WESTERNALIA: L'ESTATE SELVAGGIA DELLO SPAGHETTI WESTERN
Ben curato scenograficamente, dialoghi e comparto attoriale sopra la media del genere (da segnalare l'avvocato di Franco Abbiana), una certa ricerca visiva nella fotografia del dileiano Franco Villa e diretto nemmeno malaccio da un regista che e passato dai corsari neri spencerhilleschi, dal decamerotico sino all'erosvastika.
Purtroppo, però, il film và in vacca quasi subito, con gag bambinesche che lasciano il tempo che trovano (Garko che si intrufola, durante un inseguimento, nella stanza di una battona, i battibecchi alla Totò e Peppino tra l'avvocato di Abbiana e il giudice di Alfredo Rizzo), risse insopportabili da oratorio alla Bud Spencer/Terence Hill (quella in riva al fiume, tra bifolchi che si menano dalla mattina alla sera-motivo?-sarebbe degna di cialtronate alla
Noi Non Siamo Angeli di Gianfranco Parolini)
Poca azione e molte chiacchiere (snervante il pagliaccesco processo a Kinski, così come l'asta degli oggetti personali della prostituta uccisa), macchiette da commediaccia alla Cicero (l'improbabile reverendo di Giancarlo Prete, che delira su sermoni e versi della bibbia che manco un invasato), nonchè Garko (che vive in una villa oasi con tanto di pupe al suo servizio) che prende lezioni di judo da un maestro da operetta
Più dalle parti di Tresette e Provvidenza, che un vero e proprio "western selvaggio", con aggiunta della virata nel "thriller" francamente penosa e ridicola (l'inizio in soggettiva argentiana del delitto della ragazza messicana e tanto inutile quanto messo lì un tanto al kilo)
Di buono (poco, in verità), rimangono la simpatia di Garko (con pistoletta nascosta sotto l'ascella), gli sguardi torvi e il continuo sbraitare di Klaus Kinski (da solo vale il film) e un finale kinskiano-con sorpresa-che regala qualche sussulto, anche se il film, ormai e bello che finito.
Violenza ai minimi termini (lo scontro finale, nella stalla, tra Garko e l'assassino incappucciato alla
Città che aveva Paura o alla
Venerdì 13 parte seconda, si risolve nella solita scazzotata, e l'identità dell'omicida e di una banalità sconcertante), indolore e baracconesca.
Peccato, perchè il titolo faceva ben sperare, ma più che morte, qui, si vende fumo.