Breve percorso nel giallo all'italiana

7 Dicembre 2007

1. ANNI SESSANTA: PERCORSI DI MORTE

 

Il Paese della “tintarella” (anche notturna: al chiaro di Luna), della buona tavola e della commedia sexy (Soldatesse, Infermiere e Liceali che seducono Pierino) sembrerebbe un luogo quantomeno inadeguato per trattare questioni tenebrose, macabre o thriller….
Nel lontano 1962 invece, Mario Bava porta sugli schermi La Ragazza che Sapeva Troppo; una vicenda che, pur essendo ammantata da un lieve strato di ironia (comunque macabra) narra la vicenda di una mente contorta e “spaventosa” che agisce nelle strade notturne di Roma dispensando sangue, orrore e morte…
Questo è il primo esempio, il primo passo di un incedere (lento, ma inesorabile) nei territori del giallo, venato da una forte componente raccapricciante…
 
Gli esempi di cinema “del brivido” che fluivano dal Mondo intero erano, sino ad allora, resi più “onirici” e inverosimili da ambientazioni gotiche (Hammer o AIP) o in costume, creando, tra la vicenda che si svolgeva sullo schermo e lo spettatore, una sorta di distacco emotivo, una non-identificazione con i personaggi, così avulsi dalla società e dalle tendenze contemporanee…
 
Sempre Bava, un paio d’anni dopo (1964) ripercorre quel sentiero di morte: 6 Donne per l’Assassino affronta (stavolta in Technicolor) lo stesso tema del film precedente, ma delineando con precisione (quasi maniacale) alcuni stilèmi che, da lì a qualche anno, il nostro cinema avrebbe fatto suoi. Dalla rappresentazione grafica e ricca di dettagli dei delitti (compiuti all’arma bianca) al look del killer, spesso vestito con impermeabile nero, cappello e guanti…
 
Nasce così un nuovo modo di rappresentare la paura: essa viene alimentata non più da favolosi mostri gotici (ed anche malinconici, volendo) tipo Frankenstein o Dracula, bensì da individui all’apparenza normali, nascosti dietro un vicolo o all’interno di un palazzo, ma deformi al loro interno, nelle menti malate e deviate. E’ la paura generata dall’isolamento dell’individuo, nel contesto metropolitano (e quindi non più individuale, ma sociale: non più l’uomo, ma il cittadino) a scatenare incubi negli spettatori e ad alimentare la fervida fantasia di sceneggiatori sempre più orientati a portare in essere incubi tanto spaventosi quanto verosimili (spesso ispirati da fatti di cronaca)…
 
L’anno cardine, cruciale, è il 1969, quando un giovane critico cinematografico (e già sceneggiatore per alcuni western di rottura diretti da Sergio Leone) di nome Dario Argento, inizia un discorso a “tre vie” portando sugli schermi tre lucidi (quanto folli) incubi sollecitati dalla presenza di un “animale” nel titolo…
 
L’Uccello dalla Piume di Cristallo (1969), Il Gatto a Nove Code (1970) e Quattro Mosche di Velluto Grigio (1971) faranno da “apripista” per altri autori (Fulci e Lenzi in particolare).
 
Sull’ondata della trilogia argentiana inizia un fenomeno (ormai incontenibile) di emulazione e reiterazione a testimonianza che il detto “l’assassino torna sempre sul luogo del delitto” è, quantomeno, contestualizzabile alla situazione cinematografica (italiana) degli anni ’70.

 


2. ANNI SETTANTA: L'ASSASSINO TORNA SEMPRE SUL LUOGO DEL DELITTO
 

Senza analizzare (per ovvi motivi di spazio) titolo per titolo, si può azzardare l’ipotesi che non sempre "emulazione” è da intendersi sull’unico piano imitativo. Ci sono infatti una serie di titoli che, per struttura e risultato, superano di gran lunga i modelli di riferimento, spesso privi di adeguato approfondimento narrativo e psicologico dei protagonisti (punto debole, questo, della filmografia argentiana). In tal senso meritano la segnalazione alcune pellicole dirette da autori spesso tangenti al genere e a volte, anzi, affrontato dagli stessi anche una sola volta: com’è il caso di Maurizio Lucidi e il superbo La Vittima Designata (1971) nobilitato da un cast in splendida forma che offre una prestazione di rara efficacia (Tomas Milian e Pierre Clementi). Anche se in tal caso i riferimenti (più che argentiani) parrebbero derivare da Delitto per Delitto, diretto da Hitchcock ….
 
Anche Massimo Dallamano realizza un piccolo capolavoro (Cosa Avete fatto a Solange?) aprendo la strada a una breve serie di pellicole incentrate su delitti compiuti tra giovani (e indifese) adolescenti condotte sulla strada della perdizione e del vizio da facoltosi (e spesso “innominabili”) personalità…
 
Armando Crispino
, pur inserendosi in un percorso predefinito e codificato, con L’Etrusco Uccide Ancora e Macchie Solari lascia un incisivo e personale segno del suo (purtroppo) limitato -quantitativamente- passaggio nel genere… E presenta il primo caso di killer che agisce sul luogo del delitto sottolineando le sue gesta mediante l’uso di un registratore (che suona il Dies Irae di Verdi), idea che perfezionerà, l’anno successivo, Dario Argento con quello che si configura attualmente come il canto del cigno (e modello ideale) del giallo italiano: Profondo Rosso (1975).
 
In questa prima fase i gialli, pur essendo sostanzialmente basati su azioni cruente e delitti perpetrati dai killer di turno, non affrontano (graficamente) la componente esplicita del rituale omicida.
 
Un personale contributo alla formulazione di una rappresentazione grafica d’impatto (e a una narrazione imbottita di delitti, in gergo definita body-count) la darà Sergio Martino, autore che proponendosi alla “Dario Argento” presenta delitti particolarmente feroci e disturbanti (considerata l’epoca ovviamente) sul piano visivo. I Corpi Presentano Tracce di Violenza Carnale (che, anni dopo, sarà fonte di ispirazione estera per il ciclo Venerdì 13), Il Tuo Vizio è una Stanza Chiusa e Solo Io ne ho la Chiave, La Coda dello Scorpione e Lo Strano Vizio della Signora Wardh sono titoli significativi che si distinguono dalla pletora di pellicole del genere grazie ad una forte connotazione tra erotismo e violenza…
 
Un po’ quello che distingue anche Umberto Lenzi, fautore di una breve serie (realizzata sul finire degli anni ’60) che per certi versi anticipa la tipologia di thriller di cui stiamo trattando: Paranoia, Orgasmo e Così Dolce Così Perversa… Ma Lenzi, autore che ha saputo –sempre più spesso- fare di necessità virtù, si adegua alla corrente in voga portando sugli schermi una buona manciata di titoli che restano piacevolmente impressi nella memoria dello spettatore: Il Coltello di Ghiaccio, Gatti Rossi in un Labirinto di Vetro, Sette Orchidee Macchiate di Rosso e, soprattutto, lo psicologico Spasmo (1974)….
 
Fulci (autore di importanza fondamentale per il genere) lascia un’impronta fondamentale firmando piccoli capolavori come Non si Sevizia un Paperino, Una Lucertola con la Pelle di Donna e Sette Note in Nero.

 

 

3. DAGLI OTTANTA A OGGI: IL GIALLO SI TINGE DI ROSSO... PRIMA DI SPARIRE


Intanto la nuova ondata americana, tutta basata su sensazioni (viscerali) derivate dalla visione di esplicite sequenze di sangue, cominciata con le opere di Hooper e Craven, inizia ad influenzare anche la produzione dei gialli all’italiana indirizzando il genere verso “eccessi” ed estremismi formali (e narrativi): i primi esempi (a parte Profondo Rosso) di questa nuova corrente stilistica li ritroviamo espressi in una manciata di pellicole che coincidono con il “canto del cigno” del genere (che si sarebbe spento –lentamente come era iniziato- da lì a pochi anni). Tenebre, sempre diretto da Dario Argento, è il modello più indicativo, cui seguirà Fulci con l’esemplare più estremo (Lo Squartatore di New York) e Lamberto Bava con La Casa con la Scala nel Buio… (quella che –probabilmente- è la sua migliore opera).
 
La produzione di gialli, che andava lentamente –così come era cominciata- calando, si sarebbe in realtà protratta sino ai nostri giorni con sporadici esemplari (tranne il consolidato Argento) a volte anche malinconici e ipercitazionisti…
 
Fatal Frames
(diretto dal compositore di colonne musicali Al Festa) ne è il caso paradigmatico: sia per il cast (che contempla Angus Scrimm, Stefania Stella, Ciccio Ingrassia, David Warbeck, Donald Pleasence e Alida Valli) che per i vari “flash” sparsi nella pellicola (da Halloween a Phantasm passando per Suspiria e L’Occhio che Uccide), senza dimenticare una colonna sonora “sui generis” che rimanda ai temi argentiani del periodo “irrazionale” (Inferno e Suspiria)…
 
Ma le “Tenebre” dell’animo umano, quelle che nel finire degli anni ’70 erano motivi di “Vizi”, “Perversioni” e “Delitti” compiuti con lucidità disumana, ormai tendono a dissolversi a causa delle squallide luci “della pubblicità”, che intercala tra una scena all’altra, nei film ormai prodotti dalle TV: Morirai a Mezzanotte, Le Foto di Gioia, Bugie Rosse possono essere viste come propaggini edulcorate e venate da un forte senso di “buonismo” al fine di poterne abbassare il divieto sotto i 14 anni ed abbracciare così un pubblico più ampio…
Il risultato è, invece, l’opposto: allo spettatore, ormai bombardato da thriller soft (al livello di fiction) e gialli derivati dall’ondata “contenuta” americana (che piomba, quasi quotidianamente, sui canali di Stato con pellicole pressochè fotocopia) 
non resta altro che volgere altrove lo sguardo: verso gli horror orientali o verso quelle folate di “geniale” inventiva che saltuariamente (sempre più di rado, purtroppo) giunge dalla produzione estera…
 
A fianco di qualche riuscito “remember”, tipo Occhi di Cristallo, rimane Dario Argento (Opera, La Sindrome di Stendhal, NonHoSonno, Il Cartaio) come baluardo di un tipo di cinema ormai impossibile da realizzare in una nazione spenta e avvilita sul piano delle realizzazioni cinematografiche, dove gli ultimi esempi del genere invocano –più che il brivido- la clemenza del perplesso spettatore (Misteria, Un Delitto Poco Comune, Trauma)…

 

ARTICOLO SCRITTO DAL BENEMERITO UNDYING

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