La donna, il sesso e il superuomo (Fantabulous) - Film (1968)

Un pilota viene rapito da Beethoven (ebbene sì), un industriale nazistoide che dietro il paravento dell'azienda Fantabulous progetta la fabbricazione del superuomo... Follia satirico/fantapolitica scritta dal non ancora girotondino Furio Colombo: ultra-pop d'epoca, fra riferimenti alti (Alphaville, Stranamore; Wilhelm Reich; Roy Liechtenstein) e bassi (i fumetti di Alex Raymond, di Batman, della Marvel; la pubblicità), effettacci, deliranti filastrocche. Una vera leccornia per gli aficionados.

Filmetto sui supereroi, mascherato da film di spionaggio italiano degli anni 60, con un Adolfo Celi più fumettistico che mai. L'idea di un film, fatto di rime, immagini a fumetti, psichedelia, personaggi bizzarri è buona, solo che nel 1967 era troppo presto per poterla apprezzare, come si conviene. I film di supereroi in Italia erano quelli de "I tre Superman", goliardate a basso prezzo pieno di scazzottate, senza contare i vari "Ursus", "Maciste" ed "Ercole". Richard Harrison è simpatico.

Fumettistico e bizzarro. Possono piacere costumi e colori, nonché i volti ben simpatici del "lui" e della "lei" (l'ex moglie di Lemmon in Non per soldi... ma per denaro), oltre, ça va sans dire, il grande Celi. Il film però procede a strappi, con trovate lessicali che troppo spesso non funzionano, perché sono pochissimi i proiettili delle molte raffiche che vanno a segno. Meglio la parlata "alterata" di D'Arpe, che spara anche un labronico "ardenza" al posto di "ardore". Guardabile, ma con non poca fatica nella seconda parte. Curioso cast di contorno: Bagolini, Fiermonte, Dominici, Furia...

Convulso, sgargiante, ironico, rimato fumetto pop inserito in un preciso contesto socio-culturale italiano (condizionamenti mediatici, massificazione, piani eversivi e totalitari); qui tuttavia trionfa ultimo l’ottimismo. L'onnipotente superomista Beethoven di Celi – che entra in scena sulle note della Quinta sinfonia - anticipa il suo ing. Nosferatu di Hanno cambiato faccia; all’action-man Harrison si affianca la sprintosa e innamoratissima West e si contrappone la balbuziente Fabre, entrambe alquanto belle e sensuali. Non accreditato, Giuseppe Castellano appare nei panni del falso benzinaio.

Un uomo viene forzatamente condotto in una clinica svizzera per essere trasformato... in un superuomo! L'opera di Sergio Spina insegue il filone pop/bizzarro di fine Anni '60 aggiungendoci qualche metafora a favore della "contestazione" allora in voga. L'idea in sé poteva funzionare, ma la regia è assai scarsa e i contenuti non riescono quasi mai ad avvincere lo spettatore, con il risultato di una forma di tedio abbastanza grave per tutta la durata. Lo stuolo di attori e l'estetica di quegli anni può in ogni caso suscitare un interesse.

Difficile da inquadrare questa fanta-commedia, in cui si mescolano elementi tipici della sci-fi anni '60 (la paura dei computer, la corsa agli armamenti di URSS e USA) con quelli della comicità surreale (la signorina che si esprime solo in rima, lo scienziato che distorce tutte le parole). In questo delirio, non privo di un certo fascino, si staglia il solito gigantesco Adolfo Celi, che riusciva a nobilitare qualsiasi ruolo affidatogli. Eccentrici i costumi, ma anche le scenografie, peccato per la morale un po' sempliciotta sull'amore che manda in tilt la tecnologia.

Specchio deformato dell'epoca: Bond-mania, pop-art, variazioni space age del peplum (con laboratori al posto delle grotte) e immancabile morale politica sulla corsa all'armamento tecnologico (anche militare) e sulla natura (filosofica e insieme fumettistica) del "super-uomo". Si parte con un mix tra la spy-story e l'allegoria fantascientifica à la ...Hanno cambiato faccia ma poi l'intelaiatura, pur contando su trovate gustose (specie quelle lessicali, che anticipano blandamente lo lingua nadsat dei drughi), si sfilaccia nella seconda parte, facendosi faticosa. Caleidoscopico.

Film tipicamente anni '60, con la sua atmosfera pop e colori sgargianti. I pregi, più o meno, terminano tutti qui (anzi no, non bisogna trascurare la presenza di un attorone quale Adolfo Cieli); e quello che resta è una storia oltremodo demenziale. Stupisce come la povera Judi West sia passata in soli due anni da Billy Wilder a questo prodotto di serie Z. Comunque se si ama un certo tipo di cinema italiano si può dargli un'occhiata, visto che, pur con mille limiti, ha il pregio di non annoiare.