Lui è povero, vince una fortuna e si innamora di un industriale. Film didattico, quasi brechtiano, sulla differenza delle classi sociali, sul denaro e l'amore, sullo sfruttamento. Il lavoro, infatti, segue un andamento a tappe che mostra il paradossale sfruttamento del proletario da parte dell'industriale: in verità, una storia simbolica, pur nella sua fisicità realistica, come dimostrano anche alcuni momenti palesemente teatrali e "costruiti". Finale amaro in cui Fassbinder racconta la società presente e futura: barbara, avida e cinica.
Fassbinder si cala qui anima (come regista) e corpo (come perdente protagonista) in una pervadente critica sociale. Mira alto, a denunciare usi e abusi - al solito - perseguiti da rappresentati dell'alta borghesia: l'élite, ovverosia, la classe benestante e (pre)dominante è prima causa del conflitto sociale. L'idea del riscatto, con inattesa svolta esistenziale del disoccupato, cede posto al pessimismo più estremo, alla concezione di un destino costretto a soccombere dinanzi all'ingannevole cinismo del nostro mondo. La spoliazione allegorica (prima beni materiali, poi vestiti) dice tutto...
La spietatezza dei rapporti individuali e collettivi, punto cruciale dell’intero corpus fassbinderiano, giunge alla sua forma più cruda e compiuta in una variazione omoerotica del mito di Pigmalione, che dimostra l’amaro teorema della legge del più forte applicando gli schemi marxisti dell’alienazione e dello sfruttamento del proletario ingenuo (benché arricchito) da parte del capitalista colto e ingannatore. Splendidamente interpretato da Fassbinder stesso e dal fior fiore del suo entourage, un melodramma fisico e nichilista concluso da un finale cinico e di allarmante attualità.
MEMORABILE: Il finale in stazione: terribile profezia della società di oggi, atomistica e approfittatrice delle disgrazie altrui.
Parafrasando Brecht diremmo La resistibile ascesa di Franz Bieberkopf. Una delle pellicole più longeve di Fassbinder, personalmente una delle più amate. Merito di una esemplarità da fiaba nera che vivifica e innerba una concettualità altrove sterile e respingente. Tutto è linearmente perfetto in questo melò che guarda negli occhi la implacabile sopraffazione operata dalla cultura borghese ai danni della "natura" umana. Disarmato e inesorabilmente perdente, Rainer attore è commovente, quanto spietata e terribile la maschera gelidamente satanica di Bohm.
MEMORABILE: L'incipit al baraccone da fiera; La scena in cui Eugen (accompagnato da Bohm in bianco) accommiata Fox; Fox disperato al bar "pago tutto io..."; Il finale.
Bene: il poveraccio (il popolo, "le bon sauvage") si arricchisce con la lotteria e, lungi dall'accettare questa fortuita redistribuzione della ricchezza, uno scaltro imprenditore (la borghesia, le costrizioni della società) fa di tutto per spillargli fino all'ultimo marco per pagarsi i debiti e la bella vita. Da applausi, oltre che, ahimè, di stringente attualità. Inoltre il nichilismo di fondo fassbinderiano colpisce sempre nel segno. Male: per dire questo si ricorre a un simbolismo troppo forzato e a tratti irreale (oltre che a 45 minuti di troppo).
In questo film c'è un distillato di Fassbinder allo stato puro. L'essere umano si annienta nella relazione amorosa (che corrisponde a una sorta di sfruttamento di classe) che si poggia su di una dinamica dove l'amore dato è inversamente proporzionale a quello ricevuto. Il rifugio nell'alcool come forma di ristoro dalla crudeltà della vita accompagna la parabola discendente del protagonista. Anche in questo film è come se Fassbinder ci anticipasse il suo destino o forse quello di una società intera.
Il tema del film (lo sfruttamento attuato pervicacemente dalla borghesia ai danni del
proletariato) non è certo nuovo: eppure il film risulta perfettamente riuscito. Merito
non solo di un'ottima confezione che esalta una messa in scena, al solito, di grande eleganza, ma anche e soprattutto di una sceneggiatura che è rigorosa ed inappuntabile
nel portare avanti il suo discorso. Fassbinder al solito è spietato e non concede nulla allo spettatore ed ai suoi personaggi (su tutto, vedi il feroce finale). Molto
bello e, anche se non molto celebre, essenziale nella filmografia del regista tedesco.
Il potere acuisce la sua essenza nei confronti dei più "deboli", anche nella fattispecie in cui non dovrebbe essere presente alcuna "prevaricazione sociale", come ad esempio nel caso della coppia del film, unita da un rapporto erotico-affettivo. L'opera di Fassbinder trasuda puro cinema, può contare su interni anni settanta di rara bellezza e su dialoghi lungimiranti. Gli interessi economici possono soppiantare l'amore? Uno dei più validi film del regista, qui anche interprete.
Raccontando l’ascesa e la caduta di un inetto sottoproletario, Fassbinder mette a nudo l’ipocrisia di un mondo raffinato e al tempo stesso gretto che, pur ghettizzato, ripete le brutali dinamiche di sfruttamento tipiche del capitalismo, in un ritratto freddo e al tempo stesso sofferto fino alla disperazione (come dimostrano la scelta del regista di impersonare il protagonista e la sgradevolezza di tutti i personaggi); fondamentale il ruolo del denaro, misura di tutto (anche degli affetti).
MEMORABILE: “Contanti! Se ripeti una parola troppo spesso non sai più cosa significa”; Hedwig insulta gli “amici” di Fox: in vino veritas!; Il desolato finale.
La storia è sempre la stessa, con ascesa e crollo della coppia, con l'elemento debole che si fa umiliare almeno per tutto il secondo tempo (e indovinate come va a finire?), ma tutto ciò che sta attorno funziona egregiamente, con confezione sfavillante e un'ironia di fondo che, per una volta, riesce a smussare il lato melodrammatico trasformando il film in una godibile e coloratissima sarabanda di sfighe e angherie sentimentali (e infatti fosse terminato 5 minuti prima sarebbe apparso decisamente più maturo e meno scontato).
Film-teorema, che si sa già dove andrà a parare nonostante le due ore di durata. Gli attori rivestono quindi quasi ruoli teatrali, ben schematici nei loro panni; eppure allo stesso tempo sorprendono per la profondità delle emozioni che riescono a trasmettere (su tutti lo stesso Fassbinder). Gioco beffardo filmato con molta maestria, a volte raggelante e insopportabile, altre volte curioso e intrigante, ma sempre di grande interesse. Curiosa e funzionale la quasi totale presenza di uomini omosessuali (fioraio compreso!).
Un film estremamente diretto, che non si nasconde di fronte al cinismo borghese, ai preconcetti politici e ai giochi di ruolo e di potere. Personaggi intrappolati in un’arena d’ipocrisia, avvolti da spiragli di luce e fulmini di estremo buio. Come nel freddissimo e spietato finale, dove si annulla completamente la dignità umana. Certi momenti potevano forse essere ammaestrati con più leggerezza, ma resta un documento fondamentale e imprescindibile nella filmografia del genio tedesco.
Soffertamente dedicato a Armin Meier, "Fox and his friends" è l’altra faccia di Petra Von Kant. Durissimo affresco sul capitalismo e le prevaricazioni tra individui derivanti anche dalle differenze sociali e di appartenenza. Tra i più sulfurei mai visti il tratteggio della famiglia borghese repellente all’intruso “della plebe”, che pur piegato ai loro voleri economici senza scrupoli rimane oggetto esecrabile, da schivare. Urlo disperato sul sentimento più puro e ingenuo. Tra i finali più nichilisti e al contempo commoventi di sempre. Eccelso.
Straordinaria parabola sui rapporti di classe, nella storia-cinica, lucida e feroce-di una relazione omosessuale, in cui "il diritto del più forte" è quello dell'alta borghesia che depreda e spoglia progressivamente di tutto (i soldi, la dignità, perfino l'identità). Nel suo incedere brechtiano, un dramma di grande forza espressiva ma anche di spessore mirabile, che ha il coraggio di andare fino in fondo nella sua disanima spietata della voracità capitalistica, senza edulcorare e senza lasciare speranza alcuna. Indimenticabile il finale.
MEMORABILE: La scelta (non casuale) dello stesso Fassbinder di interpretare il protagonista Fox; Il cinismo del borghese Eugen; L'amarissimo finale.
Per inserire un commento devi loggarti. Se non hai accesso al sito è necessario prima effettuare l'iscrizione.
In questo spazio sono elencati gli ultimi 12 post scritti nei diversi forum appartenenti a questo stesso film.
DISCUSSIONE GENERALE:
Per discutere di un film presente nel database come in un normale forum.
HOMEVIDEO (CUT/UNCUT):
Per discutere delle uscite in homevideo e delle possibili diverse versioni di un film.
CURIOSITÀ:
Se vuoi aggiungere una curiosità, postala in Discussione generale. Se è completa di fonte (quando necessario) verrà spostata in Curiosità.
MUSICA:
Per discutere della colonna sonora e delle musiche di un film.
CuriositàAlex75 • 9/06/15 13:47 Call center Davinotti - 709 interventi
Il nome di Fox, Franz Biberkopf, appare un evidente omaggio al romanzo di Alfred Doblin Berlin Alexanderplatz, poi trasposto sul piccolo schermo da Fassbinder nel 1980.
MusicheAlex75 • 23/06/20 14:34 Call center Davinotti - 709 interventi
Il disco che Franz mette sul piatto del giradischi nel suo nuovo appartamento è una versione tedesca (della quale non sono riuscito a reperire l'interprete) di Angelitos Negros, composta in origine dal poeta venezuelanoAndrés Eloy Blanco. In una scena al bar frequentato da Franz si può invece sentire, in sottofondo Le Méteque, di Georges Moustaki, mentre in un'altra scena notturna il protagonista ascolta dall'autoradio della sua De Tomaso Pantera Bird On The Wire di Leonard Cohen.