di trasmettere come pochi altri un senso di angoscia crescente di fronte all'inesplicabile. Non un capolavoro, ma da vedere ed anche amare.
MEMORABILE: Tutte le scene sott'acqua - il finale estremamente suggestivo
Le acque - discendenti, ascensionali - percorrono lo spazio tra cielo e terra, luogo dell'umano, limbo in cui il linguaggio primordiale del sogno si fa presagio... Opera misterica, sfuggente, che accoglie uno spettro semantico amplissimo: lo scontro tra culture eterogenee (le comunità tribali insediate nel tessuto urbano), la nostalgia per le origini, il sogno quale ulteriore spazio-tempo, l'apocalisse come crisi della contemporaneità e la palingenesi operata dalla Natura. Weir trasfigura i temi inanellandoli in un'architettura labirinto: smarrirvisi equivale a coglierne il senso.
Un avvocato con poteri paranormali preconizza l'arrivo di una gigantesca onda distruttiva, in contatto con un gruppo di aborigeni legati a culti atavici. Film complesso, valido senz'altro, dove la componente misterica (troppo diluita) si sposa con quella "politica", non riuscendo del tutto ad attrarre e impaurire veramente. Senza Richard Chamberlain sarebbe un film da poco.
Il cinema del primo Weir è mistero, sogno, apocalisse, forse non tanto potabile per noi comuni mortali. Come nel precedente picnic, il regista australiano analizza il tema del rapporto natura/uomo dipingendo il secondo come inerme vittima della furia apparentemente insensata della prima. Weir gira un film catastrofico tutto di atmosfera, oscuro, indecifrabile, a tratti insostenibile, che procede inesorabile verso una conclusione che sembra già stata scritta dall'inizio. Sicuramente suggestivo, ma dove finisce il fumo e inizia l'arrosto?
MEMORABILE: La grotta del serpente; L'ultima immagine.
Film catastrofico senza catastrofi, film fantastico senza fantasia, thriller processuale senza suspence. E’ proprio il caso di dirlo, il film di Weir non è né carne né pesce. Un soggetto potenzialmente interessante come la fine del mondo è trattato in modo confuso e alla fine a emergere è soprattutto il contrasto tra la civiltà aborigena e quella dei bianchi. Il tutto condotto a ritmo soporifero e condito da passaggi sinceramente incomprensibili. Insomma, una conferma che le prime opere di questo autore un po' sopravvalutato sono alquanto vacue.
MEMORABILE: L’iniziale temporale a ciel sereno che si abbatte sulla scuola; Per quanto solo accennata la tanto attesa onda finale.
Cupo e dal consueto passo lento, questo thriller di Weir non ha la stessa fattura di altri grandi titoli del regista. Apprezzabili le vagamente inquietanti scene oniriche che si insinuano innocenti nella vicenda - e nella vita - altrimenti ordinaria dell'avvocato protagonista; altri elementi più spiccatamente fantasy risultano invece poco incisi, allo stesso modo di una solo velata critica post-colonialista. Una pellicola dunque affascinante, sicuramente ben fotografata e diretta, che sembra volere tanto e osare troppo poco in ogni aspetto.
Pasticciaccio di Peter Weir, che rovina uno spunto iniziale accattivante mischiando generi a più non posso senza che nessuno prenda mai il sopravvento. C'è fantastico, horror, persino uno spruzzo di thriller giudiziario, e non si capisce dove si voglia andare a parare. Altri problemi sono il ritmo lento e la sceneggiatura, spesso confusa sino all'incomprensibilità. E che delusione la famosa onda del titolo! Si salva l'ottimo Richard Chamberlain e certe atmosfere oniriche tipiche del regista, che conferma di essere un buon artista ma di non sfornare sempre gran film. Mediocre.
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CuriositàFauno • 6/10/16 11:54 Contratto a progetto - 2743 interventi
Dalla collezione cartacea Fauno, il flano del film:
HomevideoRocchiola • 14/11/18 09:04 Call center Davinotti - 1254 interventi
Il suddetto DVD della Dall’Angelo risale al 2005 e presenta un video in 16:9 non restaurato con svariati difetti (puntinature e macchie) piuttosto evidenti in alcune scene mentre in altri passaggi appare più stabile e pulito. L'audio italiano è disponibile in dolby digital 1.0 e 5.1 (meglio quello mono più forte e potente). Il film è stato riedito nel 2011 dalla RHV, ma pur non avendolo visionato credo si tratti dello stesso master e comunque sulla cover del DVD non vi sono indicazioni di restauri o rimasterizzazioni. Esiste anche un bluray tedesco della Koch Media che ha ricevuto recensioni appena sufficienti e comunque privo dell’audio italico.
Rocchiola ebbe a dire: Il film è stato riedito nel 2011 dalla RHV, ma pur non avendolo visionato credo si tratti dello stesso master.No, l'edizione della RHV utilizza un nuovo master HD restaurato, per la prima volta integrale. Questo DVD contiene inoltre come extra un episodio girato da Weir per il lungometraggio collettivo Three to Go.
HomevideoRocchiola • 15/11/18 15:49 Call center Davinotti - 1254 interventi
Grazie della precisazione. Come sopra accennato io ho solo l'edizione precedente e non ho avuto modo di visionare quella più recente sulla copertina della quale non vi era alcuna indicazione sul restauro, mentre di solito lo indicano abbastanza chiaramente. Quindi ne deduco che è sicuramente migliore dell'edizione della Dall'angelo da me posseduta.