Curiosità su La vergine di Dunwich - Film (1970)

CURIOSITÀ

3 post
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  • Lucius • 17/12/11 13:40
    Scrivano - 9051 interventi
    Il viaggiatore che nel Massachusetts meridionale imbocchi il bivio sbagliato al raccordo del picco d’Aylesbury, appena oltre Dean’s Corners, si ritrova ben presto in una regione strana e solitaria…”
    Comincia così “L’Orrore di Dunwich”, uno dei racconti di Lovercraft.
  • Lucius • 17/12/11 13:43
    Scrivano - 9051 interventi
    Nel film è presente e ha un ruolo rilevante il Necronomicon, il famoso libro nero(espediente letterario creato da Lovecraft per dare verosimiglianza ai propri racconti) de "La casa".
  • Bergelmir • 25/04/13 11:07
    Galoppino - 211 interventi
    Dal saggio "L'Estraneo dietro lo schermo" di Stefano Mazza, in Studi Lovecraftiani n.4 (2007):

    Quest’opera resta una delle più aderenti alle atmosfere del testo originale, sebbene la storia sia ambientata negli anni Sessanta e costituisca una sorta di seguito al racconto di Lovecraft, in cui il caprino Wilbur Whateley ritorna come affascinante e magnetico dandy. L’estetica del film è visionaria e avanguardista, nonché debitrice alle scenografie e ai colori caleidoscopici di Mario Bava, ben presenti fin dai titoli di testa animati. Haller, del resto, era anche noto come ottimo scenografo. Il mostro di Dunwich, esecrabile progenie di uomo e alieno, non si manifesta mai direttamente allo spettatore – come nel migliore stile lovecraftiano –, ma nella furia della natura, in suoni roboanti e in effetti fotografici di solarizzazione e stampa negativa, molto in voga all’epoca.
    ATTENZIONE SPOILEREmblematica la scena in cui Elizabeth, amica della protagonista, apre la porta della soffitta in cui abita il mostro e viene assalita in una sequenza ove si vedono solo pochi spaventosi dettagli in uno psichedelico vortice di colori e di grida agghiaccianti.
    Questa trovata visiva, oltre ad essere una grande prova di bravura registica, riesce piuttosto felice e particolarmente lovecraftiana, perché suscita un orrore puro ed assoluto in quanto ignoto e sinestesico, giocato su insolite associazioni di suoni e di visioni che colpiscono direttamente l’inconscio dello spettatore, poiché non passano attraverso le percezioni consuete. Nonostante alcune ingenuità nella recitazione, "Le vergini di Dunwich" resta dunque una delle pochissime drammatizzazioni che rendano giustizia a Lovecraft, non tanto nel testo, quanto nelle atmosfere e nella capacità narrativa di Daniel Haller, che a suo modo fece propria la sensibilità dello scrittore e riuscì a trasferirla in modo veramente efficace sullo schermo.