intervista a Ivan Zuccon

18 Settembre 2017

Nell'introdurre questa bella intervista al regista del suo quasi conterraneo, il nostro caro HACKETT così scrive: Nel 2016 ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere il regista Ivan Zuccon sul set di un teaser trailer (In articulo mortis) che stava girando. Autore di film horror indipendenti dallo stile personalissimo e non convenzionale, ma attivo nel cinema anche come montatore di molti dei film di Pupi Avati, Ivan Zuccon si è dimostrato anche persona disponibilissima e gentile, dotata di autoironia ed una passione smisurata per ciò che ama fare. Conosciamolo un po’ di più in questa intervista concessa in esclusiva per www.davinotti.com.  


HACKETT: Ciao Ivan, partiamo da lontano. Come ti sei avvicinato all’horror e poi al mondo del cinema horror?
IVAN:
Tutto inizia con la mia passione letteraria. Partendo da scrittori come Poe e Bierce per arrivare ai contemporanei Burroughs e Ballard, senza tralasciare poi, da ragazzo, anche la lettura di Dylan Dog che iniziai per caso a leggere proprio dal primo numero, non lasciandolo più fino al centesimo albo. Queste letture fantastiche e il citazionismo cinematografico proprio del personaggio di Bonelli mi hanno avvicinato a un mondo che non conoscevo ancora. L’ Orrore. Pensa infatti che fino ai sedici, diciassette anni, ero letteralmente terrorizzato dai film di paura.

HACKETT: Ti ricordi un film che ti ha spaventato molto?
IVAN:
Ero in prima superiore e un amico mi fece vedere Il ritorno dei morti viventi di Dan O’Bannon, un bellissimo film che, in pratica, è una commedia horror. Io ero così spaventato che per lunghe notti non sono riuscito a chiudere occhio. Oltretutto in quel periodo abitavo con i miei nonni e la loro casa era situata vicino a un cimitero. Per mesi mi alzai per controllare che da lì non stesse arrivando qualche morto vivente… Sul tema della paura in relazione al genere horror aggiungo un ricordo che può essere un aneddoto divertente. Quando ero piccolo mia madre mi copriva sempre gli occhi se in giro incrociavamo qualche locandina di un film dell’orrore.  Una volta, quando ancora abitavamo a Genova, passando per il centro mia madre cercò di nascondermi la visione del manifesto di Zeder di Pupi Avati. Adesso, dopo tanti anni, non solo faccio film dell’orrore ma sono persino diventato il montatore dei film di Pupi Avati… Scherzi del destino! Quando ho raccontato a Pupi quest'episodio della mia infanzia ci siamo fatti molte risate…

HACKETT: Quindi la lettura ti ha portato al cinema?
IVAN:
Sì, la passione per questi autori e per i fumetti di Sclavi mi ha fatto fare il grande salto e, per conoscere i tanti film di cui avevo sentito solo parlare, ho iniziato a noleggiare quintali di vhs. Un mondo si è spalancato davanti ai miei occhi: il mondo di Carpenter, di Romero, di Fulci e soprattutto di Mario Bava. La paura ha lasciato il posto all’amore per un genere che più di qualunque altro spalanca le porte della percezione. Se poi parliamo di autori come Carpenter e Romero, ad esempio, possiamo capire quanto questo genere possa essere un mezzo per scavare nell’animo umano e fare riflessioni anche profonde sulla società moderna. Questo cinema così profondo e al contempo spettacolare mi ha indotto a pensare che il racconto per immagini poteva essere una strada percorribile per dar sfogo alla mia creatività.

HACKETT: I primi passi nel cinema come sono stati?
IVAN:
E’ stato un percorso tortuoso. Ho iniziato con quello che avevo in casa, una cinepresa super 8 con la quale ho fatto i primi esperimenti. Avevo poi una giuntatrice per montare la pellicola sviluppata e cercavo di sincronizzare il tutto a una colonna sonora da me creata. Ero molto ispirato dagli esperimenti visivi di Sam Raimi e cercavo anch’io di crearmi supporti per inquadrature sempre più creative, come un camera car che ho costruito inserendo una telecamera in un box di compensato pieno di molle.

HACKETT: Sei sempre stato molto interessato alla tecnica quindi?
IVAN:
Certo, ancora prima della storia, i due aspetti che hanno catturato subito la mia attenzione sono sempre stati la tecnica e l’atmosfera. L’atmosfera che maggiormente mi ha ispirato è quella delle pellicole di Carpenter, anche se sono sempre stato affascinato dal taglio quasi documentaristico del primo Romero, uno stile che però fino ad ora non ho mai sperimentato in un mio lavoro.

HACKETT: Quando questa passione è diventata professione?
IVAN:
A un certo punto, quando ho deciso che questo era quello che volevo fare, mi sono chiesto come poterlo trasformare in un business. Visto che ero un musicista ho pensato che la musica potesse essere il collegamento giusto e così ho creato lo Studio Interzona che, in principio, è nato con l’intento di produrre video musicali. Poi ho conosciuto Cesare Bastelli, storico direttore della fotografia e aiuto regista di Pupi Avati. Bastelli cercava uno studio di montaggio per dei lavori televisivi prodotti da Avati ed era venuto a sapere che in zona c’era il mio. Così è nata una collaborazione che dura ancora oggi.

HACKETT: Per curiosità ti ricordi alcuni titoli di questi primi prodotti televisivi di Avati sui quali hai lavorato?
IVAN:
Erano molti, prodotti per Sat2000 divenuta poi TV2000 acquisiti in seguito anche dalla Rai, titoli come: Un vescovo e una città, Ad est di Dove?, La selva delle lettere e tanti altri. Documentari d’inchiesta e di approfondimento socio culturale molto validi.

HACKETT: Ma arriviamo al tuo lavoro dietro la macchina da presa.
IVAN:
Nonostante l’impegno come montatore, ho sempre coltivato parallelamente le mie ambizioni registiche. Il mio primo cortometraggio risale al 1995 ed è intitolato L’amico di nessuno; è stato un debutto entusiasmante perché all’epoca vinse moltissimi premi e mi diede grandi soddisfazioni. A questo seguirono altri cortometraggi ai quali sono molto legato come L’albero capovolto, Degenerazione, L’ultima cena e Neve.

HACKETT: Come nasce il dittico 
L’altrove (2000) e Maelstrom - il figlio dell’Altrove (2001)?
IVAN:
In principio i film dovevano essere tre, poi però il terzo, dal titolo “The Lost Beyond” non ha mai visto la luce.  Dopo la proiezione al festival di Bellaria del mio corto Degenerazione , nonostante e forse grazie allo scalpore suscitato in sala per l’approccio realistico utilizzato in una storia di matricidio (che sarà l’embrione del successivo Bad Brains), suscitai l’interesse del Torino Film Festival che mi chiese un altro cortometraggio inedito da presentare all’interno della loro manifestazione. Iniziai a scrivere la storia di un soldato bloccato in un rifugio mentre fuori imperversa la battaglia, desideroso di fare qualcosa che si discostasse dall’horror. La scrittura però subì uno stallo e l’occhio mi cadde sulle opere di Lovecraft, che avevo comprato ma non ancora letto. Il Necronomicon mi ispirò all’istante e unendo queste suggestioni a quanto avevo in parte già scritto, pagine e pagine di sceneggiatura presero forma in un lampo, dando vita a L’altrove.

HACKETT: Come è andato una volta finito?
IVAN:
Al Torino film festival non fu selezionato ma nonostante il disappunto non mi feci scoraggiare e mi venne l’idea di utilizzare internet, allora agli albori, per contattare tutte le case di produzione americane esistenti. Devo dire che mi risposero tutte! Così iniziai a fare delle VHS per poter spedire in visione il mio lavoro. Molti si complimentarono ma dapprincipio nessuno sembrò interessato ad aiutarmi nel trovare i fondi necessari per ampliare il film. Poi mi contattò la Prescription Films di Tiffany Shepis (attrice che in seguito lavorerà con me un paio di volte) la quale, essendo appassionata dei libri di Clive Barker, aveva visto qualcosa nel mio lavoro che le ricordava il suo scrittore preferito. La casa di produzione mi chiese quanto mi serviva per far diventare quel corto un lungometraggio e in poche settimane avevamo il budget necessario per “gonfiare” L’altrove e farlo diventare The Darkness Beyond, che è ufficialmente il mio primo lungometraggio. Terminato il montaggio approdammo al mercato di Cannes nel 2000 e il film fu venduto molto bene. Questo mi convinse a cedere alle insistenze produttive di creare un seguito di Maelstrom - il figlio dell’Altrove. Film che non ho mai amato particolarmente. Utile però, poiché credo di aver fatto molti errori nella sua creazione che in futuro avrei cercato di evitare.

HACKETT: Fin dai primissimi film hai avuto un legame particolare con alcuni attori che poi hai utilizzato molto spesso.
IVAN:
Certo, attori come Emanuele Cerman, Michael Segal, Roberta Marrelli e Matteo Tosi sono persone che stimo e amo molto. Ho sempre cercato di averli con me anche quando per esigenze produttive ho dovuto scritturare attori internazionali.

HACKETT: Parliamo de La casa sfuggita (2003), film nel quale la casa in quanto tale ha una rilevanza centrale nella vicenda. Quanto una casa può essere importante in un horror?
IVAN:
In realtà il concetto che cerco sempre di inseguire è quello del “non luogo”. Se ci pensiamo, la location de La casa sfuggita è come un’astronave, oppure come un altro pianeta o una dimensione altra, e lo stesso dicasi per la prigione di Wrath of the Crows. Sono luoghi chiusi, isolati dall’esterno, che trasmettono una sensazione di sospensione dal mondo reale. Le caratteristiche principali che si riscontrano nei miei film sono del resto principalmente due: l’impostazione di “non luogo” dove ambientare la storia e l’arrivo di un elemento esterno che vi entra per destabilizzare un determinato status quo.

HACKETT: Quali sono i vantaggi e gli svantaggi del girare in un’unica location?
IVAN:
I vantaggi riguardano prima di tutto la possibilità di contenere i costi produttivi; la difficoltà principale invece sta nel saper gestire l’unica location dal punto di vista drammaturgico perché non si ha la possibilità di spostare l’azione e la narrazione in altri contesti. Proprio La casa sfuggita ad oggi è il film che registicamente parlando considero il più efficace, nel quale ho dovuto adottare scelte e soluzioni che hanno trasformato quella singola dimora in molti luoghi tra loro apparentemente differenti. Un’altra particolarità che pochi sanno è che il film fu girato in due lingue, italiano e inglese. Gli attori facevano prima un ciak in una lingua e poi in un’altra. Questo ci ha permesso a fine lavorazione di avere già una pellicola per il mercato interno e una per l’estero.

HACKETT: Il successivo
Bad Brains (2006) è stato molto apprezzato e ben distribuito in Italia. Cosa ricordi di quel periodo?
IVAN:
Venivamo dal successo de La casa sfuggita, che era andato benissimo a livello di distribuzione mondiale, venduto in oltre 40 paesi. Ero poco interessato al mercato italiano dove invece non era ancora uscito nulla e la mia intenzione era quella di girare un film interamente pensato per il mercato estero. Bad Brains doveva avere come protagonista Tiffany Shepis che però in quel periodo, per impegni lavorativi, non era riuscita a liberarsi. Proprio in quei giorni il mio amico Emanuele Cerman, che aveva appena fondato una casa di produzione (Timeline), mi chiese se ero interessato a girare un film con la sua società e se avevo nel cassetto qualche progetto. Bad Brains era praticamente pronto per partire e vista la situazione di stallo con i produttori americani abbiamo deciso di produrlo in Italia. Il film fu poi ben distribuito dalla Mikado e dalla Cecchi Gori e mi diede finalmente una buon visibilità anche in patria.

HACKETT: In questo film però il male non è un elemento alieno…
IVAN:
E’ vero, il male in Bad Brains è nell’animo umano, è l’uomo stesso. Anche questa volta c’è un elemento esterno (il personaggio di interpretato da Matteo Tosi) che entra a scombinare le cose, ma diversamente dal solito questo elemento è positivo, all’interno di una situazione malata.

HACKETT: Si può ascrivere la pellicola al filone del torture-porn?
IVAN:
In realtà il film è stato concepito molto prima dell’esplosione del cosiddetto torture-porn; sfortunatamente poi il film è uscito sulla scia di pellicole appartenenti al genere. A dire il vero però Bad Brains è più un precursore di quella che poi è divenuta una moda. Sono stato un precursore anche nell’utilizzo del digitale: nel primissimo periodo fui deriso e criticato da molti che sostenevano l’utilizzo esclusivo della pellicola. Ora però girano tutti in digitale…

HACKETT: Il successivo Nympha (2007) appare un cambio ulteriore di rotta.
IVAN:
Dopo aver delegato tutti gli aspetti produttivi di Bad Brains a una società esterna, sentivo il desiderio di riprendere il controllo totale del film. Nympha era l’occasione giusta per lavorare finalmente con Tiffany Shepis ed è stato pensato principalmente per il mercato estero. E’ stata una bellissima avventura, forse il set più bello che ricordo. Dal principio doveva essere un mio ritorno a Lovecraft ispirato al racconto “L’orrore di Dounwich”. La struttura di base infatti ricorda molto il racconto originale. Purtroppo la produzione tedesca preferiva un film più convenzionale e fu così che vennero apportati allo script alcuni sostanziali cambiamenti. Il mostro tentacolare del racconto originale venne sostituito in sceneggiatura da una divinità maligna che genera un culto malvagio. Ancora una volta il male di Nympha è un male incarnato nell’animo dell’uomo, un male che genera a sua volta altro male. Il film confermò il trend positivo di quel periodo e andò molto bene, specialmente negli USA e in Germania. Ricordo che su Amazon finì nella Top10 dei dvd più venduti del 2007.

HACKETT: Su Nympha ancora di più si nota il tuo amore e la tua stima per le attrici.
IVAN:
Certo, credo che erroneamente si pensi che gli uomini abbiano una maggiore creatività, forse per il fatto che le grandi firme conosciute sono spesso maschili. Nella mia esperienza ho potuto constatare quanto le donne siano dotate di grandissimo talento, specialmente nella recitazione. Senza nulla togliere agli uomini, ho sempre riscontrato nelle donne appartenenti al mondo del cinema una dedizione e una serietà nel lavoro eccezionali. Ho avuto la fortuna di lavorare con molte attrici dal talento mostruoso, come ad esempio Debbie Rochon, una professionista che sul set dà sempre il massimo.

HACKETT: Con Colour from the dark (2008) torni finalmente a Lovecraft.
IVAN:
Avrei dovuto girare Colour già nel 2004 ma per un disguido con un produttore canadese che scappò con i soldi dovetti attendere alcuni anni, per realizzarlo. Mi erano arrivate diverse proposte in Italia da persone che volevano produrmelo, imponendomi però delle scelte registiche e di cast che non ho voluto accettare. Poi finalmente il progetto prese corpo.

HACKETT: Ancora una volta la location quasi unica e rurale è il cuore della vicenda…
IVAN:
Trovo molto stimolante la location unica, perché è una sfida, ti obbliga ad essere estremamente creativo e spesso in queste condizioni le idee che scaturiscono sono le migliori. Per quanto riguarda la ruralità l’idea nasce senza dubbio dal rapporto di amore e odio che nutro per la mia terra. La pianura padana è un luogo particolare, con i suoi paesaggi piatti e sconfinati, spesso avvolte dalle nebbie impenetrabili: luoghi e atmosfere che da un lato affascinano e dall’altro tediano e deprimono: sono sicuramente terreno fertile per storie davvero spaventose. E’ evidente che in questo film il territorio, questo territorio, è protagonista quasi quanto i personaggi narrati nella vicenda. Colour from the dark è, d’altro canto, il film con più esterni che ho realizzato fino ad oggi.

HACKETT: Poi arriva Wrath of the Crows (2013), un horror carcerario e metafisico, il più visionario dei tuoi…
IVAN:
Questo film nasce dalla rabbia e dalla delusione per i risultati di Colour from the dark, che non andò molto bene al botteghino. Reduce dal successo di tre film consecutivi, avevo grandi aspettative per questo mio ritorno a Lovecraft ma, in un periodo nel quale l’horror si faceva sempre più cinetico e ai confini con l’action, il mio film non era stato apprezzato proprio per i suoi tempi quasi “bergmaniani”. Questa delusione segnò anche l’inizio del mio divorzio dai produttori, dai distributori e dagli agenti, la fine di un rapporto conflittuale che non poteva andare avanti. Questo insieme di stati d’animo ha fatto nascere il progetto di Wrath of the Crows, un film nato non dal cuore ma dalla rabbia. La sceneggiatura comunque era nata già nel 2008 in un bel periodo, quando mi trovavo a New York a promuovere proprio Colour from the dark. C’era molta curiosità attorno al mio lavoro anche da parte di alcuni colleghi, come Don Coscarelli che venne a vederlo incuriosito. Ricordo poi una particolare  attenzione per noi da parte della rivista Fangoria, che dedicò molto spazio alla pellicola. Tornando a Wrath of the Crows, comunque, bisogna capire che a quel punto mi sono concesso un’ulteriore possibilità. Perché quando un film va male è difficile riuscire a farne un altro, specialmente per un indipendente che cerca di prodursi i film con gli introiti dei film precedenti. La sceneggiatura di base era semplice, abbiamo poi aggiunto elementi metafisici per rendere l’intreccio più articolato; doveva essere un film molto originale, diverso da uno dei tanti horror carcerari di moda dopo Saw. E così in effetti è stato. Il cast doveva essere molto importante sia sul versante maschile (Tom Savini e Sid Haig) che su quello femminile. Le contingenze produttive però ci hanno imposto delle scelte e abbiamo privilegiato un cast di stelle del cinema horror contemporaneo: Tiffany Shepis, Debbie Rochon, Suzy Lorraine… Ho rimontato e rigirato il finale del film molte volte. Questo perché è un film molto aperto e riuscire a dare una sensazione di compiutezza era molto difficile. Sono molto soddisfatto di Wrath of the Crows, ma è un film che amo e odio allo stesso tempo. E’ stato uno sforzo produttivo enorme ma la distribuzione ha avuto poco coraggio e alla fine è stato visto poco. E’ uscito in un periodo sfortunato, durante il tracollo di Blockbuster che ci ha tolto una grandissima fetta di mercato. Attualmente Netflix e Redbox hanno acquisito i diritti ma ancora non esiste una data di rilascio.

HACKETT: Dopo un po’ di silenzio torni sul set nel 2016 per girare il teaser trailer di In articulo mortis con Michael Segal, un’operazione insolita nel panorama italiano…
IVAN:
Michael mi aveva contattato perché voleva trarre un film da un suo libro, per il quale aveva già scritto un breve soggetto. Io sinceramente avevo già meditato di ritirarmi dalla regia per dedicarmi solo al montaggio ma, anche se molto titubante, ho deciso di accettare riadattando la sceneggiatura di Michael per cercare di renderlo più adatto alla mia visone di cinema. E’ stata l’occasione per aiutare un amico ma è anche stata un’esperienza che mi ha divertito e mi ha fatto tornare la voglia di stare sul set.

HACKETT: L’ultima tua fatica è una storia pensata per la rete, Herbert West Reanimator, che andrà in onda a puntate gratuitamente sul web. Cosa ti ha convinto a fare questa scelta?
IVAN:
Girare il teaser con Michael mi aveva fatto tornare la voglia di fare film, ma non quella di affrontare produttori e distributori e tutto l’iter che ne consegue. Ero stanco di essere derubato da soggetti che diventano proprietari del tuo film per dieci, quindici anni, lasciandoti senza tutele. Ancora prima di definire cosa fare io e Roberta Marrelli abbiamo deciso che non avremmo voluto avere a che fare nulla con persone che ci avrebbero sicuramente rubato l’opera. Colour from the dark, Wrath of the Crows, sono da anni in mano a distribuzioni che, a causa della loro inettitudine, non riescono a rendere giustizia all’opera e non tutelano nemmeno il fatto che ne esistano migliaia di copie pirata in rete. Queste sono le situazioni che letteralmente uccidono la produzione indipendente e nessuno si rivolta o si scandalizza, dando per scontato che debba per forza essere così. La vera produzione indie di musica e cinema è sparita in tutto il mondo, per mancanza di regole chiare nell’utilizzo della rete. Quindi, paradossalmente, l’unica piattaforma possibile da sfruttare è proprio la rete stessa. Una provocazione in fondo, ma se le istituzioni lasciano che le opere siano messe a disposizione gratis e ciò avviene senza la volontà degli autori, allora voglio essere io a decidere di mettere in rete ciò che ho fatto, almeno è una scelta mia. Herbert West Reanimator è un film pensato per il web più che una web serie. Un film unico diviso in episodi autoconclusivi da dieci minuti che saranno trasmessi con cadenza settimanale. Per me si tratta di un nuovo inizio e prendere in mano proprio il personaggio più rappresentativo di Lovecraft mi è sembrato simbolicamente molto appropriato per questo mio ritorno.

INTERVISTA INSERITA DAL BENEMERITO HACKETT IL 18/9/017

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commenti (3)

RISULTATI: DI 3
    Buiomega71

    18 Settembre 2017 23:00

    Davvero complimenti, Hackett. Una succosa intervista a uno dei nostri registi di genere più personali e ancora troppo in ombra. Insieme a Bianchini uno dei nomi di punta del risorgimento dell'horror italiano (anche se in piccoli dosi distributive, come NYMPHA, colpevolmente mai uscito da noi). Ottimo lavoro.
    Trivex

    19 Settembre 2017 10:49

    Grande!
    Herrkinski

    20 Settembre 2017 06:19

    Ottima intervista Hackett, mi ha fatto venir voglia di andare a recuperare anche gli ultimi film del regista, che m'ero perso.