il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

LA TARANTOLA DAL VENTRE NERO
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338687 commenti | 64038 titoli | 25384 Location | 12592 Volti

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  • Film: Lasciami andare (2020)
  • Luogo del film: Il negozio dove lavora Clara (Sansa)
  • Luogo reale: Calle Gambara, Venezia, Venezia
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  • Film: Il coraggio di Angela (serie tv) (2007)
  • Multilocation: Palazzo dello Spagnolo
  • Luogo reale: Via Vergini 19, Rione Sanità, Napoli, Napoli
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Peter Dane

    Peter Dane

  • Barbara Carroll

    Barbara Carroll

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Carluccio
Il plot sarebbe stato pure interessante, se sviluppato adeguatamente, ma ahinoi qui del ben fatto non c'è traccia. Una pantomima lunga 80 minuti recitata male con qualche effetto messo lì alla rinfusa, qualche scena di nudo per ravvivare una spruzzata di horror tra blande scenografie e musiche insulse. Peccato; la storia della moglie fedifraga perseguitata dal redivivo marito poteva pure starci, ma a pochi verrà la "Mania" di rivedere questo capolavoro.
Commento di: Pinhead80
Se c'era una persona che poteva interpretare splendidamente il personaggio di Nosferatu questo è sicuramente Klaus Kinski, che sembra essere nato per questo ruolo. Herzog costruisce attorno al suo attore feticcio questa rivisitazione del mito del vampiro infarcendo l'opera di tutti gli elementi caratteristici del suo cinema: i lunghi silenzi, le musiche dei Popol Vuh e una fotografia che gioca moltissimo sul contrasto tra luci e ombre. Che dire poi della bellezza diafana della Adjani che sembra arrivare da un'altra epoca. Un film affascinante e imperdibile.
Commento di: Daidae
Divertente (e non poco) mistura di avventura e comico. I nomi dei protagonisti sono storpiati: Tarzan diventa Karzan e anche alla fidanzata e al fedele scimpanzé sono modificati i nomi. Suggestive ambientazioni, belle attrici e scene trash a non finire, tutto da ridere il finale. Un valido esempio di quando con poco si otteneva comunque del buon cinema. Nel sottogenere dei vari Tarzan (Zambo, Tarzana e simili) uno dei titoli più riusciti.
Commento di: Achab50
Questo è uno di quei film che si fanno amare; splendida la fotografia dai colori saturi e profondi, magnifica la colonna sonora, attori dai visi cotti dal sole evidenziati con primissimi piani, regia attenta a ogni dettaglio e infine la straordinaria seconda parte in Patagonia, letteralmente alla fine del mondo. Apprezzabile la scelta della lingua spagnola per l'intera seconda parte, che contribuisce allo straniamento. Si presta a innumerevoli considerazioni. Vera perla da consigliare, sotto ogni aspetto.
Commento di: Rufus68
La dura realtà ospedaliera affrontata dal giovane dottor Eriksson. Nelle prime sequenze, la cruda registrazione di un'autopsia lascia già presagire il tono dell'opera: quasi documentaristica quando registra le vicende del protagonista (la morte è resa con tocchi minimali: aghi, un po' di sangue, l'impotenza dei medici), disadorna mentre la desolata durezza delle relazioni con i pazienti o con chi gli è vicino (l'aborto della sorella). Questo registro costituisce assieme la cifra stilistica e il limite spettacolare di una ricognizione forse troppo fredda per coinvolgere a pieno.
Commento di: Pigro
Il dispositivo del giallo alla Agatha Christie, coinvolta addirittura esplicitamente, funziona sempre. Anche qui, dove però il plot (il regista americano ucciso in occasione dello spettacolo teatrale “Trappola per topi”) è poco interessante rispetto alla vera vocazione di questo film, che è la commedia leggera, anzi la comicità. Ma nonostante alcuni momenti azzeccati e spiritosi, il divertimento latita e l’umorismo non decolla mai come dovrebbe, così come il ritmo, per il quale si delega spesso a un superfluo split screen. Comunque passabile.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Più che in altre occasioni la forza del film è il Calvagna attore, che riesce anche in questo caso a infondere nel proprio personaggio quella sorta di allure neorealista tipico e a suo modo unico, una singolare autenticità data dalla spontaneità da romano un po' indolente, difficile da imitare, che mantiene anche nelle situazioni più improbabili. Qui è Mauro, agente immobiliare vittima di frequenti attacchi di panico che lo portano ad avere rapporti complicati con chiunque.

Sposato a una donna dalla quale si è separato dopo il trauma conseguente...Leggi tutto all'aver lasciato cadere, per una tragica disattenzione, il proprio figlio Davide (Niccolò Calvagna, vero figlio di Stefano) dal balcone una sera che insieme erano usciti a guardare le stelle, Mauro ha una relazione superficiale con una donna tutta lavoro, vestiti e uscite con i colleghi. Costretto a fuggire dalle cene con questi ultimi perché spesso preda delle sue crisi, non può che avere con la sua partner un rapporto conflittuale. Prova a ritrovare scampoli di normalità frequentando - grazie al suo amico più fidato - un gruppo di auto-aiuto del quale fanno parte persone col suo stesso problema, ma la vera soddisfazione sembra trovarla nel leggere i libri di una scrittrice di successo, Isabella (De Nardo), afflitta da un’incapacità di relazionarsi col prossimo e con cui Mauro sente di avere molto in comune. Entrando nel sito di questa accede a una chat in cui scambia parole e pensieri con qualcuno che solo noi sappiamo fin da subito essere Isabella stessa, celatasi sotto il falso nome di Lidia.

Mauro da tempo aveva confessato alla sua analista (Omaggio) di voler conoscere ad ogni costo la scrittrice, e la conferma di una forte complicità tra i due arriva proprio dal rapporto intenso con Lidia. Un incontro a distanza tra due anime sole, nel quale però a contare di più è il contorno: l'amicizia di lei con un suo collaboratore che le sta vicino sapendo come "curarla", quella di lui col coinquilino ma anche con una ragazza (Piaggi) del gruppo di auto-aiuto. A funzionare poco è qui la regia, che non imprime alla storia il ritmo necessario a sostenere scene in cui molto dovrebbero dire gli sguardi; anche i dialoghi - che pure qualche passaggio piacevole lo riservano - sono per la maggior parte piuttosto banali, con l'aggravante - in alcuni casi - di finire in bocca a un cast meno in palla di Calvagna e la De Nardo.

Se gli sviluppi delle chat tra Mauro e Isabella non offrono alcuna sorpresa, anche le crisi di panico del primo si ripetono inesorabili con troppa frequenza. Il dramma del figlio perso emerge in sogni e flashback di scarsa presa, la fotografia cupa non aiuta a dare vitalità a un film cui manca la grinta che avrebbe potuto avere sfruttando l'estro del Calvagna attore. E anche il finale arriva senza sorprese, fiacco, spegnendosi in un anonimato che è proprio del Calvagna regista meno ispirato, convinto che sia sufficiente ricamare su un semplice stato d'animo per confezionare un buon film. Piccola parte per Eva Henger, nel gruppo di auto-aiuto, purtroppo persa tra le fasi meno convincenti del film.

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Poliziesco d'azione thailandese di rara insipienza, porta una coppia di amici che si erano arruolati in America nella CIA a ritrovarsi insieme dopo aver scelto strade diverse: la polizia per Peter (Boonthanakit) e i corpi speciali privati per Johnny (Nguyen). Quello che li accomuna è la morte di una bella ragazza, Angel, su cui il primo si trova a indagare ma che era anche la figlia del secondo. A Johnny la legava un tenero rapporto che vanamente il film tenta di rendere intenso per dare un minimo di spessore umano almeno alla vittima. Ma non c'è niente da fare: si sa che...Leggi tutto era molto bella, che faceva fare agli uomini ciò che voleva, ma anche - e questo papà lo scopre solo ora immaginatevi con quale struggimento interiore - che si prostituiva.

Per via della vita che conduceva Angel, le indagini portano la coppia protagonista a spostarsi tra un bar malfamato e gruppi di narcotrafficanti, a bazzicare in ambienti in cui si spara con facilità o si tirano calci e pugni senza far troppe domande. Bangkok fa da sfondo alle cupe avventure dei due mostrando la faccia più nota, impoverita da una pessima fotografia che proprio non ne valorizza scorci (specie quelli sull'acqua) potenzialmente di bel fascino.

La sceneggiatura e i dialoghi sono quanto di più vuoto possa esistere. Certo, in simili film di genere non è richiesto nulla di alto livello, ma serviva qualcosa in grado di dare un briciolo di spina dorsale a un film che invece si perde in immagine finto patinate, musiche che vorrebbero sembrare ricercate ma fanno da semplice sottofondo anonimo senza mai incidere e parentesi che vorrebbero elevare i toni senza mai riuscirci. Esemplare in questo senso l'ultima parte, in cui, attraverso i ricordi, riemergono la figura di Angel e gli attimi della sua morte: terribilmente sterili dal punto di vista creativo, con inutili ralenti e nudità che mettono in evidenza forse la parte migliore del film, ovvero la presenza di bellezze orientali non comuni.

Anche l'azione non ha nulla che valga la pena di ricordare, e lo si capisce già dal prologo con in scena il fidanzato di Angel (uno dei pochi volti occidentali che assai di rado spuntano qua e là), provocato da chi offende la dubbia moralità della ragazza. La discesa nei bassifondi di Peter e Johnny, tra irritanti contrasti cromatici nella notte, insistiti sguardi di chi parla il minimo indispensabile, ammazzamenti in sequenza e ragazze "di facili costumi" che fanno tappezzeria quando serve, sa di noir riuscito male, e se anche non tutto è completamente da buttare, è la totale insignificanza dell'insieme, l'assenza di una sola vaga idea originale, a lasciare perplessi. Finale da dimenticare, in linea col resto...

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I Big Man Japan sono una generazione di uomini “speciali”, capaci di crescere smisuratamente di dimensioni grazie a poderose scariche elettriche ottenibili solo all’interno delle centrali. L’ultimo discendente, Masaru Daisato (Matsumoto, anche regista e cosceneggiatore del film), è un uomo indolente, trasandato, che conosceremo lentamente nel corso del film attraverso l’intervista di una rete tv il cui conduttore sta fuori campo a porgli domande. Poco pagato, chiamato saltuariamente a combattere gli immancabili mostri che attaccano il paese del Sol Levante,...Leggi tutto Daisato sembra il più inoffensivo dei supereroi, quando non è in versione gigante, gestito da una manager che gli fa notare come il suo show (ovvero gli scontri con gli altri mostri tra i grattacieli delle città) faccia ormai sempre meno spettatori e sia stato spostato in night-time. E’ il caso di accettare ogni proposta, compresa quella di appiccicarsi cartellini pubblicitari sul corpo durante le lotte.

La vita di Daisato è dura e provante, anche se meno di quella dei suoi avi: il nonno, una vera celebrità, è ancora vivo in ospizio e s’ingrandirà pure lui (col suo pannolone) nell’ultima parte del film, il padre è invece morto durante esperimenti frankeinsteiniani in cui cercava di aumentare ulteriormente tramite elettricità le proprie dimensioni. Lui insomma è ormai un paria, ridotto a fenomeno da baraccone che non interessa quasi più nessuno. Eppure non è da tutti combattere pericoli come il mostro strangolatore (che al posto delle braccia ha due nastri da allungare a dismisura con cui strappa i palazzi da terra e li getta nel fiume), il mostro salterello (una testa con due piedi appiccicati sotto), il mostro puzzone (che produce un fetore pari a 10.000 feci umane) e altri ancora.

Sfilano tutti in sequenza, i mostri, a distanza di tempo, purtroppo intervallati dalle fasi in cui si intervista lo svogliato protagonista o altre in cui personaggi secondari di nessun interesse filosofeggiano per minuti interi ammazzando ogni idea di ritmo. E’ un peccato, perché non è comune tanta fantasia nel creare mostri di ogni fattura realizzati (nel limite del possibile) pure bene e con un gusto del demenziale sopraffino.

Matsumoto insomma le qualità per proporsi come autore originale totalmente fuori dagli schemi le dimostra già, in questo suo bizzarro esordio; sia nelle sequenze d’azione (pervase talvolta da una malinconia lunare che colpisce, come quando si sofferma a parlare col mostro puzzone appoggiato a un grattacielo) che in alcuni momenti della parte finto documentaria, ma è evidente come debba ancora affinare il proprio stile (lo farà coll’incredibile SYMBOL). In BIG MAN JAPAN concretizza la sua sana voglia di stupire in un film con tante idee folli nel solco della più classica tradizione giapponese, anche se dispiace un po’ che il mostro migliore sia già quello che si presenta come primo (lo strangolatore, con le sue braccia allungabili, il lungo collo e la pettinatura con riporto). Buona anche la trovata di normalizzare la funzione supereroistica di un protagonista che vede la sua “trasformazione” come una routine né buona né cattiva, che semplicemente gli permette di lavorare e sopravvivere. Insostenibile invece l’eterna presentazione (pure ripetuta) del rito precedente l’elettrificazione del protagonista, così come l’intervista alla moglie.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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