Robusto cinema classico americano (dagli echi decisamente fordiani) quello di Sinise, che guarda al respiro malickiano dei grandi e sterminati campi, alle praterie agli acquitrini silenziosi, immersi nella suggestiva fotografia di Kenneth MacMillan (che un semplice televisiore non le rende giustizia), all'atmosfera afosa e sudaticcia che si respira sotto il peso della post grande depressione.
Forse un pò didascalico e abbastanza prevedibile nella sceneggiatura, ma pervaso da una narrazione ferrea e quasi eastwoodiana, dove Sinise si rifà al concetto più puro di cinema, facendo leva sui sentimenti di amicizia e regalando attimi di vera commozione.
Grandissimo cast attoriale (l'enorme e ritardato Lenny di Malcovich ha riverberi quasi elephantmaniani, la malinconica silfide provocatrice della Fenn sembra uscita da un melodrammone kazaniano degli anni 50 e il bastardissimo Curley di Siemaszko è un puro concentrato di frustrazione, sociopatia e cattiveria) e un funesto anticipo al dramma che si seguirà (Lenny nel fienile con la moglie di Curley e i capelli accarezzati) non poi dissimile da quello che scatenerà i brutali villici di
Cane di paglia
Tra cacce all'uomo, cuccioli morti (sequenza davvero straziante), un cane moribondo giustiziato (lo sparo alla nuca finale , ai bordi del fiume, ne ripercorre le orme, in una tragicità epica quasi rituale) e le continue istigazioni sessuali della Fenn (che porteranno all'irreparabile) danno a questo terzo adattamento dell'opera steinbeckiana un ariosità da tragedia greca mista a barlumi da western.
Toccante l'incontro tra Lenny e il nero Crooks (lo scemo e il negro emarginato) e scoppi di improvvisa violenza (il pestaggio di Lenny da parte di Curley, la mano di Curley stretta nella morsa della forza incontrollabile di Lenny, che nemmeno
La mosca), fanno di
Uomini e topi un film denso, doloroso, vibrante, che tocca i nervi più scoperti dell'emotività.
Sinise sugli scudi (sia come attore che come narratore) e quel finale , tra i boschi , in riva al fiume, che arriva come una fucilata.
Rivedendolo oggi, ci si rammarica che non sia divenuto un classicone degli anni '90 (come altri titoli ben più blasonati, ma molto meno acuti e appassionati), immerso com'è nella più pura e incontimanata tradizione di quel cinema americano ormai perduto, tanto semplice quanto emotivo.
Impeccabile la ricostruzione storica, tra fieno, sudore, pulsioni sessuali (da antologia Lenny che si tocca appena vede , per la prima volta, la moglie di Curley), lacrime, sangue e disperazione.
George non mi farà più tenere i conigli