Rassegna estiva:
Melò d'agosto-Un'estate melodrammaticamente melodrammatica
Sorprende (ma non dovrebbe) vedere come Pollack, al suo secondo film, sembri già un regista scafato, permettendosi pure virtuosismi hitchcokiani (la macchina da presa che sale, mostrando dall'alto il treno che porta la Wood a New Orleans), che con questo intenso e fiammeggiante melodramma sembra fare le prove generali per quel capolavoro assoluto che è
Non si uccidono così anche i cavalli ? (ambientato, anch'esso, durante il periodo della grande depressione).
Il giovanissimo (allora) talentuoso regista omaggia la commedia romantica alla Frank Capra e il musical hollywoodiano nelle sequenze romanticheggianti tra Redford (bravissimo) e la Wood (magneticamente meravigliosa)in quel di New Orleans, dove l'amore pare trionfare in tutta la sua zuccherosità, finchè, con un colpo di scena inaspettato, Pollack cambia le carte in tavola (la visita a sorpresa-poco gradita-della madre di lei), sterzando nel melò amarissimo e doloroso (la corsa disperata, sotto la pioggia, di una affranta Wood è gran pezzo di cinema).
Il testo di Williams trasuda afosità e torbidità (il granitico operaio ferroviere di Charles Bronson, amante della madre che si fà pure la figlia, una madre amorale e senza scrupoli-straordinaria la Reid-che spinge la figlia a "prostituirsi" con un vecchio riccone rincoglionito per il proprio tornaconto, la Wood che civetta con tutti ma non l'ammolla mai, creando tensioni e attirando a sè una miriade di fauna maschile in fregola, l'ostilità della madre, spietata donnaccia assetata solo di soldi e richezza-la sequenza del locale, con la Wood ciucca che vomita la sua rabbia verso la genitrice è da antologia-), e Pollack gestisce il melodramma con un occhio ai classici del passato e l'altro alla narrazione tipica dell'emergente new Hollywood, tra feste, balli, compleanni -girati con un taglio da gothic movie- nuotate notturne che sembrano un'orgia, dialoghi spesso durissimi, confronti crudeli tra madre e figlia, dove culmina nel pestaggio di Redford da parte dei ferrovieri, che lo saccagnano di pugni davanti ad una disperata Wood.
Un inizio intenso (la Badham che canta una canzone sulle rotaie del treno, che sembra la Ronette Pulaski di
Twin Peaks, e dove se ne ricorderà Rob Reiner per
Stand by me), la bambola rotta di cui "
è uscito un pezzo di cervello" (Badham dixit), la Wood che sognatrice ad occhi aperti (bellissima la sequenza del vagone in disuso), ragazza volitiva ma al contempo di grande spessore caratteriale, la scalcinata pensioncina di famiglia, dove si respira un'atmosfera torrida, umidiccia e sudaticcia, non dissimile da quella di
Un tram che si chiama desiderio (Pollack guarda anche a certo cinema kazaniano), il parapiglia attrattivo che si instaura tra Redford e la Wood (i due hanno un'alchimia quasi perfetta), lui burbero, cinico, di una fredezza apparente e di secche parole, lei passionale, giocosa, ma anche tormentata e infelice allo stesso tempo e svanita nel suo mondo fantastico.
Il cinema pollackiano è già maturo e solido (la sequenza tra la madre, la Wood e Redford nell'appartamento di lui, verso la dirittura di arrivo, è pregno di intensità emozionale puramente cinematografica) e la fotografia dell'immenso James Wong Howe dona riverberi douglasirkiani.
Notevole la Badham nel ruolo della ragazzina maschiaccio, bellissimo il flashback a ritroso alternato ai binari del treno, immensa la Reid nel ruolo della mater terribilis e la Wood regala un personaggio triste e malinconico, chiuso in un corpo desiderato e ambito, sbaciucchiata e palpeggiata, oggetto del desiderio ora sfuggente ora preda della passione.
Chissà che ne avrebbe tirato fuori John Huston (regista designato, inizialmente, per dirigere il film), da una sceneggiatura scritta a più mani (tra cui un imberbe Francis Ford Coppola) e in via di scrittura anche durante la lavorazione del film (tanto che alcuni dialoghi vennero improvvisati durante le riprese), per poi essere ripudiato dallo stesso Williams.
Il buon (Ovo)Maltin definisce il film "pura spazzatura" nella sua schedina.
La sfera di vetro con la neve di
Quarto potere, Redford e la Wood che vanno al cinema a vedere
Amanti senza domani di Tay Garnett (mai titolo fu più profetico) con un discorso ficcante tra i due sui finali dei film, anfratti cinefili di un Pollack che già si stava formando come autore molto personale.
Decisamente superiore al blasonato (e molto più fortunato)
Come eravamo, dove, quì, Pollack dimostra di essere più livido e sincero, nelle calde e appassionanti notti del sud.
Il melò più vivido e fervente fuori tempo massimo, perchè non si uccide così anche l'amore?
Da Wikipedia (grandissimo Gianni Amelio):
Gianni Amelio lo considera uno dei film migliori di Sydney Pollack, "
una ballata malinconica narrata con finezza e pudore"