Lucius • 8/04/10 00:52
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Scherza parlando del suo Shadow (nelle sale il 23 aprile) Federico Zampaglione, cantautore alla seconda prova da regista.
«Il mio invece è un horror fortemente voluto. Se non fosse esistito Dario Argento, non avrei mai girato questo film. Lui è un genio, un nume tutelare. Mi auguro solo che Shadow serva a ridare vita a un genere che tutto il mondo ci invidia, ma che l’industria italiana del cinema ha voluto affossare»
È un assist per un gol a porta vuota quello dell’allievo al maestro:
«L’horror costa molto e richiede attori seri e preparati. Ecco perché oggi vanno forte le commediole con praticanti alle prime armi. Una noia. Ti voglio tanto tanto bene, Sposami presto, La terza carezza, Il penultimo abbraccio…»
È lo stile Argento: diretto, ironico, tagliente quando serve.
«Fare paura è un’arte nobile. Il terrore si può ottenere con il sangue che schizza, ma anche con il silenzio. Diceva Alfred Hitchcock: “Fa’ vedere quattro persone che giocano a carte, poi inquadra una bomba sotto il loro tavolo pronta a esplodere e fa’ passare i minuti. Così si ottengono ansia e terrore”»
Regole auree a cui il leader dei Tiromancino ha cercato di attenersi scrupolosamente all’esordio nell’inquietante mondo delle pellicole da paura. Shadow mette al centro della trama la storia di David (Jake Muxworthy), un soldato americano in cerca di pace di ritorno dall’inferno iracheno.
Ma il viaggio rigenerante in centro Europa non andrà come auspicato. A rovinargli la vacanza e la vita interviene il lugubre Mortis, un essere mostruoso impersonato con rara efficacia dal mimo e attore Nuot Arquint (La passione di Cristo e Il divo). Rivela Zampaglione:
«Anche nella realtà Arquint è una creatura assurda, inquietante. Si muove in modo liturgico, sospeso nello spazio e nel tempo. È lui che lecca il dorso del rospo intriso di una sostanza allucinogena. Non è un’invenzione cinematografica, ma un rito sciamanico lisergico che si è tramandato nel corso dei secoli. Per non far correre rischi a Nuot, gli abbiamo fatto leccare un rospo meccanico, identico all’originale. Confesso che tutti sul set abbiamo avuto la tentazione di provare con quello vero. Ma ci siamo trattenuti, anche perché il rospo vivo era affidato in custodia a un “animalaro” che l’ha accudito dall’inizio alla fine delle riprese».
Nel grande gioco delle citazioni dei maestri, Shadow non manca di omaggiare uno dei momenti cult della filmografia del genere: la vittima costretta sadicamente a tenere gli occhi aperti mentre il carnefice libera le sue perversioni violente. C’è in Shadow e c’era in Opera, uno dei cult di Dario Argento, come rievoca il regista di Profondo rosso:
«Impedire a un uomo di chiudere le palpebre mentre prova terrore è un atto di violenza spaventoso. Per fare quella scena in Opera mi sono agganciato alle mie paure più profonde. Questo tipo di immagini Zampaglione ce le ha nel sangue. È un vero appassionato. Per questa ragione, oltre che per le sue capacità, considero Shadow un film ben fatto».
Al riconoscimento del maestro si aggiungono poi le ottime critiche raccolte nei festival internazionali, in Gran Bretagna, in Francia, in Argentina, e due premi (Miglior regista horror e Miglior sceneggiatura) conquistati di recente al Fantasy horror award di Orvieto.
«Ringrazio Dario che è anche un amico. Andiamo spesso insieme al cinema, però anche al ristorante giapponese. Ovviamente al cinema ci diamo appuntamento per visionare insieme le novità horror. È un’esperienza straordinaria, perché Dario non si scompone nemmeno quando tutti gli spettatori sobbalzano sulla sedia. Perché non ha paura, ma soprattutto perché ha inventato quasi tutto in questo genere di pellicole. Sa sempre che cosa sta per succedere e dove il regista vuole andare a parare»
Spiega Argento:
«Avvicinarsi da regista a questo genere significa calarsi in un universo parallelo. Non vivi all’esterno del film, ma dentro il film dall’inizio alla fine. Per uno come me, girare L’uccello dalle piume di cristallo o Suspiria è stato un viaggio totalizzante. Così totalizzante da mandarmi completamente in depressione alla fine delle riprese. Una volta ebbi anche strane tentazioni suicide. Io, con l’ultimo ciak, metto la parola fine al film. Anche perché non mi riguardo mai. Un paio di volte ho rivisto il mio lavoro in tv. Ma erano passati trent’anni»
È il mondo di Dario Argento, un uomo che, anche lontano dal set, ha i suoi tempi e i suoi riti. Spesso solitari:
«La solitudine è una benedizione. Non perdo tempo a verbalizzare, guardo molti film, leggo tanti libri e mi sento a mio agio. Per me anche la vacanza è un momento solitario. Ho fatto molti viaggi in India da solo. Camminavo e pensavo. Un tempo non condiviso con altri esseri umani è un’esigenza insopprimibile. Ho cercato di spiegarlo, non sempre con successo, anche alle donne che ho avuto nella mia vita. Ma ci tengo a dirlo, non è una scelta da depresso o da asociale. È il mio modo di stare bene»
A proposito di donne, spiega Zampaglione:
«Questa volta non ho coinvolto Claudia Gerini, la mia compagna. Era presente nel primo film che ho girato, Nero bifamiliare, ma non mi piacciono le coppie che collaborano in modo automatico. In ogni caso, questo film è a tutti gli effetti un family business: mio padre Domenico ha collaborato alla sceneggiatura, mentre mio fratello Francesco è la mente del progetto The Alvarius, l’entità musicale a cui ho affidato la colonna sonora del film. Le note che accompagnano le immagini sono ipnotiche, misteriose, a volte inquietanti. In questo genere la musica è fondamentale. Sbagliare colonna sonora significa danneggiare seriamente il film»
Ne sa qualcosa il maestro che, anche in questo campo, è stato un anticipatore servendosi spesso delle composizioni dei leggendari Goblin:
«L’ingrediente sonoro è stato scoperto negli anni Settanta. Io per primo, a un certo punto, ho sentito l’esigenza di rendere la musica protagonista. Fino a farla diventare quasi invasiva. Con le note si possono sottolineare situazioni e renderle quasi claustrofobiche. Le immagini fanno paura, ma anche i suoni non scherzano»
Paura, ansia, terrore: Shadow non risparmia nulla di tutto questo. Perché questo è l’immaginario cinematografico di Zampaglione da quando ha 10 anni:
«Io sono cresciuto con i fotogrammi spaventosi di Dario, ma anche di Lamberto Bava e Ruggero Deodato, il regista del leggendario Cannibal Holocaust»
Ma al di là delle citazioni e dei riferimenti ai grandi del passato, l’iconografia horror ha forti radici nell’immaginario e negli incubi di chi si mette dietro la macchina da presa, come spiega il cantante-regista:
«La vita fa paura. Io non riesco a togliermi dalla testa le immagini di una stanza delle torture del regime di Saddam Hussein. Gli aguzzini che segavano gli arti dei malcapitati che venivano interrogati avevano fatto piastrellare il soffitto in modo da poter rimuovere più facilmente le chiazze di sangue. Ecco, sono questi i dettagli che la mente rielabora e poi trasferisce nel film. Anche se io ho giocato più sulla suggestione e sulle atmosfere che sulla macelleria»
«È l’arte sublime della paura» chiosa Dario Argento. «Che chiama il sangue, ma solo nella giusta misura. Altrimenti, più che un film sembra di girare un’autopsia».
POI DAVINOTTATO IL GIORNO 16/05/10
Keoma, Blatt
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