Viaggio a Tokyo - Film (1953)

Viaggio a Tokyo

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TITOLO INSERITO IL GIORNO 13/11/08 DAL BENEMERITO RENATO
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Renato 13/11/08 13:22 - 1648 commenti

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Forse l'opera di Ozu più nota; è un film lento e doloroso che richiede una certa attenzione ma offre anche molto. Inquadrature fisse, nessun movimento di macchina ma soprattutto una gelida rappresentazione della famiglia giapponese del dopoguerra, che ai miei occhi occidentali sembra ovviamente formale oltre la soglia del sopportabile (la madre in particolare, che non fa altro che scusarsi e rammaricarsi di continuo per qualsiasi cosa); e come sono tristi i genitori che si auto-convincono di avere avuto una vita felice. Da vedere.

Ercardo85 23/12/08 00:26 - 81 commenti

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Uno dei più bei film della storia del cinema, senza se e senza ma. Certo la cinepresa sempre fissa in ogni inquadratura per 136 minuti può far desistere la maggior parte del pubblico occidentale ma le emozioni che questo immenso autore è in grado di dispensare a chi è in grado di recepire il suo cinema sono uniche. Anche i temi trattati sono quasi sempre gli stessi (il crollo dei valori familiari del giappone post-bellico) ma in un mondo dove Miike ha fatto il lavaggio del cervello a milioni di adolescenti forse riscoprire Ozu farebbe bene.

Pigro 6/07/09 08:31 - 9634 commenti

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Due anziani genitori vanno nella capitale a trovare i figli, che però non hanno tempo da dedicar loro. Le vicende di questa famiglia fanno da leva a ben altri temi, più cari a Ozu e determinanti nel Giappone post-bellico: il rapporto distante fra le generazioni (anziani, giovani, bambini) e soprattutto l'insanabile frattura fra tradizione e modernità. Le pacate riprese di Ozu, dal ritmo moderato e con una cinepresa impercettibile, evidenziano dialoghi, volti e gesti che scandagliano l'umanità, ma con discrezione, alla giapponese.

Daniela 22/07/09 11:04 - 12621 commenti

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Due anziani genitori vanno a trovare i figli trasferiti da tempo in città, arrecando loro più che altro fastidio, tanto è distante ormai il modo di pensare degli uni e degli altri. Vicenda ordinaria, quasi banale... eppure poche cose sono tanto drammatiche come scoprirsi estranei ai propri stessi figli. Tutto è raggelato da un formalismo dei rapporti personali, tipico della civiltà giapponese, che può risultare ostico allo spettatore occidentale, ma il senso profondo dell'opera, la sua dolorosa verità, può raggiungere il cuore di chiunque.

Mickes2 12/03/12 15:52 - 1670 commenti

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Emozionante e commovente dramma intimista in cui il Maestro giapponese sonda i rapporti interpersonali addentrandosi nel nucleo famigliare, mettendo un accento sul cambiamento della società nipponica del dopo guerra e sull'importanza dei valori affettivi che inesorabilmente divengono sfuggenti. Due generazioni ormai troppo lontane a confronto. La fissità dello sguardo adottata dall'autore dischiude un mondo di sensazioni e stati d'animo; e i rimpianti, seppur gelidi e riservati, giungono pacatamente dolorosissimi e struggenti. Straordinario.
MEMORABILE: Il finale.

Luchi78 22/03/12 14:46 - 1521 commenti

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Film intriso da un'incredibile sensibilità e da una sorta di poetica malinconica, legata ad una perdita di valori famigliari egregiamente narrata da Ozu; il tutto è ovviamente legato in modo indissolubile allo stile di vita orientale. Lo stridente contrasto tra la tranquilla campagna e i frenetici ritmi di Tokyo rende ancora più amara la consapevolezza per la coppia protagonista di anziani genitori, della perdita di affetto da parte dei figli. La regia di Ozu non appartiene più al concetto di cinema moderno ma è tutta da riscoprire.

Cotola 28/05/13 22:21 - 9009 commenti

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Straordinario per l'incredibile semplicità (dote ad appannaggio solo dei grandi) tecnica e narrativa con cui Ozu affronta i temi a lui cari: il rapporto genitori-figli, il confronto tra le generazioni, tra vecchio e moderno. Emoziona e stupisce ad ogni fotogramma nonostante la mdp non si muova mai o quasi: ma qui quel che importa sono i dialoghi, gli sguardi, gli stati d'animo dei personaggi. Bellissimo e poetico, ma anche molto amaro. Riesce ad emozionare ed il suo messaggio è davvero universale e quindi comprensibile ad ogni latitudine.

Belfagor 10/08/13 14:12 - 2689 commenti

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Due anziani genitori vanno a trovare i figli, i quali li accolgono con freddezza. Splendido dramma intimista che riassume splendidamente lo stile di Ozu: una trama basata su vicende ordinarie, macchina da presa fissa, narrazione naturalista, ritmo calmo, temi quali l'incomunicabilità fra generazioni diverse e i cambiamenti nella società giapponese. L'approccio può risultare difficile per gli spettatori occidentali, ma ogni fotogramma è carico di emozioni. Splendido il personaggio della nuora Noriko, più vicina ai suoceri dei loro stessi figli.
MEMORABILE: Tomi consiglia a Noriko di risposarsi; "Ora che sono solo, le giornate sembrano più lunghe".

Xela 13/03/14 00:46 - 5 commenti

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Eccellente rappresentazione dell'ingratitudine filiare, che trova i suoi contraltari colti nel Re Lear di Shakespeare e Turgeniev o nell'Ivan Il'ic di Tolstoj. La regia di Ozu non intralcia la visione quanto piuttosto la esalta, rendendola pura poesia. Perdetevi nella visione periferica di ogni scena, perché l'occhio statico e basso della camera ci consente di costruire un personalissimo e intimo montaggio oculare.
MEMORABILE: La nonna ripresa con sguardo poetico mentre gioca con il nipotino, lungo un piano che si fa piano inclinato per la presenza dei tetti in parallasse.

Didda23 22/04/14 10:17 - 2426 commenti

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Il miracolo di Ozu sta nel creare una vicenda coinvolgente e con punte decisamente ciniche, utilizzando un sistema di ripresa totalmente statico (non ho contato un movimento di macchina) per una durata notevole (supera i 170 minuti). Un cinema naturale e quotidiano, senza scadere nel voyeuristico, che offre amare riflessioni sull'allontanamento fisico e affettivo dei figli nei confronti dei genitori nel Giappone post-bellico. Tecnicamente indietro 20 anni rispetto alla Hollywood dello stesso periodo, ma ugualmente interessante.

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Deepred89 7/05/14 00:02 - 3704 commenti

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L'impatto iniziale potrebbe essere scoraggiante vista la fissità della mdp e la confezione arcaica, eppure quando ci si adagia ai ritmi il film diviene enorme: un amarissimo, sconsolato, silenzioso grido contro l'anaffettività e l'insensibilità dei figli nei confronti dei genitori, quasi un prototipo in salsa zen del nostrano Come una regina. La bordate strappalacrime del secondo tempo abbassano i toni, ma il finale mette i brividi e conferma il nesso tra mpd ozuiana e cultura nipponica: dietro l'apparente compostezza il dolore brucia l'anima.
MEMORABILE: L'ultimo sguardo del protagonista prima della fine del film.

Xamini 24/07/15 10:49 - 1247 commenti

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Pezzo di cinema d'altri tempi e d'altre longitudini, quello che è considerato come il capolavoro di Ozu è un film di difficile digestione, al giorno d'oggi. Una storia semplice, inquadrature statiche (ma con elementi posizionati e illuminati in modo eccellente), maniere giapponesi che incorniciano lunghi dialoghi a nascondere l'abisso dell'incomprensione, il predominio della forma sugli affetti. Può emozionare ma può anche annoiare.

Rebis 19/11/15 12:37 - 2331 commenti

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Nessun movimento di macchina, solo camera fissa: ma la progressione narrativa è tutt'altro che statica. Storia banale e prototipica: ma il rilievo è tutt'altro che superficiale. Dinamismo e profondità derivano da una calibratura incessante della giusta distanza, da un formalismo che è incondizionato rispetto per l'umano, da una ritualità stilistica che custodisce il sacro e trattiene nella compostezza il conflitto insanabile tra antico e moderno, dovere e dedizione; una dialettica inesauribile apportatrice di complessità e vitalismo. Così l'universale si dischiude nel rigore della tradizione.

Rufus68 2/04/17 14:27 - 3825 commenti

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Il minimalismo di Ozu s'insinua lentamente nella coscienza: sfumature, reticenze, eufemismi, l'andirivieni quotidiano scandito da brevi rumori: il campanello, il ventilatore. La tragedia risalta, perciò, con più forza, pur nell'ambito della malinconica compostezza dei quadri narrativi. Ozu sollecita, peraltro, altre riflessioni a latere: l'amore e la lealtà filiale non vincolate dal sangue, la dolorosa ineluttabilità dei mutamenti, per cui il vecchio ordine (così come la vecchia Tokyo, che ferve di lavori) è destinato a dissolversi. Grande Ryu.

Paulaster 13/09/18 10:13 - 4389 commenti

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Coppia di genitori va a trovare i figli in città ma l’accoglienza sarà fredda. Nonostante il senso della tradizione resista, non si può constatare l’inaridimento dei sentimenti e l’egoismo. Ozu prende atto della situazione senza giochi di macchina, con una lucida analisi dove non tutti, per fortuna, sono uguali. Conclusione toccante e riconoscente verso chi ha avuto bontà d’animo. Fotografia lucida che rende il film ancora moderno.
MEMORABILE: I discorsi amari degli uomini ubriachi al bar; La commozione per il regalo dell’orologio; Il cinismo di sperare morisse prima il padre.

Magi94 26/07/19 18:15 - 944 commenti

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Un film che sfiora la perfezione per tutta la sua durata. Opera non facile, puramente giapponese, colma di dialoghi che a un occidentale appaiono strambi e di espressioni inspiegabili (le facce sorridenti mentre si dicono cose serie). Eppure questo è anche un elemento di ricchezza, che con la giusta attenzione ci conduce per più di due ore esprimendo sentimenti sussurati, abbracci sfiorati e stati d'animo occultati dalla quiete esterna. Un monumento, che dice ancora oggi molte cose sul rapporto genitori/figli.
MEMORABILE: Il finale, con l'ultima inquadratura e il tempo che continua a scorrere.

Giùan 9/08/23 11:02 - 4537 commenti

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Il tramonto del Maestro nipponico è appena velato di cupezza perché a dominare come sempre è quello sconfinato ma soffuso spleen così "ozuiano" per il tutto che scorre. La mdp, salda ad altezza tatami, è in realtà pervasivamente mossa da quei dettagli di paesaggio indecifrabili quanto irrimediabilmente contrastanti (città/villaggio) e dai volti dei personaggi scissi tra sensibilità (Ryu, Higashiyama, Hara) e grettezza, tanto più cruda perché mai giudicata dall'alto (i figli Sugimura e Yamamura). Un film viaggio che fa venir a mente i treni (che stavolta non si vedono) di Tozeur.
MEMORABILE: La reazione di Ryu alla notizia che la moglie non supererà la notte: "Allora è proprio finita"; Il pianto dirotto di Setsuko Hara.
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  • Discussione Xabaras • 1/08/18 11:36
    Galoppino - 63 interventi
    Mi spiace dirlo ma vidi questo film ad una proiezione speciale in un cinema non molto tempo fa.Lo trovai di una noia semplicemente devastante.Qualcosa di simile alla Corazzata Potemkin per Fantozzi.Qualcun altro è del mio parere o sono l'unico fesso?
    Ultima modifica: 1/08/18 11:42 da Xabaras
  • Discussione Daniela • 1/08/18 19:08
    Gran Burattinaio - 5930 interventi
    Non è mica questione di essere fessi.
    Io lo giudico un capolavoro assoluto, ma posso capire che il tema possa risultare ordinario ed il modo con cui è affrontato noioso.
    Per fare un esempio banale, se tu avessi scritto che "Lo squalo" è un film noioso, mi saresti sembrato un extraterrestre (occhio: può non piacere, ma la "noiosità" è un'altra faccenda) invece per questo film di Ozu, come per le altre pellicole da lui dirette, si può comprendere che non catturi l'attenzione.
    A mio parere parla un linguaggio universale ma il modo con cui può essere "fruito" dipende molto dal vissuto personale. La prima volta che l'ho visto, in uno dei cineforum che bazzicavo quando ero giovane, lo apprezzai ma non mi coinvolse più di tanto.
    La seconda visione, avvenuta in anni molto più recenti, invece mi ha commosso fino alle lacrime, anzi, diciamo pure che ho pianto a dirotto.
    Ultima modifica: 3/08/18 00:11 da Daniela
  • Discussione Cotola • 2/08/18 20:38
    Consigliere avanzato - 3842 interventi
    Confermo in pieno quanto detto da Daniela. Se c'è un sentimento ancor più oggettivo della bellezza, quello secondo me è la noia. C'è gente che si esalta nel vedere le partite di calcio; altri si annoiano a morte. Io non riuscirei mai a vedere un torneo di golf, ma sono in tanti ad amarlo. Chi ha ragione? Tutti: ciascuno secondo le proprie inclinazioni.

    Per i film vale lo stesso. Se si parla di perizia tecnica, di bellezza visiva e di importanza storica di una pellicola, c'è sempre da discutere molto ma con qualche margine in meno. La "tediosità" invece è una qualcosa che davvero è troppo personale.

    Viaggio a Tokyo è per me un capolavoro, ma non me la sento di condannare chi non lo apprezza o si sia annoiato. Io amo lo stile "semplice" ed il linguaggio universale di questo regista nipponico che, secondo me, sa parlare a tutti senza differenze. Ma capisco anche che oggi un cinema di questo tipo non è sempre di facile fruizione.
    E poi, ovviamente, entrano in campo anche i gusti personali di ognuno che sono anch'essi assolutamente soggettivi.