Strano film. Si vede subito che il regista Gianfranco Mingozzi tenta di dare una certa dignità al suo lavoro, nobilitandolo con molti primi piani sul bel viso (costantemente attonito e spaurito della Bolkan) e una discreta attenzione per le inquadrature e la fotografia; ma ciò che ne esce è un film lentissimo, per lunghi tratti muto (buona comunque la colonna sonora di Nicola Piovani) e dominato dalla figura della Bolkan, praticamente sempre presente sul set con la sua vestale da monaca e l'occhio perso nel vuoto (in ogni caso espressivo). Si racconta della vita di clausura di Flavia Gaetano (realmente esistita, nel Quattrocento) a Otranto, ossessionata dal pensiero del maschio...Leggi tutto incivile e profittatore e consolata dalla madre superiora, anch'essa convinta femminista (nel Quattrocento!). Flavia assiste impotente alla castrazione di un cavallo (ripresa fedelmente), allo stupro tra i maiali di una contadina da parte di un francese e alla tortura (olio bollente sul corpo nudo e taglio netto del capezzolo) di una monaca colpevole di essersi fatta coinvolgere sessualmente da una “tarantolata" giunta al monastero. Al che Flavia decide di fuggire assieme al fido Abraham (Claudio Cassinelli), ma i due verranno ripresi e lei conoscerà la libertà solo grazie allo sbarco dei musulmani, che la porteranno con loro. Il finale, con tanto di celebre spellamento, è una scena particolarmente forte. Suggestivi alcuni paesaggi di natura tipicamente italiana, ma quest’odissea religiosa lascia il tempo che trova. Se non fosse per alcuni effetti speciali piuttosto splatter e la delirante assurdità del soggetto FLAVIA, LA MONACA MUSULMANA lo ricorderebbero in pochi. Ha invece i suoi estimatori.
Film non facile, certamente curioso, che emana talora un morboso fascino ma che poi si perde, riprende e così via. Il tutto in un'accuratissima ricerca dell'immagine curata, con attori bravi, in splendidi scenari pugliesi, ma che lascia un poco storditi e con il sospetto che si sia voluto calcare la mano per dare scene forti. Alla fin dei conti si può parlare di film suggestivo, ma eccessivo, i cui elementi promettono più di quanto poi la pellicola, comunque discreta, riesca poi a mantenere.
Interessante film di Mingozzi, sorta di I Diavoli di Russell ambientato in un sud Italia medievale cupo e senza speranza. Violento ed eccessivo, ma mai gratuito, ha delle belle riprese e una bella fotografia, che in parte minimizzano la mancanza di mezzi nonché qualche buco di sceneggiatura. Utile e sempre attuale la riflessione su certi dogmatismi religiosi.
Parossistico e femminista ante-litteram, si rivela molto curato dal punto di vista formale, con paesaggi rurali del medioevo pugliese, suggestive riprese e un buon livello recitativo da parte della Bolkan, che incide con il suo sguardo scuro e profondo. La sostanza, invece, si riduce ad una compiaciuta ostentazione a ritmo alternato di sesso esasperato e torture d’ogni sorta: in breve, poca accuratezza storica, molta sexploitation. Nel cast figura Eduardo Filipone, ancora in un ruolo misterioso e "soprannaturale" come ne L'assassino ha riservato nove poltrone.
MEMORABILE: La castrazione del cavallo; La monaca che esce dal ventre della mucca.
Molte qualità tecniche: fotografia, interpretazione, scenografia, musica... ma tutto ciò non basta per farne un buon film. Al di la della storia, interessante anche questa, quello che non funziona è una sorta di confusione che viene dalla regia, che non approfondisce mai nulla volendo toccare tutto, una lentezza che spezza il ritmo e l'interesse. Quello che emerge chiaramente di certo, è che le religioni, tutte, se usate per scopi non meramente spirituali, sono crudelmente uguali e la donna è da sempre la vittima. È già qualcosa.
MEMORABILE: Il sogno di Flavia, dove si scatena tutto il sesso represso in lei.
Un curioso calderone, nel quale si trovano ad arrostire: cappa e spada, nunexploitation e revenge sociale. La malcapitata arriva ad odiare talmente tanto il monastero e la cristianità, da concorrere al massacro delle persone che abitano il luogo e professano la fede. In nome della libertà, parola ricorrente, ingiuria le immagini sacre, fomenta lo stupro di un uomo e osserva compiaciuta la morte del padre aguzzino! Elabora poi un radicale femminismo, stigmatizzando le deviazioni del mondo degli uomini (mah!). Resta comunque un prodotto molto provocatorio..
MEMORABILE: Negativo: viene mostrata la castrazione di un cavallo (mi domando perché mostrare 'sta roba, se vera è una inutile crudeltà).
Di bello ci sono un paio di interpretazioni femminili (la Bolkan ma anche la Casares) e le musiche del bravo Piovani. Ma di orrido ci sono diverse cosette: il linguaggio anni '70 messo in bocca a delle suore del 1400; l'incontro tra Flavia e il bel moro invasore che sembra tratto dai romanzi Harmony; alcune crudeltà/stranezze messe lì solo per fare sensazione. Insomma, vorrebbe essere film colto ma un gliela fa.
Non so se il femminismo del film voglia essere preso per una cosa positiva, compresa la monaca con il bastone fallico che fa pipì in piedi. I musulmani visti come liberatori delle monache, con il loro capo dal volto affeminato che diventa l'amante di Flavia, mentre gli altri uomini virili sono dei violenti dominatori. Flavia si lamenta che cristo è maschio; ha ragione: vuoi mettere una passione al femminile? Per il resto, l'ambientazione quasi desertica, pugliese, è ottima, come certe scene di violenza e visioni. Peccato, poteva essere migliore.
MEMORABILE: Il povero cavallo che viene castrato...
Indigeribile, nonostante i tentativi di Mingozzi di creare un prodotto "impegnato": scene surreali come la donna nuda che entra nel ventre di una vacca squartata rimangono più curiose che dense di significato. Clamorosi certi dialoghi femministi in bocca a suore del '400, poco efficaci anche la lunghe sequenze di sevizie e torture perpetrate qua e là. La Bolkan è monoespressiva e poco adatta al ruolo assegnatole. Sconsigliato.
Protofemminismo medioevale inquadrato in un pansessualismo retrivo e fallocentrico: se la donna si emancipa dall'autorità paterna poi soccombe alla virilità del maschio. Il potere, secondo gli autori, non può che generare violenza e l'ideologia un reflusso di aberrazioni. Mingozzi è illustrativo, disinteressato al ritmo e impossibilitato a produrre tensione emotiva: i personaggi, vittime del postulato, si appiattiscono sullo sfondo; l'apparato simbolico è elementare e gli anacronismi si sprecano. La raffinatezza visuale, la bizzarria complessiva e le musiche di Piovani supportano la visione.
Film estremo, sia per il femminismo e l’antireligiosità portati all’eccesso, sia per le immagini cruente. Mingozzi miscela una certa morbosità tipicamente anni 70 con una visionarietà di stampo russelliano e un’attenta cura delle immagini (in splendide ambientazioni a Trani). La vicenda della suora ribelle contro il maschilismo della società del 400 tra cristiani e musulmani difetta di precisione storica, ma l’obiettivo è palesemente l’attualità su cui incombe crudele. Magnetica Bolkan, Casarès luciferina. Suggestiva la musica di Piovani.
Mingozzi fu già autore del pessimo Sequestro di persona e del buon Frullo del passero. Non si capisce bene dove voglia andare a parare questo film: una sorta di femminismo antireligioso o cosa? Se lo si guarda con leggerezza è digeribile, ma dopo una visione lo si ripone volentieri nella polvere, ove è giusto stiano pellicole come questa.
Con un'enfasi particolare sull'emancipazione femminile e sull'anti-clericalismo, il film di Mingozzi rimane tuttora un prodotto piuttosto scomodo e provocatorio. Il regista rimane pericolosamente in bilico tra film d'autore (le lunghe sequenze mute, dal notevole gusto per l'immagine e per l'allegoria) e cinemabis anni '70 (le numerose sequenze truci e sanguinose); è supportato da un cast adeguato, guidato dalla brava Bolkan e da un comparto tecnico di buon livello, specialmente riguardo a musiche e fotografia. Bizzarro, ma alquanto interessante.
MEMORABILE: La monaca che esce dal ventre della mucca; Il finale.
I lati positivi sarebbero parecchi: la componente femminista e antireligiosa per una volta credibile e appassionante, la bravura di buona parte del cast (nonostante donne sempre attraenti, dentature sempre perfette e troppa igiene generale), le belle ambientazioni, la suggestiva OST, ma purtroppo certi dialoghi poco realistici, alcune inquadrature dozzinali e soprattutto il cattivo montaggio rovinano il tutto, con quest'ultimo che finisce involontariamente per edulcorare le variegate e potenzialmente devastanti scene violente. Peccato.
MEMORABILE: La tortura miikiana subita dalla peccatrice; La lunga scena onirica.
A risultare anacronistici non sono i proclami femministi nel 1400, ma quelli sessantottini nel 2016. In pieno edonismo montante, quelle rivendicazioni (cristiani o musulmani i maschi son tutti zozzoni) appaiono datate e sempliciotte (il tempo, purtroppo, cambia le carte in tavola). La Bolkan nei panni di una Giovanna d'Arco al contrario non sfigura, ma è la Casares, pur sopra le righe, a rubarle la scena nei panni di una diabolica suor Agata. Suggestiva la ricostruzione storica (e ricordiamo che Flavia Gaetani è realmente esistita).
Lo spunto è intrigantissimo, ma lo svolgimento assai disordinato, altalenante. Per una ragione o per l'altra, la storia è destinata a non decollare mai veramente, nonostante la grande (e spinosa) abbondanza tematica (obbedienza e castità in un ordine religioso, conversione come tradimento identitario, istanze cripto-femministe, scontro di civiltà, smarrimento del sé). La Bolkan, pur brava, ha interpretato personaggi migliori. Pessimo Ahmed-Higgins, uno stereotipo letterario kitsch fino al midollo. Il finale è fatto per essere ricordato a lungo.
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CuriositàFauno • 24/11/17 09:05 Contratto a progetto - 2743 interventi
Dalla collezione cartacea Fauno, un flano del film:
Non c'è ma fece il provino. L'abito della Rampling non le andava. Ha dichiarato che il film potrebbe essere definitito il sequel di un altro film fatto dal regista, con la Muti come interprete. È stata sul set in un teatro nei pressi del Colisseo, dove è stato ricostruito il convento. C'era anche Eva Grimaldi tra le provinande.
Non c'è ma fece il provino. L'abito della Rampling non le andava. Ha dichiarato che il film potrebbe essere definitito il sequel di un altro film fatto dal regista, con la Muti come interprete. È stata sul set in un teatro nei pressi del Colisseo, dove è stato ricostruito il convento. C'era anche Eva Grimaldi tra le provinande.
Eppure tornerebbe quanto riporti, se riferito a Storia di una monaca...Può essere considerato una sorta di sequel di Le monache di Sant'Arcangelo, girato l'anno prima dallo stesso regista con Ornella Muti. E tra le curiosità c'è proprio il riferimento all'abito della Rampling.
Eppure tornerebbe quanto riporti, se riferito a Storia di una monaca...Può essere considerato una sorta di sequel di Le monache di Sant'Arcangelo, girato l'anno prima dallo stesso regista con Ornella Muti. E tra le curiosità c'è proprio il riferimento all'abito della Rampling.