Pacato, poetico e documentaristico affresco del mondo contadino bergamasco di fine '800, la cui ragion d'essere è il lavoro nei campi, la lotta contro le avversità meteorologiche, il matrimonio, la procreazione, la continuità, la fede religiosa. Il brutale squartamento (previa tortura) in diretta del maiale a fini alimentari non ha nulla da invidiare, in termini di crudeltà e realismo, a quanto farà Deodato in Cannibal Holocaust.
Tra le opere migliori del cinema italiano degli anni '70, L'albero degli zoccoli è un imponente affresco dell'Italia contadina del nord italia, ben conosciuta dal regista. Il film è impregnato di religiosità derivante dalla vicina osservazione dei riti della civiltà delle campagna, fatte di lavoro, sacrifici ed onestà di fondo non intaccata (o quasi e forse è questo uno dei limiti del film) da sentimenti e caratterizzazioni negative. Olmi dimostra come si possa fare un grande film adoperando l'umiltà del quotidiano.
Un bellissimo film, che consente di fare un tuffo nel passato di quasi 120 anni. Olmi è riuscito nell'impresa di fare un film quieto, avvolgente e persino commovente senza grossi picchi emotivi, soltanto lasciando parlare le immagini; i dialoghi davvero importanti, tutto sommato, sono pochi. Notevole anche l'utilizzo delle musiche di Bach e Beethoven. Tre ore che passano in un batter d'occhi, a mio avviso.
Tre ore in un altro mondo: il nostro, un secolo fa. Olmi racconta la quotidianità, aspra e dolce al tempo stesso, di alcune famiglie di contadini bergamaschi di fine 800, scandita dalla fatica, dalle preghiere, dalle veglie nel pagliaio e da eventi "sconvolgenti": un bambino va a scuola, una mucca ha un malore, un maiale è ucciso, due ragazzi si sposano, un padre fa uno zoccolo al figlio... Si rimane ammaliati dal mondo dei nostri bisnonni, ormai perduto, e dalle emozioni semplici e profonde. Eccezionali gli attori non professionisti.
Fedele narrazione della vita agreste di alcune famiglie bergamasche sul finire del 1800. Poeticamente impeccabile, mostra con attenzione la vita, le sofferenze e le attività contadine. Un chiaro omaggio a quell'umile mondo fatto con delicatezza. Nonostante la lunga durata, la visione scorre in modo dinamico.
Capolavoro di rurale bellezza con cui Olmi ci riporta indietro nel tempo di 100 anni, nella realtà campagnola alto-lombarda. I ritmi naturali, le usanze, la comunità contadina, tutto ci viene illustrato nella maniera più fedele e aderente possibile. Tre ore di genuino ed autentico documentarismo, interamente dialogate in bergamasco, tra volti vissuti ed induriti ed episodi di vita agreste perduta. Un'opera, interpretata da sola gente di campagna, che scorre via tutto d'un fiato, placida e perfetta. Caso unico ed irripetuto di "cine-dagherrotipo".
Il misero “dramma” di uno zoccolo rotto (posseduto da uno scarno bambino figlio di contadini) fa da cerniera narrativa ad episodi basati sull’umile vita quotidiana di alcuni braccianti nella bassa bergamasca alla fine dell’800. A prima vista potrebbe sembrare banalmente un film sugli usi e costumi di una zona d’Italia, in un tale periodo storico; in realtà è anche un racconto ricco d'umanità e di metafore, ma anche la denuncia dell’assurdità del barbaro potere di pochi e del lavaggio del cervello della chiesa nei confronti dell'ignorante plebe.
MEMORABILE: La moneta trovata per terra da un contadino e nascosta nel residuo di sterco nella zampa d'un cavallo.
Siamo catapultati nella bassa bergamasca di fine '800, in un mondo assolutamente lontano dai giorni nostri. Narra la dura vita di alcune famiglie di contadini alle prese con un padrone esigente e senza scrupoli. Il tutto girato con attori non professionisti (per rendere ancor più veritiera la storia) e recitato in dialetto bergamasco. Mai un film ha reso in maniera così viva la cruda vita dei contadini assoggettati al padrone. Intenso e crudele.
Ermanno Olmi alle prese con un'opera fiume sulla condizione contadina delle campagne bergamasche verso il finire dell'800, quando i "terroni" erano al nord (cosa di cui evidentemente s'è persa memoria). Con assoluto realismo vengono raccontate e rappresentate abitudini, aneddoti, storie, belle e difficili, con lo stile di un pittore accorto. L'intento è di non dimenticare il nostro passato semplice, duro, rurale, di poco più di un secolo fa.
L'opera ha intrinsecamente quel qualcosa di magico, perché Olmi con enfasi e lirismo raffigura tutti quegli episodi della vita contadina che appartengono alla tradizione popolare e rurale della mia famiglia. La facile comprensione dei dialoghi ha reso la visione ancora più partecipata ed empatica. Olmi ci regala delle immagini semplici, ma allo stesso tempo connotate da un forte impatto etico e morale. Opera della serie "per non dimeticare". Grande esempio di cinema.
Olmi, maestro di semplicità anche nella scelta del cast. Un film da far vedere nelle scuole. La nostra storia passata recente raccontata in punta di piedi da un grande del nostro cinema. Sembra di guardare da una finestra e spiare un mondo appena scomparso. Poesia visibile.
Sinfonia antropologica di candida emozione e sofferenza, poesia rurale durissima e di struggente partecipazione. L’occhio di Olmi si addentra nel quotidiano dei contadini, un secolo fa. Piccoli gesti e tradizioni per ritrovare e conservare fratellanza e altruismo, stenti e povertà da combattere ora dopo ora mantenendo orgoglio e dignità, fede e religione come principale speranza e comunicazione tra individui e infine l’amore come collante esistenziale e punto di ripartenza anche nelle situazioni più terribili. Toccante e autentico.
MEMORABILE: La mamma che confessa al figlio la proposta del prete e il figlio risponde: "Lavorerò giorno e notte, ma i miei fratelli rimangono in casa nostra".
La veridicità è sorprendente: la vita di campagna nel bergamasco di fine Ottocento era probabilmente tale e quale a quella mostrata e la regia registra il tutto con una tecnica invisibile ma efficace, lasciando affiorare con pacatezza l'intrinseca poeticità di ambienti, azioni e personaggi. Tre ore però sono troppe (specialmente senza sottotitoli) e svanito l'iniziale senso di magia non rimane che attendere trepidanti ciò che esula dalla routine contadina, che sia un matrimonio, un maiale macellato o la bellezza di Francesca Moriggi.
La vita quotidiana in una cascina lombarda di fine '800, fra la difficile condizione dei contadini, le dinamiche interne alle famiglie e le tradizioni della comunità; il tutto sullo sfondo delle stagioni che si susseguono. Olmi dipinge più che filmare, lasciando scorrere le immagini nel seno di natura pervasiva, dai colori umidi e terrosi, dando vita a un mondo sopravvissuto fino a qualche decennio fa (chi può lo veda con un genitore o un nonno) ma che ha ancora molto da raccontare. Tre ore che sembrano una sola scena ininterrotta.
MEMORABILE: La madre e il prete sotto la neve; Il fiasco riempito al fiume; L'abbattimento del pioppo.
Monumento del cinema italiano, compendio del costume lombardo (ma estendibile anche a buona parte del settentrione) e denuncia del potere, pur senza veicolare messaggi politici (a differenza, senza far nomi, dell'analogo Novecento). Gli attori funzionano tutti, paradosso se si pensa che trattasi di esordienti. Grande intuizione del regista immortalare, in un affresco, ambientazione e caratteri oggi forse non più reperibili. Enorme sensibilità autoriale dietro a varie scelte, vedi lo studio del personaggio del nonno.
Gruppo di famiglie condivide una cascina a fine '800. Cronaca di un anno nelle campagne, dove tutto ruota attorno al lavoro e le stagioni scandiscono i tempi. Ritratto che, togliendo il lato documentaristico, trasmette perfettamente la vita d'allora e ce ne fa partecipi. Musiche che danno solennità alle vicende come per sottolineare il lato evangelico a cui gli adulti tendono, anche se la Chiesa forse approfitta di una certa ingenuità e ignoranza. Finale che dimostra l'ampia forbice esistente tra il volgo e chi ha i mezzi.
MEMORABILE: Il venditore di tessuti; Gli zoccoli fatti a mano; I racconti serali; La luna di miele in convento; I primi pomidori.
Olmi rinuncia a pathos e artifici drammaturgici per lasciare che le immagini scorrano e trasportino con la propria forza suggestiva in un microcosmo contadino fatto di umiltà e dedizione al lavoro. Impeccabile nel ricrearne i liturgici dettagli e accarezzare i protagonisti con un lavoro fotografico e linguistico sapiente. Una successione di quadri, odori e suoni che sembrano disegnati dalla mano di Millet. Un mondo estinto nei quali si nascondono teneri e irripetibili segni di modernità.
MEMORABILE: Lo sgozzamento del maiale; I bambini che giocano/lavorano nel cortile; La festa del villaggio.
È come guardare dal buco della serratura e scoprire un altro mondo, spiandolo per tre ore e assaporandone ogni particolare. Certo, ogni tanto ci si annoia, ogni tanto c'è qualche momento lento, ma è suggestivo assistere allo svolgersi di un mondo che non c'è più, avvolto in un'atmosfera senza tempo, mostrato magistralmente da Ermanno Olmi. Attori presi dal mondo contadino, alcuni più espressivi di certi attori moderni. Ci sono anche un paio di scene molto crude. Film pesante, inutile nasconderlo, ma tra quelli che ha mostrato gli umili e i vinti è senz'altro uno dei migliori.
È possibile salire sulla macchina del tempo e assistere a uno squarcio di vita passata? Sì, con Olmi si può. Ricostruzione dalla verosimiglianza sconcertante del mondo rurale padano, scandito dal ritmo delle stagioni e dai rintocchi delle campane. Una classe contadina rassegnata alla propria condizione, schiacciata tra il fatalismo della natura e la volontà di Dio. Poetico e spietato, semplice ma solenne come una sonata di Bach. La sublimazione dell’essenza di Olmi: scuoterti con la semplicità umana, non filtrata dalla finzione attoriale, ma gustata direttamente alla sorgente.
MEMORABILE: Il nonno e i pomodori; La macellazione; L'approccio di Stefano a Maddalena; Il racconto del terrore di Batistì; La carità per lo storpio; I bambini.
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Markus ebbe a dire: Almeno qua in Lombardia, negli Anni ’80, L’ALBERO DEGLI ZOCCOLI fu un film proposto nelle scuole elementari e medie a scopo didattico, sia per mostrarci com’era la vita di campagna nella nostra Regione nell’800, sia per motivi pedagogici/sociologici/cristiani di cui il film è ricco.
Per quanto mi riguarda, la pellicola mi fu fatta visionare “forzatamente” almeno quattro volte nel corso di quel decennio da diversi insegnanti, ed in più nelle messe in onda televisive in casa era “d’obbligo”. Un vero e proprio “tormento” sia per me, che per migliaia da ragazzini lombardi nati negli Anni ’70 che certamente avevano gusti orientati verso film meno impegnati (per esempio i Bud & Terence-movie!), ma si sa, la scuola è “una barba”; oltretutto - almeno nel milanese - non ci si poteva identificare più di quel tanto, anche in virtù d’un accento dialettale (il bergamasco) che, seppur vicino geograficamente, non ci appartiene assolutamente.
Visto in tenera età è più che comprensibile che possa provocare nei poveri ragazzini fenomeni di orchite acuta o narcolessi a lento rilascio...
Io lo vidi per la primissima volta una decina di anni fa, avevo 16/17 anni e da pugliese ultra-doc devo ammettere di essermi innamorato quasi istantaneamente di quel dialetto così ostico ma anche interessantissimo da decifrare (facendo corrispodere i sottotitoli con gli eventuali vocaboli captati).
Credo di averlo anche commentato e se non l'ho fatto rimedierò al più presto.
Un capolavoro.
DiscussioneDisorder • 18/11/10 17:50 Call center Davinotti - 380 interventi
Grandissimo film,ho la fortuna di poterlo vedere in "lingua originale" essendo bergamasco. Splendida regia ma anche grande aderenza a quella che era la realtà contadina almeno fino agli anni 50-60.
Certo quando lo vedevo coattivamente a scuola mi annoiavo e basta,ma è uno di quei film che da bambini è impossibile capire!
Non posso che confermare che si tratta di un ottimo film, ovvio. Tra l'altro io adoro Olmi anche come persona: dalle interviste che gli hanno fatto e che ho visto, si vede che è una persona davvero squisita e di rara intelligenza.
Disorder, quindi anche te "vittima" negli 80's delle proiezioni scolastiche ;)
DiscussioneDisorder • 18/11/10 21:53 Call center Davinotti - 380 interventi
Markus ebbe a dire: Non posso che confermare che si tratta di un ottimo film, ovvio. Tra l'altro io adoro Olmi anche come persona: dalle interviste che gli hanno fatto e che ho visto, si vede che è una persona davvero squisita e di rara intelligenza.
Disorder, quindi anche te "vittima" negli 80's delle proiezioni scolastiche ;)
Io nei '90 ma è la stessa cosa! Visto sia alle elementari che alle medie,oltre che in famiglia dove questo film è un istituzione
Anch'io "vittima" di proiezione scolastica (nell'anno della sua uscita).
Se non erro il film uscì in doppia versione: con dialetto stretto (e sottotitoli)e con dialogo italianizzato (ma senza sottotitoli). A meno di clamorosi errori di memoria io vidi quest'ultima versione (a Savona) ma la comprensione dei dialoghi risultava difficile ugualmente .
Luigi Ornaghi interpretò solo tre film. Il primo è questo, poi fece una parte in Ratataplan di Nichetti e infine partecipò alla versione hard del film di Olmi ("L'albero delle zoccole") del 1995. In tutti e tre i film il nome del suo personaggio è Batisti.
Zender questo l'ho messo anche senza immagine perchè non ce n'erano, Il mese prossimo in arrivo flani preziosi. Seguirò la stessa logica, se per te va bene.
DiscussioneZender • 20/09/22 17:34 Capo scrivano - 47787 interventi
Sì, diciamo che senza immagine sono un po' tristi, ma in questo caso ci sono più frasi da leggere ed è interessante comunque. Se è solo il tiolo e una frasetta evitiamo.