Discussioni su Il disordine - Film (1962)

  • TITOLO INSERITO IL GIORNO 19/02/10 DAL BENEMERITO RENATO
  • Clicca sul nome dei commentatori per leggere la loro dissertazione
  • Capolavoro assoluto (e ce ne sono pochi!):
    Fauno
  • Davvero notevole!:
    Buiomega71
  • Quello che si dice un buon film:
    Renato, Daniela, Faggi, Zampanò
  • Non male, dopotutto:
    Lucius, Cotola, B. Legnani

DISCUSSIONE GENERALE

  • Se ti va di discutere di questo film e leggi ancora solo questa scritta parti pure tu per primo: clicca su RISPONDI, scrivi e invia. Può essere che a qualcuno interessi la tua riflessione e ti risponda a sua volta (ma anche no, noi non possiamo saperlo).
  • Lucius • 13/01/19 11:03
    Scrivano - 9063 interventi
    Si sa nulla della villa d'epoca di cui vi ho inviati il fg? Nemesi o chi per lui può provvedere? Grazie.
  • Nemesi • 13/01/19 11:20
    Disoccupato - 1657 interventi
    Lucius ebbe a dire:
    Si sa nulla della villa d'epoca di cui vi ho inviati il fg? Nemesi o chi per lui può provvedere? Grazie.

    Il film non ce l'ho. Possiedo solo un paio di fotogrammi di Milano e la villa non è tra questi.
  • Buiomega71 • 2/09/20 10:30
    Consigliere - 25934 interventi
    Rassegna estiva: Italian Graffiti d'agosto 

    Brusati è un Visconti in micro (la decadenza della villa, le inquietanti statue andate in rovina che circondano l'immensa magione, la suggestiva estetica delle immagini), che immerge il film in un atmosfera plumbea, fosca e algida, come la Milano notturna che avvolge gli irrequieti personaggi che gravitano attorno a questa Dolce vita milanese.

    Racconto suddiviso a incastri che sembrano tre episodi a se stanti, uniti dal deus ex machina di Renato Salvatori (eccezionale spettatore/vittima/emulatore del disordine immorale), che passa dai funerei festeggiamenti pre greenawayani (la portata del suino arrosto sul vassoio stile Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante) e olmiani (la servitù nelle cucine come avverrà in Lunga vita alla signora) nella casa dei ricchi borghesi dai choaroscuri tenebrosi (i fari della auto che si stampano sul volto spaventato della Valli, le grandi stanze, la follia del padre morente, la nebbia che circonda la villa alla Giro di vite), all'incontro con un suo compagno d'infanzia (Tomas Milian) in un girovagare notturno pre tobydammitiano tre le cupe notti milanesi fatte di nebbia e grigiore, per poi incontrare la propria madre in un desolante ospizio (di triste squallore, che anticipa la visita di padre Karras alla propria madre nella casa di riposo dell'Esorcista) e all'incontro con l'inquietante prete spretato di Wilson, che ospita nella sua tetra casetta varia fauna umana (tra cui un travestito) dedita al furto e alle orgette serali, fino alla agghiacciante, terribile e pessimistica chiusa finale, con le ruspe che radono tutto al suolo.

    Di mezzo la debosciata borghesia tra festini tristerelli, omosessualità e tentati stupri, dove brilla un Jean Sorel di prima grandezza.

    Brusati ha forte personalità profondissima, occhio esteta notevole e raffinati tocchi di regia (la notevole sequenza del flasback con Samy Frey appoggiato all'albero), riesce a imprimire la sua poetica e a scavare nel torbido di personaggi meschini e traviati, tra mantenuti, ragazzette raccatate di notte che prendono a calci pupazzetti e si concedono al primo venuto, l'umile casetta del dubbio prete trasformata in una specie di bordello (tra le equivoche signorine c'è Adriana Asti), vecchie all'ospizio corrose dall'invidia, gli squarci di una Milano desolata e alienata abbagliata dalle luci della notte, la decadenza della ricca borghesia milanese con il tarlo della pazzia e il puzzo di morte che si respira e allo stesso Salvadori che si inventa frottole su frottole dando dispiaceri a sua madre.

    Cinema livido, freddo, distaccato, lancinate quello di Brusati, fatto di deterioramento (dei sentimenti, delle relazioni interpersonali) con una vena crepuscolare che si appiccica addosso (come avverà, più avanti, con il suo capolavoro Dimenticare Venezia), che dopo un inizio noiosetto, riesce, pian piano, a avviluppare con un racconto moderno, quasi pre pulpfictiano, di tristi destini e misere vite che si incrociano.

    Ottima (e di gran fascino) la Luadi nel ruolo della moglie di Sorel (che svetta su tutti), così come è intensa la Strasberg nei panni della figlia addolorata per la malattia del padre, la Valli sul baratro della follia, Wilson sudaticcio e inquieto finto prete che non si sa bene se sia un filantropo o un laido guardone, un Salvatori miserissimo arrampicatore sociale da quattro soldi e Milian cinico omosessuale di comodo.

    Brusati già colpisce duro, non esente da attimi lascivi dai riverberi morbosi, che risalta il suo gusto elegante e al tempo stesso dimesso e di declinante vecchiume che odora di necrosi, dove sia l'aristocrazia (immorale) la borghesia  che i "poveri cristi" sono vittime dei loro vizi e delle loro poche virtù.

    Bellissima Inge Milton nei panni della ragazza facile abbordata da Milian.

    Disordine emotivo e squilibrio esistenziale, per un opera spietata e amarissima, antitesi della solarità (Brusati riesce a imprimire la desolazione dove Maselli, con Gli indifferenti ha fallito) di uno dei più sottovalutati autori del nostro cinema che fu.




    Ultima modifica: 2/09/20 13:24 da Buiomega71