Intervista a Sean Branney, per "The Call of Chtulhu"

20 Luglio 2010

INTERVISTA A SEAN BRANNEY, PRODUTTORE E SCENEGGIATORE DI THE CALL OF CTHULHU, FONDATORE E GESTORE DELLA H.P. LOVECRAFT HISTORICAL SOCIETY.

Realizzata a fine 2005 e pubblicata sulla rivista STUDI LOVECRAFTIANI n. 9 – Lovecraft al cinema vol. 3 (Inverno 2009). Riproposta per Il Davinotti con minime modifiche.

BERGELMIR: Descrivi brevemente la HP Lovecraft Historical Society per chi non la conosce e la tua attività all’interno dell’associazione.

SEAN BRANNEY: La HP Lovecraft Historical Society è stata fondata nel 1985 da un gruppo di amici che ha inventato un nuova forma di gioco di ruolo dal vivo. Per tre anni abbiamo pubblicato una rivista che riuscì anche ad avere una certa diffusione in tutto il mondo. Le cose sono rimaste così, abbastanza tranquille, fino a quando non è arrivata Internet. Allora abbiamo aperto un sito che descriveva ciò che facevamo e abbiamo iniziato a realizzare diversi prodotti di intrattenimento, come A Shoggoth on the roof, il nostro musical lovecraftiano, che abbiamo portato in tour dal vivo, successivamente presentato su documentario e infine su CD. A questo si sono aggiunti la compilation A Very Scary Solstice, The Call of Cthulhu ed altre cose strane. Adesso abbiamo un grande seguito da tutto il mondo di amanti di Lovecraft, patiti di storia, maniaci della grafica e dei font e gente a cui semplicemente piace ciò che facciamo.

BERGELMIR: Adesso lavori a tempo pieno per la HP Lovecraft Historical Society?
SEAN BRANNEY:
Da quando abbiamo fatto uscire The Call of Cthulhu praticamente si. Porto avanti altre due attività, ma la HPLHS mi sta tenendo molto, molto impegnato in questi giorni. Stiamo mettendo in programma la partecipazione ad altri festival cinematografici all’inizio del 2006 e credo che quindi l’impegno da parte mia aumenterà ulteriormente.    

BERGELMIR: Come è arrivata la HPLHS a girare film? Nella vostra associazione ci sono persone che provengono da una preparazione o da un’esperienza cinematografica professionale?
SEAN BRANNEY:
La HPLHS è attualmente gestita da Andrew Leman e da me. Tutti e due abbiamo un diploma post-laurea in teatro e, anche se non abbiamo precedenti esperienze di produzione filmica, entrambi possediamo una lunga esperienza teatrale ed abbiamo lavorato su diversi progetti cinematografici. Siamo approdati al cinema perché avevamo delle storie da raccontare e i film sono un ottimo mezzo per raccontare storie e per condividerle con un pubblico vasto. Nel caso di The Call of Cthulhu ha lavorato con noi il fotografo e montatore David Robertson, che è laureato in cinema e molti nostri associati sono attori che lavorano regolarmente in televisione e nel cinema.

BERGELMIR: Cosa ne pensi degli attuali film di fantascienza e dell’orrore? Quanto sono lontani secondo te, dall’ “orrore cosmico” di HP Lovecraft?
SEAN BRANNEY:
Vivendo ad Hollywood, non ho proprio una buona opinione dei film dell’orrore moderni. Questi film vengono realizzati per la maggior parte dai grossi studi cinematografici, il cui pubblico sono soprattutto adolescenti per i quali, naturalmente, l’orrore “cosmico” non è esattamente il soggetto più accattivante che vorrebbero vedere. Di tanto in tanto però salta fuori qualcosa di sensazionale, come La cosa di John Carpenter, che rappresenta idee e temi di tipo lovecraftiano, ma che riesce anche a mantenere abbastanza ciò che i ragazzi si aspettano da una produzione cinematografica.

BERGELMIR: Durante la storia del cinema possiamo riconoscere un certo numero di film ispirati ad HPL, per fare qualche nome: La città dei mostri (1963) di Roger Corman, La morte dall’occhio di cristallo (1965) di Daniel Haller, Le vergini di Dunwich (1969) di D. Haller, Reanimator (1986) di Stuart Gordon, La fattoria maledetta  (1987) di David Keith, The resurrected (1992) di Dan O’Bannon, Dagon (2002) di Stuart Gordon e qualche altro, secondo me derivano direttamente da racconti di Lovecraft, ma non tutti possono essere considerati veramente “lovecraftiani”. Per esempio, Reanimator è un grande film, ma non ha nulla a che vedere con HPL. Dagon, d’altro canto, è molto fedele al racconto La maschera di Innsmouth, ma l’adattamento è molto debole, con scenografie appariscenti e recitazione piatta. Cosa ne pensi di questo tipo di film?
SEAN BRANNEY:
Oh, ci sono molte cose che mi piacciono in questo tipo di film, ma non credo che nessuno di essi sia riuscito ad essere allo stesso tempo sia lovecraftiano che un buon film. Fra questi che hai citato, The resurrected probabilmente è quello che preferisco. È piuttosto buono anche Dagon, ma The resurrected riesce molto meglio a restare coerente con lo scritto di Lovecraft. Un film come Reanimator, invece, è divertente ma non ha proprio nulla di lovecraftiano se non il titolo.

BERGELMIR: Ci sono anche molti film che non sono direttamente ispirati a racconti di Lovecraft, ma in cui possiamo trovare chiaramente l’influenza dello scrittore: nell’atmosfera, in alcuni personaggi o anche solamente nella filosofia che il film sembra suggerire. Ad esempio, un film come Alien secondo me è fortemente lovecraftiano, anche se non cita alcun racconto o idea di HPL. Sei d’accordo che l’opera di Lovecraft sia chiaramente visibile – e fondamentale – per il cinema e la letteratura fantastici, anche se spesso non si trovano riferimenti diretti?
SEAN BRANNEY:
Penso che Lovecraft abbia influenzato tantissimo molte grandi storie dei nostri giorni, sebbene queste non mostrino riferimenti palesi a HPL o ai “Miti di Cthulhu”. Alien è un ottimo esempio di questo fenomeno, così come il già citato La cosa e credo che HPL sia sempre stato piuttosto visibile nel cinema e nella letteratura moderni, anche se molti scrittori e registi ricercano l’orrore più su un piano personale e psicologico – cosa che Lovecraft faceva di rado.

BERGELMIR: A quanto vedo, capisco che ti piaccia particolarmente
La cosa di John Carpenter e che abbia una certa importanza per te. Ti va di parlare di questo film e dell’influenza che ha avuto su di te?  
SEAN BRANNEY:
Non sono sicuro di voler dire che La cosa abbia avuto una così grande influenza su di me, solo che è un gran bel film dell’orrore ed è uno dei pochi che usino bene alcuni elementi lovecraftiani. Il senso di isolamento e di paranoia nella base antartica rende tutti i personaggi spaventati per tutto il tempo di qualcosa che non capiscono. C’è anche un mostro che è veramente valido, ma il mostro è meno responsabile della paura di quanto lo sia la paranoia.

BERGELMIR: Capisco cosa intendi, ma non so se essere completamente d’accordo. Dopotutto, le creazioni di HPL provenivano proprio dal suo inconscio, dai suoi sogni ed è probabilmente questo che li rende così efficaci nel comunicare quel senso di estraneità, soggezione e orrore. Non pensi che sia questo il vero segreto della potenza di Lovecraft e che sia proprio questa caratteristica che più manca nei film a lui ispirati (a proposito: secondo me voi in The Call of Cthulhu avete ben compreso questo problema e il vostro adattamento è ben distribuito fra azione-investigazione e psicologia-atmosfera)?
SEAN BRANNEY:
Sono contento che tu ritenga The Call of Cthulhu un adattamento ben bilanciato. È una storia stranamente ricca di azione, ove lo stile generale e l’atmosfera diventano la luce sotto la quale noi recepiamo la vicenda.
Venendo alla domanda, personalmente credo che gli scritti di HPL siano personali e psicologici se pensati in relazione all’autore, ma la maggioranza dei suoi protagonisti non hanno molto spessore psicologico: ci sono forze esterne che opprimono questi personaggi, ai quali non resta che reagire come forse chiunque farebbe. A questa struttura narrativa io contrapporrei, tanto per dirne una, quella di Edgar Allan Poe, ove i tratti psicologici guidano invece da soli l’intera vicenda. Basti pensare, per esempio, a un racconto come Il cuore rivelatore.
Secondo me, la potenza dell’approccio di Lovecraft sta nella sua capacità di averci fatto percepire la nostra irrilevanza rispetto alle grandi forze universali, perché per noi non è affatto gradevole capire di essere patetici, deboli e superflui. Molti film lovecraftiani, invece, falliscono proprio nel momento in cui cambiano questo fondamentale aspetto del conflitto drammatico: le storie originali vengono cambiate per diventare qualcosa tipo “i buoni” contro “i cattivi” e quando questo accade tutto assume una forma completamente differente da ciò che Lovecraft scriveva, perché i conflitti nei suoi racconti non riguardano contrapposizioni opposte di personaggi.

BERGELMIR: Quanto è difficile realizzare un buon adattamento cinematografico di un racconto di Lovecraft?
SEAN BRANNEY:
Credo che le sue opere siano molto difficili da adattare per il cinema, una vera e propria sfida per gli sceneggiatori e questo è uno dei motivi per cui così tanti film ispirati a Lovecraft non sono riusciti. A me sembra che ci siano due grandi trappole in cui si possa incappare: la prima si ha quando il film è talmente vicino al materiale di partenza che il film diviene letterario e noioso; la seconda si ha invece quando l’adattamento diventa talmente vago e lontano dal testo, che Lovecraft viene gettato dalla finestra e il film diventa qualcosa di completamente nuovo. Secondo me il vero problema nell’adattare il suo lavoro allo schermo sta nel fatto che la maggior parte delle storie non raccontino nulla di particolarmente sensazionale. Possiedono delle strutture interessanti, tantissime sfumature ed atmosfere, ma non sono dotate di quel conflitto drammatico che faccia al caso di un film di intrattenimento. Un altro problema è che i personaggi di Lovecraft tendono a mancare di spessore, complessità e umanità e questo effettivamente aiuta, nei racconti, ma davanti ad un film il pubblico ha bisogno di creare un legame emozionale con personaggi che siano persone a tutto tondo. Così lo sceneggiatore di solito deve introdurre nuovi elementi caratteriali e relazioni per aggiungere spessore ai personaggi lovecraftiani.
Ora stiamo iniziando a lavorare ad un nuovo lungometraggio, che sarà un altro adattamento lovecraftiano, e ci stiamo arrabattando con entrambi questi problemi.

BERGELMIR: Suppongo che siate anche appassionati e/o studiosi del cinema muto. Come avrete letto nella mia recensione del vostro film, ho trovato che The Call of Cthulhu sia anche un bel tributo all’espressionismo e al cinema muto in generale. Per esempio, l’inizio ed il finale sono molto simili a Il gabinetto del dottor Caligari (1919), mentre i sogni di Wilcox mi hanno ricordato certe sequenze de Lo studente di Praga (1913). Sei d’accordo con quanto dico?
SEAN BRANNEY:
Andrew (Leman, il regista del film) è più di un vecchio appassionato di film come me. Però è vero, The call of Cthulhu è stato ispirato da diversi film muti, fra cui Il gabinetto del dottor Caligari. Personalmente non ricordo Lo studente di Praga, ma Andrew potrebbe conoscerlo ed essersene ispirato.

BERGELMIR: Riguardo le animazioni di The Call of Cthulhu e le scenografie, quanto possiamo considerarle citazioni tecnologiche e quanto involontarie?
SEAN BRANNEY:
Noi volevamo che il nostro film avesse sia l’aspetto che l’atmosfera di un film degli anni Venti. Quindi, laddove abbiamo potuto, abbiamo usato tecniche fotografiche che potessero essere in uso negli anni Venti: prospettive forzate, specchi semi-argentati, etc. La scenografia e persino gli accessori, come l’idolo di Cthulhu dell’ispettore Legrasse, sono stati ideati per sembrare come se fossero stati disegnati da artisti degli anni Venti. Non proprio una citazione diretta, quindi, piuttosto un cenno di riconoscimento verso i grandi film dell’epoca. Riguardo l’animazione di Cthulhu, King Kong è stata una grande ispirazione per il nostro approccio tecnico e creativo. Non volevamo che il nostro mostro sembrasse troppo realistico, l’obiettivo era piuttosto che sembrasse un pupazzone sensazionale – proprio come King Kong.

BERGELMIR: Puoi spiegare cos’è esattamente il processo “Mythoscope”?
SEAN BRANNEY:
“Mythoscope” è il nostro termine per indicare il processo mediante il quale abbiamo preso strumenti molto attuali e li abbiamo usati per produrre immagini che sembrassero avere 80 anni. L’illuminazione è una componente importante per raggiungere l’aspetto voluto (ancora grazie al magistrale lavoro di David Robertson) e la maggioranza del resto è fatta al computer. Tutto il girato è ripreso a colori e col sonoro. Una volta che il montaggio è completo, i colori vengono tolti, i contrasti aumentati, le alte luci vengono esasperate e sgranate e poi viene aggiunto in digitale il “rumore di fondo”, ovvero polvere, peli, grana, etc. C’è qualche altro segreto commerciale, ma non sono autorizzato a parlarne.

BERGELMIR: Puoi spiegare la scelta dell’inquadratura rotante sopra a La notte stellata di Van Gogh all’inizio del film (fra l’altro, l’ho trovata molto affascinante e adatta come apertura)?  
SEAN BRANNEY:
La prima frase della mia sceneggiatura è:
Vediamo le stelle nel cielo notturno de La notte stellata di Van Gogh. Lentamente ci allontaniamo dall’immagine per accorgerci che in realtà si tratta di un puzzle del dipinto.
Volevo iniziare la storia col puzzle e l’Uomo che letteralmente ne mette insieme i tasselli, dal momento che praticamente questo è ciò di cui tratta questa storia . Poi per il puzzle volevo un immagine che ci si sarebbe potuti ragionevolmente aspettare, ma che potesse essere anche significativa per la storia. Abbiamo poi pensato che sarebbe stato bello se la famosa immagine del dipinto non fosse stata immediatamente riconoscibile, ma che il pubblico avesse dovuto in qualche modo ricostruirla – metterla insieme – per capire che cosa fosse.

BERGELMIR: Non credi che la HPLHS adesso stia crescendo e che stia diventando un punto di riferimento per un nuovo approccio artistico a HPL e agli eventi a lui ispirati?
SEAN BRANNEY:
Si, penso di si. Una frase che abbiamo spesso sentito dai nostri amici registi lovecraftiani è che The call of Cthulhu sia stato un “punto di non ritorno” per i film a venire, il che non era il nostro scopo; noi volevamo solo fare un buon film. Se però il nostro lavoro avrà l’effetto di ispirare altri a girare film migliori, sarà un buon risultato. Non mi aspetto certo che vengano girati film nello stile di The Call of Cthulhu, ma comunque vedremo.

BERGELMIR: Puoi dirci qualcosa sui progetti futuri della HPLHS? Quale sarà il soggetto del vostro prossimo film?
SEAN BRANNEY:
Abbiamo diversi progetti in cantiere. Ci piacerebbe produrre un altro film, questa volta un adattamento da The whisperer in darkness . Abbiamo pensato di girarlo nello stile dei primi anni Trenta, quindi sarà un lungometraggio sonoro. Useremo il racconto come punto di partenza ma la storia racconterà quello che succede dopo che Wilmarth scopre la vera natura di Akeley che “sussurrava nelle tenebre”.

BERGELMIR: Quante copie di The Call of Cthulhu avete venduto fin’ora? Com’è stato recepito il film?  
SEAN BRANNEY:
Il film è uscito 75 giorni fa  e fino ad ora ne abbiamo vendute grosso modo 3500 copie. Il film ha ricevuto diverse recensioni, per lo più su siti web e su riviste amatoriali. Ne abbiamo raccolto un elenco all’indirizzo http://www.cthulhulives.org/cocmovie/press.html. La settimana scorsa abbiamo ricevuto un’ottima recensione su SciFi, visibile alla pagina http://www.scifi.com/sfw/issue451/screen2.html.
The Call of Cthulhu è inoltre un Official Feature Selction per lo Slamdance Film Festival (http://www.slamdance.com) il mese prossimo  a Park City, nello Utah. Noi speriamo tanto che quest’occasione insieme alle altre che avremo in altri festival nel resto del mondo continui ad accrescere il nostro pubblico.

BERGELMIR: E in Italia?  
SEAN BRANNEY:
In Italia al momento abbiamo venduto circa 40 copie del DVD3. Siccome non so l’italiano, è difficile capire se e quante recensioni siano state pubblicate (anzi, fammi sapere qualcosa se ne vedi). Comunque abbiamo ricevuto delle email da spettatori italiani e tutti sembrano aver molto gradito il film.


INTERVISTA RACCOLTA DAL BENEMERITO BERGELMIR

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commenti (2)

RISULTATI: DI 2
    Powerglide

    21 Luglio 2010 12:26

    Intervista molto interessante.
    Grazie Bergelmir.
    Brainiac

    27 Agosto 2010 18:00

    W l'orrore cosmico, bravo Berge!