Insolito film sul dramma dei matrimoni, i divorzi, le truffe e i divorzi-truffa, LE SETTE VIPERE è stato fortemente voluto da Vincenzo Cascino, produttore italo-argentino che visse in prima persona le tristi vicissitudini raccontate nel film e che infatti pretese di esserne il protagonista soffiando il posto al previsto Walter Chiari. E la sua è un'interpretazione sofferta, che stravolge l’impianto da commedia per virare nella tragedia personale nonostante intorno a lui, e si vede, il cast reciti come se si trattasse di una commedia. L'azione si svolge quasi per intero a Buenos Aires, dove Lorenzo (Cascino), ingegnere, vive con la moglie (Lisa Gastoni). Convinta da alcune amiche civettuole (le sette...Leggi tutto vipere del titolo) e da un avvocato poco serio (Umberto D’Orsi) a divorziare per ottenere metà dei beni e degli immobili, la donna fa passare a Lorenzo giorni d’inferno. Il finale è in Italia, dove hanno un breve sketch Franco e Ciccio (non più di cinque minuti), che nelle parti degli avvocati divorzisti Franchi e Ingrassia (quale fantasia!) cercano di allontanare ancora di più i due coniugi. E’ l'unica - brevissima - parentesi comica, con i siciliani sugli scudi a confermare che presi in piccole dosi possono da soli risollevare un film. La regia di Renato Polselli (avvezzo a ben altri generi, dal poliziottesco al gotico) è sempre indecisa sulla direzione da dare al film e suo malgrado produce un ibrido a tratti quasi affascinante, surreale. Certo la sceneggiatura (scritta da Polselli, Cascino e Milo Panaro), non è delle migliori, ci sono molte pause, ma bisogna ammettere che l'interpretazione di Cascino è sentita e il film ci guadagna, riprendendo in modo bizzarro la tradizione agrodolce della classica commedia all'italiana. Aroldo Tieri fa una comparsata (è Barbichian).
Ibridissimo. Dramma familiare con frequenti, non funzionanti cadute nella commedia (D’Orsi, Bonucci e, nel finale, Franchi e Ingrassia), che creano dissonanza irrimediabile. Il protagonista, Cascino, ci crede (leggo che è autobiografia), ma non può compensare la sua incredibile rigidità. Brutto, ma da condanna non assoluta grazie a Lisa Gastoni che, in tal massa, pare la Hepburn: risicato *½. Le scene di Buenos Aires sono di repertorio. Ho l’impressione che il giardino della casa italiana di Cascino sia lo stesso di Delirio caldo...
Farsa su matrimonio, divorzio e affidamento dei figli girato in modo negligente e approssimativo, nonostante l’utilizzo di un bianco e nero piuttosto elegante. A Polselli riesce invece bene mostrare il nutrito personale femminile – Gastoni e Fabrizi in testa, peraltro anche assai spigliate, specie la seconda – in atteggiamenti discinti. L’unico, brevissimo sussulto si avverte nel finale con Franchi e Ingrassia nei panni di loro stessi in versione avvocati.
Confusa parabola, presentata come ispirata da fatti reali - "modificati qualora le circostanze lo rendano opportuno" - sugli effetti delle "unioni civili", valevoli in questo o quel paese. Sposare una donna, grazie ad avvocati quali Bernasconi (un esilarante D'Orsi), significa vedersi espropriare di ogni avere. Le separazioni civili, i figli ("madre certa est, padre non sapet", come chiosa l'avvocato Franchi in vece di "mater semper certa est, pater numquam") e tematiche delicate vengono tratteggiate da Polselli in maniera risibile quando non surreale. Maschilista e un tantino disonesto.
MEMORABILE: L'incredibile cambio di rotta del marito, con destinazione Uruguay, onde evitare il "sequestro" dello yatch.
Vorrebbe essere un dramma ma si rivela una farsa. Troppe le cose che non vanno e diverse volte il regista raggiunge alte vette di ridicolo: il licenziamento in tronco di tutta la fabbrica solo per fare un esempio. Polselli tratta temi importanti ma avrebbe dovuto farlo in altro modo. Così la "denuncia" e gli intenti sociali ed ideologici vanno a farsi friggere. Anche sul piano filmico nulla da segnalare. Quasi
un disastro ma almeno si lascia seguire senza pesantezze.
Dramma sul divorzio (o meglio sulla mancanza, all'epoca, di una legge che lo regolamentasse) che parte da pretese di lucidità modernista per scoprire presto tutto il suo risentimento misogino (motivato a quanto pare dall'autobiografia del produttore/protagonista). Non convince appieno nemmeno la tematica kafkiana anti-burocrazia, che insegue il gusto del paradosso e si risolve con l'intervento comico degli avvocati di parte civile Franchi & Ingrassia. Da vedere come documento d'epoca, a suo modo unico.
MEMORABILE: Il siparietto (limitato a un breve sketch) di Franco e Ciccio.
Pessimo film di Polselli; vorrebbe essere un'amara parabola sulle unioni coniugali; mescola in realtà senza molto ritegno e un pò disonestamente toni farseschi e melodrammatici, derivandone un polpettone indigeribile. La regia è dilettantesca e riesce a rendere mediocre un cast sulla carta discreto. Inguardabile.
Una pellicola toccante nel narrare la storia di questo ingegnere defraudato dalla moglie che sfrutterà la legge a proprio vantaggio. Cascino ha incredibilmente un viso adatto alla vicenda e ha pure una recitazione spontanea. Fra l'altro la vicenda risulta attualissima visti i casi di padri che fuggono con i loro figlioletti. Fantastico D'Orsi nei panni di un avvocato abbastanza subdolo. Cascino dopo il film si butterà nello spionistico, Polselli dirigerà tutt'altro genere di opere. Comparsata random di F&C: specchietto per le allodole?
Qui il genio Polselli dà una spiegazione alternativa a quel che sarebbe successo 50 anni dopo. Sicuramente esagera a sommergere di negatività la Gastoni (altro che 7 vipere al suo interno: non basterebbero mille cofanetti di aspidi a colmarla!), ma è chiaro che se per questioni risolvibili una donna nella realtà fa questo e altro e pur di dire l'ultima parola e non perdere neanche un centimetro a suo favore si cimenta perfino nelle balle più assurde, difficilmente un uomo reagisce come il bravo Cascino, indipendentemente dalla crisi economica.
MEMORABILE: "O è fedele, o è pauroso, o è invertito"; Il giudice "non nato" e "senza casa"; Le seduzione di Adriana.
L'ambaradan comincia dopo una didascalia dove si avverte lo spettatore che sta per assistere a fatti reali opportunamente modificati. Va bene, concediamolo, ma sarà il fantasioso, secondo un punto di vista farsesco, a prevalere. Il prodotto ha molti motivi di interesse se si pensa agli sviluppi del cineasta Polselli poiché, in nuce, contiene alcune sue ossessioni future: visive (la donna), dialogiche (l'insistenza sul voler veicolare un messaggio) e tecniche (disinvoltura e scapestratezza nell'uso del mezzo).
La messa in scena cinematografica fa a pugni con il contenuto ultimo di tutto il film. Comunque è un dramma quello che succede e non serve mascherarlo per non renderlo quantomeno palpabile, con tutte le conseguenze del caso. Polselli gioca a suo modo, con le carte truccate e al termine si arriva un po’ disorientati e magari rattristati, più che divertiti. Attori anche in parte e qualche presenza da vera serie A rendono forse ancora più straniante l’effetto di questo poco classificabile prodotto del tempo che fu.
MEMORABILE: Considerazioni e ragionamenti sul tema della validità del matrimonio fatto in luogo, riconosciuto o meno in un altro.
Incredibile pastrocchio che lancia nel mondo del cinema Vincenzo Cascino, italo-argentino all'origine di un vero e proprio delirio cinematografico con Polselli complice. Qui il cast non sarebbe neanche male (la Gastoni cinica, la Fabrizi oca giuliva, Bonucci Tieri e D'Orsi in parti comiche, Franco e Ciccio con il loro nome), ma la sceneggiatura è pasticciata, il film è troppo incerto tra commedia e dramma familiare e Cascino proprio non funziona.
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B.Legnani ebbe a commentare nelle note: L'incredibile licenziamento telefonico collettivo (due secondi).
Assurdo.
E che dire del cambio di rotta - con destinazione Uruguay (vedi trailer) - sullo yatch, per evitare il sequestro dello stesso?
Roba in perfetto Polselli-touch...
P.s.
sulle note di una didascalia allucinata ("il film che si dice ispirato a fatti reali, modificati a seconda delle necessità") compare il sottotitolo "Il maschio latino", lasciando intendere, a mio parere e da come si chiude il film, una certa misoginia di fondo, presente nella pellicola.
Secondo Marco Giusti, che cita una testimonianza di Solvi Stubing, è il film che ha fatto fallire Vincenzo Cascino, che voileva raccontare i ricatti che gli aveva fatto la ex moglie.
Fonte: Marco Giusti, tutti i film di Franco e Ciccio, Bloodbuster edizioni