Intervista a Francesca Ventura

23 Maggio 2016

Francesca Ventura è conosciuta dal grande pubblico soprattutto per il personaggio di Tisini, la secchiona antipatica della famosissima serie televisiva I Ragazzi della 3^ C e per qualche suo ruolo divertente in alcune commedie popolari degli anni Ottanta, ma ridurre a questo la sua lunga carriera artistica è farle oggettivamente un torto. Conosciamola.

MARKUS: Ciao Francesca, ti ringrazio a nome mio e del sito “Davinotti.com” per questa intervista da te concessa. Iniziamo subito dai tuoi esordi. Dal momento che hai iniziato giovanissima a far l’attrice, mi pare di aver intuito che il mestiere l’hai fatto per vocazione…
FRANCESCA:
Sì, ho sempre voluto recitare. Mia nonna mi portava all’Opera e a vedere i balletti, cosa che ha sicuramente incentivato la mia passione per il teatro; una passione che ha riguardato tutto quello che concerne il mondo dell’arte. A sei anni ho cominciato a studiare danza classica e fin da piccola adoravo leggere, soprattutto romanzi; ho sempre scritto e ascoltato tanta musica, inizialmente classica e lirica, poi pop, rock… tutto quello che era bello. Per la danza non avevo il fisico del ruolo, la scrittura non l’ho mai abbandonata e la professione è stata quella di attrice e poi anche regista.

Ho letto in una tua recente intervista che il tuo “talent scout”, se così si può definire, fu nientemeno che il grandissimo Arnoldo Foà. Mi racconti come andò?
Mi notò in un saggio scolastico, dove mi avevano confinata in fondo al palcoscenico a interpretare un’alga di mare in una messinscena della Sirenetta di Andersen. Ero una ribelle e alla professoressa non ero simpatica. Nonostante fossi relegata in un angolino lui notò che interpretavo ogni movimento dell’immaginaria alga scossa dalla corrente marina e così finii a interpretare il “Piccolo principe” di Saint Exupéry nel ruolo del piccolo principe. Come disse lui (con un po’ di ironia nei confronti di una ragazzina): “Non esistono piccoli ruoli, solo piccoli attori”.

Foà (peraltro magistrale attore) aveva la nomea del burbero…
Per me è stato un angelo sceso dal cielo a darmi la mia prima chance. Punto.

In quegli anni (presumo seconda metà degli anni Settanta) studiavi all’Accademia di Arte Drammatica…

Fine anni Settanta, sì. Erano anni dove ancora si respirava l’eredità del Grande teatro dell’Ottocento e il direttore dell’Accademia era Camilleri. L’Accademia era sparsa in tutta Roma; ormai la sede storica di via Quattro Fontane era stata chiusa quindi ci spostavamo da una parte all’altra della città per fare lezione.

Il tuo debutto ufficiale, leggo, è stato nel 1980 in uno spettacolo diretto da un altro luminare: Vittorio Gassman…
Altro burbero benefico. Grandissimo attore e Maestro.

In una puntata di “Domenica in…” della fine del 1979 Gassman annunciava al pubblico la prossima apertura della sua “Bottega” di recitazione in quel di Firenze (nel frattempo chiusa da molti anni). Ne facesti parte?
Certo! Con altri cinque attori fummo scelti tra tremila ragazzi per interpretare “Fa male il teatro”, lo spettacolo che annunciava la nascita della Bottega (una sorta di “X-Factor” ante litteram) con una selezione che durò tre mesi e fummo scelti alla fine in sei. Alla Bottega ho studiato la recitazione dei versi, un’esperienza attorica meravigliosa. Legare la recitazione a una partitura quasi musicale. Uno studio di grandissimo fascino. Avevamo come Maestri anche altri attori, oltre Vittorio; artisti del calibro di Eduardo de Filippo, ad esempio, e poi passarono in visita amici di Gassman che si mettevano a disposizione per raccontarci le loro esperienze (tra loro un immenso, simpatico e gigantesco Anthony Queen); i miei colleghi erano la crema di quella generazione di attori… e lo sono ancora!

Nel 1980 ben tre spettacoli tutti diretti dal “Mattatore”…
Spettacoli e saggi… ma sì, spettacoli perché un saggio della Bottega era sempre e comunque un’esibizione di altissimo livello.

Dalle polverose assi del palcoscenico al mondo del cinema il passo è stato breve, visto che nel 1982 sei accanto nientemeno che ad Alberto Sordi e Carlo Verdone nella divertentissima commedia In viaggio con papà. Una piccola parte ma significativa e divertente (la scena del bagno!)…

Terzo burbero benefico! Non tanto Carlo che era un amore, ma Sordi che era piuttosto fumantino, per dirla alla romana; ma poi gli passava subito…

Ora che mi ci fai pensare anche Carlo Verdone raccontò di aver avuto con Sordi uno screzio, su quel set. Nell’immaginario della gente “Albertone” viene percepito come bonario, ma capisco che quando si hanno le redini di una regia così importante perdere le staffe per accumulo di stress sia anche facile.
Sì, certo. In parte dipende dal carattere e in parte da scelte “opportunistiche”. Penso che un regista solare, allegro (come Bruno Cortini, per esempio) sia una benedizione per il set e soprattutto per gli attori. Poi ci sono maghi come Peter Greenaway e Nikita Mikhalkov che riescono con il loro fascino e la loro classe ad ottenere ciò che vogliono da attori e maestranze. Nel mio piccolo mi piace essere rassicurante e non mi arrabbio con facilità, o almeno cerco di non farlo vedere; anche se, come mi disse affettuosamente un attore: “Tu sei sempre dolcissima, ma comunque sei sempre una pignola perfezionista e… rompi…!”; insomma, ogni regista cerca di ottenere quello che vuole come meglio può.

Sul set anche il compianto Angelo Infanti (eccellente e carismatico attore). Che ricordi hai di lui?
Ci siamo incrociati solo una volta. Non sempre si incontrano i colleghi; anzi, se non sei nella stessa scena non li incontri proprio, purtroppo!

Il tuo debutto in televisione, correggimi se sbaglio, è stato nello sceneggiato Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1983), per la regia di Piero Schivazappa…
Schivazappa, invece, era un gentil signore. Il film curatissimo.

Nello stesso anno sei parte del cast di Sapore di mare 2 - Un anno dopo, per la regia del compianto Bruno Cortini, accanto a molti attori e caratteristi…

Bruno, una persona calda, accogliente, sempre solare con tutti, mai un momento di nervosismo e nel cast tanti bravissimi caratteristi. Sul set si respirava un’atmosfera molto piacevole; eravamo tutti nello stesso albergo in Sardegna; certo si lavorava parecchio, ma c’era tanta armonia e voglia di stare insieme, di dare il meglio e divertirsi.

A proposito di Sapore di mare 2, avrai certamente saputo della recente scomparsa di Karina Huff. Che ricordo hai di lei?
Ricordo che era bella e simpatica, sempre allegra e con una vitalità prorompente. Sono ancora molto colpita dalla sua scomparsa.

Un periodo intenso anche con il teatro: nello stesso anno interpreti ben cinque ruoli in “Varietà”, accanto all’istrionico Massimo Ranieri…
Sì, ho avuto la fortuna di essere chiamata a sostituire una brava attrice, Isa Gallinelli, all’ultimo momento. Massimo è una persona molto amabile. Ho un bellissimo ricordo di quello spettacolo. Con noi debuttò anche Arturo Brachetti. Straordinario.

Nel 1984 interpreti Matilde nel film di Marco Risi Un ragazzo e una ragazza, con Jerry Calà e Marina Suma…
Avrei dovuto fare anche un altro film con Marco, ma si accavallò con un contratto già firmato e dovetti rinunciare.

Nello stesso anno ritorni al cinema cosiddetto vacanziero con Giochi d’estate: uno dei vari apocrifi del ben più celebre Sapore di mare…
Ancora con Carrina (Karina Huff) e di nuovo accanto all’amico e bravissimo caratterista Giorgio Vignali.

Infatti! Giorgio Vignali per la seconda volta ne panni di tuo fidanzato (la prima volta in Sapore di mare 2). Avevate quasi formato una coppia, nel panorama del cinema vacanziero. Caratterista che secondo me meriterebbe più attenzione…
Sono d’accordo con te. Comunque Giorgio è anche scrittore e si è fatto notare scrivendo per conto di Mediaset per diversi anni. Quando sei un caratterista - qui da noi - sei relegato a ruoli minori; importante quindi saper cambiar pelle all’occorrenza. Tipico dei bravi caratteristi, appunto.

Nel 1987 ti vediamo nel film Oci ciornie. Sul set c’è Marcello Mastroianni...

Dovevo essere la figlia di Mastroianni e della Mangano, in quel film… praticamente la protagonista italiana, ma la produzione volle imporre la Rossellini, che era la nipote della produttrice; Mikhalkov non la voleva assolutamente e rimanemmo senza ruolo entrambe. Poi, per consolarmi, lui mi scrisse il piccolo ruolo che interpretai. Mi fa male parlare di questa storia ma eccotelo qui, il macigno nella scarpa che mi chiedi di levarmi in chiusura d’intervista… Grazie al nepotismo italiano (nel vero senso della parola, in questo caso) ho perso l’occasione di andare all’Oscar con un grande ruolo, un’occasione che mi è capitata solo quella volta nella vita. Comunque quando Marcello è arrivato sul set io ero al trucco con le lacrime agli occhi, perché mi stavano appunto dicendo che il ruolo era molto piccolo, ma che Nikita ci teneva che fossi presente e Mastroianni mi disse: “Va bene che piangere fa bene agli occhi, ma i tuoi sono già bellissimi, pure qui piangi?”. Ora la cosa mi fa ridere e in effetti è buffo perché io non sono certamente una piagnona, per dirla alla romana, però sta di fatto che lui mi aveva incontrata sul set di In viaggio con papà e pure lì avevo i lucciconi dato che ero stata aspramente rimproverata da Sordi perché avevo sbagliato un ciak e lui ne aveva fatta una tragedia dimostrando di essere, come mi disse dopo, un vecchio burbero e nervoso.

L’inizio del 1987 è di quelli per te fondamentali sul versante della popolarità, in quanto fai parte del cast della fortunatissima serie televisiva I Ragazzi della 3^ C (regia di Claudio Risi) nel ruolo di Tisini. Come ci arrivasti?
Per via diretta. Feci un provino, mi scelsero. Capitava pure questo in quegli anni, per fortuna.

Com’è nato il tuo ruolo della secchiona della classe (facevi coppia fissa con la tua alter ego “Elias”)?

Lo hanno scritto e io l’ho interpretato come lo voleva Claudio Risi; io mi sono limitata ad inventare la frase “Quanto sei cretino, carino” una volta che Fabio mi aveva fatto un paio dei suoi scherzetti per poi sorridermi con quella sua espressione impertinente. Ero irritata con lui e divertita nello stesso tempo; quella battuta mi uscì per caso ed era talmente azzeccata che Claudio mi concesse di pronunciarla quando volevo. Diventò poi l’espressione che ha caratterizzato il personaggio.

Quel ruolo ti è rimasto “appiccicato” addosso (sorte peraltro capitata a gran parte di quel cast). È stato un fatto spiacevole e limitante per il proseguo della tua carriera?
Ma no! Non è vero, non mi è rimasto appiccicato nulla. L’amore dei fans non è una cosa che si appiccica… è una cosa che fa piacere. Ho fatto molti altri ruoli e molto diversi tra loro, dopo questo.

Ricordo di aver letto un’intervista in cui uno degli interpreti della serie, parlando di te, dichiarava che nonostante il serissimo ruolo a te affibbiato in realtà nella vita eri (e sei, immagino) esattamente il contrario. Ti seccò questa sorta di forzatura del tuo carattere?
No, certo che no. È sicuramente più interessante per un’attrice lavorare controcorrente e comunque chi ti ha detto che non sono serissima? Sono seria, solo che non rompo come Tisini (almeno credo) e non sono antipatica e scostante come lei, spero! Sicuramente non sono una secchiona!

Come vivesti il successo e la popolarità (forse insperata) che vi diede la serie?
Bene, chi stava meglio di noi?

Nel corso delle tre stagioni sei stata in compagnia di un gruppo di lavoro per sei mesi all’anno per tre anni. Immagino sia stato, come si dice, croce e delizia…

Come in famiglia, nel bene e nel male. Grande faticata, questo è certo. Quattordici ore di set al giorno... ci vogliono il fisico e la testa! Alla fine della stagione la truccatrice aveva qualche difficoltà a truccarci da bei ragazzi solari. Mi ricordo che era una delle ultime settimane di riprese, stavamo tutti insieme in attesa al trucco e passò un macchinista che, dopo averci osservati un po’, esordì con un “Ahò, ma come ve siete ridotti! Me sembrate i nonni dei ragazzi della III C!”

Al termine di questa bagno di popolarità, con ben due premi “Telegatto” e ospitate nei vari programmi celebrativi, per molti tuoi colleghi ci fu una sorta di vuoto pneumatico quando la serie chiuse i battenti. Per te?
No, non mi sono fatta prendere dall’eccitazione del momento, ho cercato e fortunatamente (perché ci vuole anche fortuna…) ho trovato subito un lavoro in teatro. Un monologo e poi un altro (“Prima del ballo” di Italo Svevo, regia di Franco Piol). Avevo già avuto un enorme successo in teatro e avevo capito a mie spese che il successo va’ e viene. Talvolta la popolarità rimane, ma con quella non si mangia.

Hai mantenuto i rapporti con qualcuno degli attori?
Si, con Giacomo Rosselli, Renato Cestiè, Giorgio Vignali e con i miei colleghi e colleghe di teatro.

Nel 1990 sei a teatro ne “La locandiera” con Manuela Kustermann e, l’anno successivo, sei nel cast del film Cattiva di Carlo Lizzani. Dopo la parentesi leggera de
I Ragazzi della 3^ C sembra che tu abbia preso una svolta più seria e impegnata. Volente o nolente?
Volente. Sono tendenzialmente una persona riflessiva anche se esuberante, interpretare film comici mi corrisponde sicuramente meno, anche se mi fa molto bene, mi aiuta a mantenere il buon umore. L’influenza del personaggio è molto forte nella vita del momento.

Nel 1993 sei diretta da Carlo Vanzina per il ruolo di Rita nel non molto fortunato Piccolo grande amore, con l’allora stella nascente Raoul Bova.
Era timido, gentile e anche modesto, perché mi chiese qualche consiglio, visto che, essendo al suo primo film, si trovava un po’ spaesato. Una delle molte belle persone che ho incontrato nella mia carriera.

Non hai avuto modo di lavorare recentemente con i fratelli Vanzina?
No perché bisogna farsi vedere in giro, altrimenti i registi si dimenticano di te. Io mi sono ritirata in campagna per diversi anni, come ti ho raccontato, e ora per tornare al cinema devo ricominciare da capo, a un’altra età e con un altro fisico.

De “La caccia, il cacciatore, la preda” (1995) di Andrea Marzari sarò sincero: non ne sapevo niente! Ho visto che accanto te c’era una giovanissimo Giampiero Ingrassia…
Sì, c’era Giampiero alle prime armi, anche lui molto simpatico. Il soggetto del film era mio e si chiamava “Anatomia patologica”; poi in corso di sceneggiatura furono cambiate molte cose. Un giorno mi piacerebbe riproporre la storia iniziale; vedremo.

Ingrassia negli ultimi anni si è concentrato principalmente al teatro. Ti piacerebbe lavorare ancora con lui?
Certamente!

Nel 1996 sei diretta nuovamente dal compianto Lizzani. Stavolta nel film Celluloide.
Andavo al liceo con suo figlio Francesco, poi ci siamo persi di vista e rincontrati (i casi della Vita). Negli anni sono diventata amica di tutta la famiglia. Ho avuto l’onore di avere sia la loro stima che il loro affetto. Mi manca molto il sorriso sornione di Carlo.

Seguiranno altre partecipazioni a film e fiction ma la sensazione che ho avuto è che tu, a un certo punto, hai voluto intraprendere altre strade artistiche. La scrittura, per esempio…
Mai smesso di scrivere da quando sono stata in grado di prendere una penna in mano; più che altro sono diventata mamma e mi sono quindi dedicata alla famiglia. Mi sono ritirata nella mia casa di campagna, dove ora ho creato un teatro e lì ho fatto la moglie e la madre. Sono stati gli anni più belli della mia vita. Crescere una figlia in una casa nella Toscana più profonda e incontaminata, al centro di una natura rigogliosa e scrivere davanti al fuoco. Ho scritto due romanzi, diverse sceneggiature e innumerevoli fiabe e racconti, in quegli anni meravigliosi.

Ho visto che sei insegnante di recitazione presso l’associazione “I sogni in teatro” di Sovana (Grosseto). Me ne parli?

L’Associazione nasce nel 2009 dalla volontà di alcuni miei allievi che, dopo essersi diplomati, hanno voluto fare la compagnia. Oggi l’associazione ha sede a Palazzo Bourbon del Monte a Sovana e dà luogo alla rassegna “Sovana in Arte” di cui sono il direttore artistico. La rassegna è presente nella pagina Facebook “Sovana in Arte”, dove appariamo come gruppo musicale, perché oltre al teatro (che riusciamo a produrre solamente ogni due o tre anni a causa dei costi proibitivi) proponiamo tanta musica (altra mia passione e dei membri del Direttivo, tutti giovanissimi). Siamo un gruppo molto unito anche se appartenente a diverse generazioni.

Anni fa partecipai come alunno ad una scuola di recitazione (“Teatri Possibili”) che durò tre anni, quindi in parte conosco le metodologie di insegnamento ma, soprattutto, ho compreso come il mestiere dell’attore (ho anche qualche spettacolo all’attivo) sia difficile. L’immaginario collettivo fa sembrare questo lavoro facile…
Se hai studiato sai che non ci si improvvisa attori. Bisogna studiare, oltre che avere talento, condizione sine qua non. Sul talento si costruisce una professione. Nell’immaginario collettivo, vedendo chi recita oggi, soprattutto in tv, è nato il pensiero che chiunque può recitare. Non dimenticherò mai una mia allieva che, stufa delle mie continue osservazioni sul gesto, sulla voce, sullo spazio ecc., alla fine sbottò e mi disse: “Maestra, ma alla fine quelli che recitano in televisione sono comunque meno bravi di me!”. Ci penso spesso.

Sei regista di alcuni spettacoli a teatro ("Ho provato a dimenticare", "Edgard Allan Poe Recital", "Amori russi e altri pasticci"). Il passaggio da attrice a regista, pur stando nell’ambito del teatro, ti ha dato nuove emozioni?
Credo che dopo una certa età, per un attore che ha lavorato tanto, diventare regista sia un passaggio naturale. Io amo gli attori, amo insegnare e amo dirigere. Conosco molti attori bravissimi ed è un piacere dirigerli. Poter mettere in scena un bel copione recitato da bravi attori è un’esperienza completa e appagante.

Non ti nascondo il mio amore per il teatro cosiddetto “leggero”; quello che ti fa passare in totale disimpegno un paio d’ore felici. Nello stesso qual tempo mi viene in mente che tu avresti le capacità di essere questo (anche per la verve innata dei romani). A quando, insomma, una bella tournée con uno spettacolo divertente?

Non saprei. Tournée? Cos’è? Non esistono più le tournée teatrali in Italia… se fai dieci piazze è un miracolo!

Francesca, hai qualche rimpianto? Se hai un sassolino nella scarpa... questo è il posto giusto per levarselo!
Io non rimpiango nulla, ma chi sceglie di far lavorare chi non sa recitare dovrebbe rimpiangere gli attori di teatro, quelli che si sanno esprimere sia al cinema che in televisione. Solo da noi succede il contrario, e questo non è ammissibile. La televisione entra in ogni casa, gli attori americani e inglesi sono bravissimi e, in italiano, quasi sempre vengono doppiati da bravi doppiatori… e gli attori di teatro? Devono autoprodursi gli spettacoli; una cosa senza senso, se ci si riflette, eppure è così. Penso sia per questo che spesso quando ti chiedono: “Cosa fai nella vita?” e tu rispondi: “Faccio l’attrice” (oppure canto, oppure dipingo, oppure suono…) ti guardano con sospetto e insistono: “Sì, ma di lavoro?”, allora penso sia giusto rispondere: “Niente… non faccio niente!”, perché se devi metterci tutto tu (professionalità, talento, denaro e impegno) che lavoro è?

INTERVISTA RACCOLTA DAL BENEMERITO MARKUS IL 17/5/2016

Articoli simili

commenti (9)

RISULTATI: DI 9
    Herrkinski

    24 Maggio 2016 14:52

    Ottima intervista Markus, con tante osservazioni intelligenti della Ventura.
    Trivex

    24 Maggio 2016 16:57

    Grande Markus!
    Caesars

    25 Maggio 2016 16:25

    Bellissima intervista Makus. Complimenti vivissimi a te e un grosso ringraziamento a Francesca Ventura
    Gugly

    27 Maggio 2016 13:00

    Bella bella bella!
    Dusso

    27 Maggio 2016 13:27

    Complimenti Markus!
    Digital

    27 Maggio 2016 20:37

    Bravo!
    Ruber

    27 Maggio 2016 22:38

    SUPER Markus ! Io la ricordo solo per i ragazzi della 3a e per le parti in Sapore di mare 2 e nella piccola scena di In viaggio con papà!
    Geppo

    28 Maggio 2016 00:04

    Grande Markus, un sacco di chicche :) Respect!
    Manfrin

    30 Maggio 2016 12:56

    Bravo Markus,ormai è il tuo secondo lavoro(il terzo è l'attore?)