Curiosità su La città dei mostri - Film (1963)

CURIOSITÀ

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  • Bergelmir • 1/05/13 22:32
    Galoppino - 211 interventi
    Dal saggio "L'Estraneo dietro lo schermo" di Stefano Mazza, in Studi Lovecraftiani n.4 (2007):

    "...La città dei mostri (The haunted palace) di Roger Corman del 1963, si inserisce formalmente nel ciclo dedicato a Poe dal regista, ma in realtà è tratto da The case of Charles Dexter Ward (1927), di cui restò l’unico adattamento fino a trent’anni più tardi, quando uscì The resurrected di Dan O’Bannon.
    L’esperto Corman riesce a girare, come suo solito a costo ridottissimo, un film adatto alle vaste platee dell’epoca, rimanendo tuttavia fedele alla poetica di Lovecraft e ricreando, primo fra tutti, il New England dello scrittore. La complessità e le sfumature caratteriali del protagonista Charles Dexter Ward presero vita grazie a Vincent Price, qui in un apice della sua carriera, il quale riuscì a sottolineare il passaggio dalla personalità di Ward a quella di Curwen con la sola mimica del volto.
    L’opera risultò elegante, innovativa e capace di offrire diversi livelli di lettura. Ne La città dei mostri, Arkham è innanzitutto un luogo anti-utopico ove dimorano le incarnazioni lovecraftiane della miseria e delle mostruosità umane: vi sono infatti i villici spaventati e superstiziosi, ma anche la loro progenie di deformi, storpi e degeneri, sia nel corpo che nella mente, che vengono tenuti nascosti nelle soffitte e nelle cantine. Sembra quindi che i figli di Arkham siano vittime della maledizione di Curwen, ma che nascondano anche una pesante eredità morale che è più antica dello stesso stregone e che cercano di nascondere a tutti i costi, divenendo in tal modo colpevoli e punibili quanto il mostro che hanno voluto condannare. La difformità, il monstrum che si è insinuato ad Arkham non è solo dovuto all’opera del malvagio Curwen, ma deriva piuttosto da una lotta che gli antichi cittadini, ottusi, ciechi e contrari ad ogni cambiamento, non seppero affrontare fino in fondo. Joseph Curwen in quest’ottica diviene il simbolo di un confronto mai avvenuto fra l’umano e il non umano, ma anche una freudiana figura paterna che suscita timore-odio e che non si riesce ad affrontare. E, come ogni conflitto non risolto, si ripropone in tutta la sua devastante gravità quando meno ce lo si aspetta, reclamando la considerazione che merita. Questa origine ambigua e assolutamente non manichea del male è un’idea tipicamente lovecraftiana, oltre che un tema estremamente moderno e profondo che Corman inserisce con efficacia e semplicità, attraverso allusioni, inquadrature fugaci, atmosfere sottili e pochi scambi di parole fra i personaggi."