Cella Volana: la location delle "Strelle nel fosso"

4 Agosto 2008

La situazione al via delle ricerche: Si sapeva che il film era stato girato in Valle Bertuzzi (generico).

CELLA VOLANA NELL’ANNO 1000
 Il romitaggio di Cella Volana era molto esteso e vasto, ma nessuno sa con esattezza dove si trovasse il monastero che tanta influenza ebbe nella zona (al punto che qualche studioso lo considerava la culla del Cristianesimo nel Comacchiese). Alcuni lo dicevano vicino al Po di Volano presso la località “Vignole”, altri, stando alle visite effettuate dai vescovi di Comacchio, lo collocavano in Val Cantone, probabilmente in un casone che esiste ancor oggi e il cui unico segno che lo fa ritenere antica dimora di eremiti, tuttavia, è una piccola costruzione sul tetto: una specie di campanile (senza campana però). La campana una volta doveva servire di richiamo ai monaci sparsi nella valle...
 
La storia di Cella Volana è molto simile a quella di Pomposa: origine incerta, abbandono del territorio per il clima micidiale infestato da zanzare, malaria e dalle incombenti minacce di alluvioni, dal peggioramento delle condizioni climatiche, dall’impaludamento della zona, dall’affermarsi del dominio estense duro e dispotico e dalle guerre nel Delta tra Estensi, Chiesa e Venezia. Nel 1474 circa, Cella Volana veniva abbandonata.
 Il casone di Val Cantone resistette, perso sempre tra le acque paludose della Valle Bertuzzi. Era davvero quello il convento di Cella Volana? Al momento non c’è modo di saperlo con sicurezza, e di certo la cosa non era in fondo troppo rilevante per chi si apprestava a utilizzare quella location fuori dal tempo per un film insolito e poetico.


1979: LE STRELLE NEL FOSSO

Le strelle nel fosso non fu certo il film economicamente più fortunato di Pupi Avati. Anzi, ricorda simpaticamente Cesare Bastelli (aiuto regista nel film) che "Pupi, nel suo ufficio a Roma, ha tutte le foto appese dei suoi film, i premi vinti, i manifesti dei film fatti... poi ha una gigantografia di un telegramma: il telegramma gli fu spedito da Angiolo Stella, il distributore del film. Dice: Ieri, al cinema Fiamma di Roma, il film Le strelle nel fosso ha incassato Lire 32.000. Stop. Oggi il cinema è stato chiuso per mancanza di spettatori. Stop". Ma sanno tutti che il successo di pubblico non necessariamente testimonia la riuscita o meno di un'opera. Avati del suo film era molto orgoglioso ("Probabilmente il più bel film che abbia mai fatto in vita mia, sicuramente il più sfortunato. Nessuno o quasi l'ha visto") e il modo in cui nacque e si sviluppò ha del prodigioso. Ricorda sempre Bastelli: "Pupi scrisse una paginetta nella trattoria di Nando Orlandi. Nessuna sceneggiatura, solo l'idea. L'idea di un film sulla morte che arriva. Ma una morte in abiti femminili, graziosa, che non faceva paura.... Affittò un baule di costumi del 700, radunò una troupe quasi di volontari (io non fui pagato, solo spesato), scritturò un pugno di fedeli attori e amici. Io andai a Roma a prendere un gruppo elettrogeno da 13 kw montato su un vecchissimo furgone 1100 (che si fermò fumante già a Orvieto) e ci mettemmo a girar il film. La troupe stava al Lido delle Nazioni mentre io, ricordo, ero al villaggio “Galattico”.
La mattina Pupi si sedeva su una seggiolina vicino alla palude e scriveva la scena della giornata. Se c'era il sole scriveva una scena col sole. Se c'era la pioggia scriveva una scena con la pioggia. Un giorno io trovai un gabbiano ferito e lui scrisse una scena con un gabbiano ferito.... Scrisse anche la canzone del film ("al streli in tal foss"): un valzer lento dolcissimo e bellissimo col testo in dialetto bolognese. Ero accanto a lui una notte di riprese nelle valli. Milioni di zanzare, di insetti, di farfalle finivano contro i proiettori accesi, ne inzuppavano letteralmente le gelatine. La scena era quello dell'apparizione del Santo Bartolomeo. A un tratto sentii Pupi canticchiare qualcosa fra sè e sè. Gli venne così, quella canzone. Quella notte di zanzare in mezzo alle paludi. Poi nel film la canzone fu cantata da Roberta Paladini, l'unica protagonista femminile, e uscì anche il 45 giri...".
 E il disegno che vediamo Pizzirani dipingere sui muri esterni della casa? Scomparso. Troppi anni son passati da allora: l’affresco familiare, sul versante ovest, stava su un portone murato oggi completamente sepolto dall’erba. Ma anche scostandola, del disegno non v’è traccia alcuna. Erano opera in realtà di Antonio Avati, aiutato (come nel caso delle bocche sulla Casa dalle finestre che ridono), dal fido Gianni Amadei.


IL CASONE DI VAL CANTONE

Racconta Cesare: "La casa la trovammo insieme io, Cesare Bornazzini e Pupi. Qualcuno ci disse che c'era, in mezzo alla valle, una vecchia casa. Ci stavano le guardie, i guardiapesca, ed era stato un vecchio convento. Ma ci voleva un sacco di strada a piedi per raggiungerla, lungo l'argine. E sicuramente, ci disse, non andava bene (c'era un po’ di diffidenza campagnola verso questi tipi che giravano a piedi per la valle DICENDO DI VOLER FARE UN FILM...). Pupi allora tentennò un attimo di fronte alla prospettiva di camminare tanto (e anche un po’ sfiduciato dal fatto che ancora non avevamo trovato in quella zona nulla che gli piacesse veramente). Ma io, incuriosito dal luogo e colto da un buon presentimento, proposi di incamminarci comunque lungo quell’argine. E ala fine arrivammo alla casa...”. Pupi conserva ricordi leggermente diversi, letti in una recente intervista: “Dovevamo trovare una casa abbandonata in mezzo all’acqua. Una casa che fosse in una condizione naturale tale da giustificare una grande favola contadina del Settecento. Andai a fare i sopralluoghi. Camminavamo, giravamo sulle barche e alla fine di dieci giorni di sopralluoghi gli altri si erano arresi, perché la casa non si trovava. Io ostinatamente mi son detto: questa casa c’è, ho scritto la storia e quindi la casa c’è. E dopo due chilometri, dall’altra parte della palude, trovammo la casa!”
Era il casone di Val Cantone, che un tempo forse aveva ospitato l’importante monastero di Cella Volana. Un luogo magico, che ancora oggi a distanza di anni riesce a comunicare la propria forza evocativa, anche perché piuttosto distante dall’argine di Val Cantone e immerso in un paesaggio magnifico, silenzioso, che sembra gridare la sua indipendenza da un mondo che lo lambisce solo per errore. Arrivarci non è semplice. E’ zona privata e il proprietario (che ringraziamo per la disponibilità dimostrataci) ha dovuto accompagnarci per un bel pezzo guidando su un sentiero prima di raggiungerlo. 
Non è cambiato granché, il casone; ha solo continuato ad accumulare gli anni su una struttura che salvo restauri sarà sempre più fragile e diroccata. Lì si lavora, si raccoglie il pesce, non si girano più film...
 
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Vorrei ringraziare, per la realizzazione di questo breve articolo, innanzitutto l’abituale, impagabile cortesia di Cesare Bastelli (cosa che ormai non fa più notizia) a cui si devono le parti più interessanti della ricostruzione che avete letto. Quindi l’attuale proprietario di Val Cantone (che ci ha permesso di entrare accompagnandoci fin lì, raccontandoci quel che vi facevano, lasciandoci poi con un uno degli addetti del luogo che ci ha guidati in un breve giro in barca della zona), il signor Silvio Cellini per averci fornito con estrema cortesia il materiale riguardante Cella Volana e Paola dell’Oasi Canneviè, che si è sempre dimostrata gentilissima e ci ha permesso di incontrare le “persone giuste”. Il libro da cui sono tratti i brevi cenni storici è di D. Piero Viganò e s’intitola “Cella Volana (Vaccolino – Val Cantone)”.

Testo e foto: Zender. Compagna di viaggio: Wupa Wump

ARTICOLO INSERITO DAL BENEMERITO ZENDER 

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