Discussioni su Il nano rosso - Film (1998)

  • TITOLO INSERITO IL GIORNO 18/10/19 DAL BENEMERITO BUIOMEGA71
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  • Davvero notevole!:
    Buiomega71
  • Mediocre, ma con un suo perché:
    Myvincent

DISCUSSIONE GENERALE

1 post
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  • Buiomega71 • 18/10/19 10:52
    Consigliere - 25997 interventi
    Piccolo, delizioso, gioiellino che scalda il cuore e l'anima, una specie di Santa Sangre molto più intimista e delicato, dove crudeltà, possessione, amore, grazia, tenerezza, follia e l'impossibilità di essere normali si fondono in una fiaba grottesca dolce/amara, ritratta nel bellissimo bianco e nero di Danny Elsen, con scorci felliniani, umori lynchiani e riverberi browninghiani.

    Un inizio cupo e kafkiano (l'incubotico e desolato ufficio dove lavora Lucien L'Hottie, ometto di bassa statura circondanto da scherni e dal grigiore di una vita senza amore, con l'unica passione di costruire plastici per trenini) si dipana via via nella passione, nel delitto e nella follia, diviso tra l'amicizia pura e incontaminata di una piccola trapezzista e la lussuria di una maliarda vogliosa (la Anitona felliniana nella sua ultima interpretazione, sorta di ricchissima matrona in perenne fregola, che spegne le sue voglie con il nanetto innamorato, battezzato da lei "Il mio piccolo vibratore a quattro zampe", per poi gettarlo via come se fosse un bambolotto rotto)

    Le congiunzioni carnali tra il nano e la granny (talmente balzane da sfiorare il surreale) avranno un epilogo tragico, dove la gelosia diventa ossessione, per poi trasformarsi in omicidio, in una pantomima grottesca dell'Inquilino del terzo piano (il nano si trucca davanti allo specchio con fard e rossetto, si infila una parrucca bionda e i guanti bianchi da gran dame, et voilà Simone c'est moi) dando sfogo al suo delirio assassino, sotto gli occhi testimoni di un bellissimo gatto persiano.

    La varia umanità è a dir poco mostruosa (nei decadenti localetti tra prostitute lascive e volgari e derelitti) non dissimile da quella ritratta da Serge Gainsbourg in Je t'aime moi non plus e con quel gusto decadente e sofferto non poi tanto lontano da Passione d'amore di Scola, e solo nel circo , con la compagnia della piccola trapezista , l'ometto piccino picciò troverà la sua dimensione, in una chiusa finale di rara poesia e di splendente armonia.

    Le Moine (una vita passata da avventuriero tra mille mestieri, tra cui clown in un circo, che lo apparenta-non solo cinematograficamente-al vissuto di Tod Browning e Jodorowski, guarda caso) sottolinea il suo amore per la diversità, per gli emarginati e per gli spettacoli circensi (le gag , ora tristi, ora squallide, ora pietosamente divertenti, tra il nano e il gigantesco Bob ricordano quelle tra il mostro di Frankenstein e il nano Rinaldo de La sposa promessa), tra uomini/cane, clown malinconici e un ritorno all'infanzia tanto caro a certo cinema di Luigi Comencini.

    Nel mezzo di un'esistenza senza felicità, della passione amorosa che scatena emozioni violente, financo sgradevoli (la defecata sulla scrivania del direttore, la impudica prostituta che mostra , a tutti, il suo sesso pronto ad accogliere l'attimo fuggente, la sudata, burrosa e sculettante donnona delle pulizie) alla tenue, dolce e affettuosa amicizia con la piccola Isis, angioletto salvifico che regala emozioni e una chiusa speranzosa che è un toccasana per il cuore (meravigliosi i giochi di ombre che si stagliano sul tendone del circo, dal sapore poeticamente jodorowskiano, nel numero circense tra Isis al trapezio e il nano/clown).

    Le Moine visionario e sensibile maestro della grazia e del disturbante, che prende a modello i maestri ma con una vena propria autoriale che lo incastona tra i maggiori talenti del cinema belga.

    Pezzi musicali nostrani (La mosca mora come piacevole tormentone), il lusso nella villa della Ekberg (la gigantesca vasca da bagno, dove il nano perde le sue inibizioni), a comprare il regalo in negozio, dalla parrucchiera, al ristorante, sul taxi, sulla spiaggia a testa in giù, la firma con il sangue, la toccante sequenza del riflesso nello specchio del maestoso bagno, dove, per un attimo, si cela una tenue parvenza di "normalità" (una scena analoga c'era anche in Dietro la maschera, nella casa degli specchi del luna park) tutti tasselli preziosi che compongono questa piccola e soave perla, di stridente bizzarria, di dissoluta sgradevolezza, di raffinato lirismo e di calorose emozioni, di un cinema onirico e trasognato, surreale e grottescamente stilizzato, lontano dai canoni prestabiliti.

    L'angelica Isis resta nell'anima con la sua malinconica tenerezza.

    Straordinario tour de force attoriale per Jean-Yves Tual, un grande attore rinchiuso in pochi centimetri d'altezza con la faccia di Christopher Reeve.

    Per chi scrive entra di diritto tra i cult movie da custodire gelosamente.
    Ultima modifica: 18/10/19 21:45 da Buiomega71