Branagh senza l'amato Shakespeare (ma non sarebbe la prima volta), che rifà l'ultimo capolavoro mankiewicziano, a lui congeniale, perchè il teatro e il bardo li ha comunque nel sangue, divertendosi a mettere in piedi un beffardo, cinico e perfidamente giocoso thriller sui generis, dove i ruoli si ribaltano, le prospettive cambiano, lo spettatore viene continuamente manipolato e preso in giro, sommerso da dialoghi fiume spesso deliziosi, a volte asfissianti, che non sai mai se è una gara di bravura attoriale tra Caine e Law oppure un macabro scherzo tra due uomini che si attraggono e che si seducono con la scusante di farsi le forche per una donna (che non si vede mai se non in fotografia) venale e oppurtunista (almeno a sentire loro).
Caine vira più verso il cinismo perverso e sottilmente crudele del Leslie Nielsen dell'episodio di
Creepshow che non al Laurence Olivier dell'originale (con in più poco simpatiche stoccate sull'ignoranza degli italiani, quando Law le domanda come mai il suo ultimo best seller non è stato tradotto in italiano), Law più vicino all'Alexander DeLarge di
Arancia meccanica che nemmeno a Caine da giovane playboy, la villa hi-tech sembra quella del remake di
Quando chiama uno sconosciuto con diavolerie elettroniche alla
Generazione Proteus, e, a differenza dello squisito gioiello di sua maestà Mankiewicz, si vira verso territori omoerotici ben poco velati, con un'aperta seduzione gaya tra Caine e Law, con il primo che, alla fine, lo invita a diventare il suo amante con proposte allettanti, e il secondo che fa la "gattina" (o la puttanella) seducendolo sfacciatamente, fino ad una chiusa inaspettata quanto fulminante (con l'arrivo della donna contesa in automobile, che, come da copione, non vediamo mai in volto).
Branagh si aggira tra marchingegni sofisticati, riprese attraverso vetrate e monitor, esercizi di stile registici quasi depalmiani (la straordinaria ripresa dall'alto nell'incipit, con l'arrivo di Law alla villa e Caine che lo accoglie), improbabili detective, pantomine di furti di collane, "io sono te, e tu sei me, ma adesso tu chi sei? Sono ancora te, ah, no, adesso io sono io e tu sei tu", finte uccisioni, umiliazioni continue che fanno rimpiattino (Law se la fa letteralmente addosso dalla paura, Caine beffato e costretto ad indossare i preziosi gioielli da donna, la proposta omosex, l'invito a fare da amante mantenuto, "Toglimi le mani di dosso", "Frocio!") e un delizioso cinismo nei pungenti dialoghi serrati.
Livello di turpiloquio e imprecazioni volgarissime, poi, davvero sorprendente che non ci si aspetta dal raffinato autore di
Hamlet, per di più con Jude Law che tira giù un bestemmione (non credevo alle mie orecchie, tanto che ho dovuto tornare indietro per risentirla) quando la scala , con cui si attrezza per entrare dal tetto per rubare la collana, sotto la direzione auricolare di un divertito e sadico Caine, cade rovinosamente di sotto rischiando di cadere.
Ultimo, ma non meno importante, lo straordinario score di Patrick Doyle e la seducente fotografia di Haris Zambarloukos, che regala tracce di cinema argentiano nei meravigliosi cromatismi.
Piacevole e dilettevole cinema teatrale a due perfetto per Branagh, dove l'originale rimane insuperato, ma ci si diverte senza troppi rimpianti.