RIFLESSIONE SULL'USO MAGISTRALE DEL SONORO IN "M" |
martedì 11 agosto 2009 | |||
![]() Fritz Lang non fa eccezione e il suo capolavoro (uno dei tanti) M il mostro di Dusseldorf ne è la dimostrazione palese. Sono, infatti, passati appena quattro anni dal 1927, anno in cui Il cantante di jazz di Alan Crosland segna l’avvento del sonoro nel mondo della cinematografia, quando il regista tedesco, nel 1931 ![]() La pellicola in questione, infatti, è una di quelle che sarebbe difficile, se non impossibile, immaginare senza suoni e musiche poiché questi elementi sono assolutamente indispensabili al dipanarsi del racconto. La nostra breve analisi può partire dalle scene d’apertura del film: alcuni bambini stanno giocando e uno di loro canticchia una filastrocca macabra. Il sonoro irrompe così subito, sin dai primi fotogrammi nel cinema di Fritz Lang. Nella scena successiva si sottolinea la sua importanza: la madre della bambina che cantava, rimprovera la figlia (visto il tema lugubre della nenia) ma una sua vicina gli dice che in fondo così almeno possono sentire le voci dei bambini e rassicurarsi circa la loro sorte (il mostro, infatti, ha già colpito). Un elemento usuale come il chiacchiericcio dei bambini diventa quindi subito elemento importante per la narrazione. ![]() Il venditore di palloncini, infatti, è cieco ma sarà proprio lui a permettere l’arresto ed il riconoscimento del mostro. In che modo? Ovviamente riconoscendo il fischiettìo del mostro che vaga per la città ed innescando così da quel momento una caccia all’uomo che si concluderà solo con la cattura dell’assassino. Metaforicamente parlando possiamo dire che in questa scena il venditore di palloncini “incarna” il cinema muto ed il mostro l’avvento del sonoro al suo interno, e che attraverso queste “personificazioni” Lang abbia voluto affermare prepotentemente l’assoluta necessità del suono per l’arte cinematografica. ![]() Nella scena successiva ascoltiamo la voce della madre di Elsie che scandisce sempre più forte e con angoscia crescente il nome della figlia: la voce risuona per le scale, nei solai, in cortile. Si vede il posto vuoto a tavola, il piatto e le posate non ancora usati, poi si vede una palla che sbuca fuori da un cespuglio ed un palloncino aggrovigliato tra i fili della luce. E’ il modo visivamente geniale attraverso il quale Lang, con grande rigore visivo, mette in scena la morte della piccola. Ancora una volta il suono, in questo caso la voce, diventa protagonista assieme alle immagini con le quali si mescola in un unicum inscindibile. ![]() Per il regista tedesco dunque il sonoro non è un elemento puramente esornativo e modaiolo, utile per vendere qualche biglietto in più, ma è uno strumento che si rivela necessario alla narrazione ed alla realizzazione di un’opera cinematografica. Inutile dire che questa pellicola diede un notevole impulso all’uso del sonoro (su cui all’inizio c’erano non pochi dubbi) e le sue “soluzioni” influenzarono molto cinema successivo. P.S.: Pur esulando dal tema dell’approfondimento non si può non fare qualche brevissima riflessione sulla straordinarietà e l’originalità di questo film anche da un punto di vista tematico: intanto “M” è uno dei primi esempi di serial killer della storia del cinema, ma soprattutto è una delle prime volte (se non la prima in assoluto) in cui si sviscera il tema (tanto caro al regista) riguardante il confine tra giustizia istituzionale e giustizia privata-sommaria (si veda a tal proposito la bellissima parte finale con tanto di “processo” fittizio al mostro), tema che verrà poi tante volte ripreso nelle pellicole di questo straordinario cineasta europeo. ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO COTOLA
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