Dalla cover con i soliti faccioni dei ragazzi alla
So cosa hai fatto (in questo caso, poi, buttati lì a casaccio, che come sfondo una la poveracciata degli occhi rossi minacciosi presi dal clouseiano
Occhi nella notte), tipica degli slasheretti post
Scream dei primi anni 2000, mi aspettavo l'ennesima boiata distribuita dall'infausta Mediafilm, foriera di straight to video usa e getta sullo stile David DeCoteau.
Al di là di tutte le aspettative negative, Rodnunsky cerca di fare qualcosa di più (e di diverso) che il classico horroretto slasher per teenager.
Quello che sembrava una sottospecie di clone di
The slayer, durante la narrazione muta in qualcosa di bizzarro, surreale e curioso, che prende di mezzo il mito del Wendigo (o del bigfoot), abusi sessuali sui minori, patrigni molestatori visti come gli orchi delle fiabe, ragazzi innamorati che diventano una specie di mutante alieno agli occhi della final girl, regressioni fanciullesche sullo stile del
Profumo della signora in nero, follie femminee e disturbi della personalità, paura incondizionata di ogni essere di sesso maschile, camere di contenzione, camicie di forza, e un rimpiattino tra realtà, fantasia, incubo e stati di allucinazioni che rasentano la schizofrenia.
Rodnunsky rimescola le carte e le regole del genere, parte con un'ipotetica intelaiatura sul "mostruoso uomo delle nevi" (lo si vede poco, i primi piani della bavosa bocca dentata spalancata, che corre tra gli alberi, che zompa risibilmente addosso a Stacy Keach, che spia tra i cespugli, e da uno diventano due, e da due un'intera comunità), per poi virare su altri lidi, delle menti devastate di bambine abusate (Kerry da piccola sull'altalena, l'orrido patrigno che la spia, che entra nella sua cameretta e fa cadere la palla di cristallo, il tentare di sfuggirle mentre le gambe stanno ferme-come, appunto, negli incubi- la confessione della bimba alla madre sul patrigno che "la tocca", il patrigno stesso che fa un macello uccidendo la donna e sparandosi in testa, Kerry sul divano dello psicanalista che và a ritroso fino all'infanzia, Kerry chiusa in una stanza imbottita con la camicia di forza, lei ragazza che vede sè stessa bambina in un cortocircuito mentale che porta alla follia) e del terrore di qualsiasi uomo, che viene proiettato o come un orco zannuto o come un essere selvaggio e mostruoso che vive tra i boschi innevati.
Rodnunsky incasina gli eventi, crea confusione narrativa e destabilizza lo spettatore, tanto che poi, alla fine, non riesce nemmeno lui a trovare il bandolo della matassa e a sbrogliare l'inghippo spaziotemporale, finendo per concludere in modo affrettato, sconclusionato, abborracciato, disconnesso e incasinato, ripartendo da "come tutto ebbe inizio" in una coazione a ripetere assai dubbia.
Peccato solo che la confezione sia televisiva e approssimativa, gli SFX del wendigo piuttosto miserelli, il body count poveristico (la primitiva lancia piantata nella testa del vice sceriffo è quasi da comica) e il tasso di violenza ben sotto la media (a parte i corpi insanguinati dei due fidanzati appesi all'albero).
Così come sono odiosi e monodimensionali i personaggi (la Kerry di Suzanne Davis è semplicemente detestabile) dove si salva solo il grande Stacy Keach nel ruolo del professore.
Rodnunsky bazzica pure il survivor movie alla
Le Colline hanno gli occhi (cultissima la sequenza in cui la Davis si toglie e si strappa i jeans usandoli per salire su una pianta lungo le rapide) usufruendo delle splendide location montanare californiane.
Terribile il flashback con i due ragazzi rimasti bloccati tra le strade montuose innevate e incidente che ne segue, il ridicolo indiano menagramo e le urla assordanti dei bigfoot.
Ma in mezzo a tanto pressapochismo ci sono dei barlumi geniali da non sottovalutare, che elevano il prodottino dalla media di questo tipo di pellicole, con una inusuale voglia di fare "qualcosa d'altro" che non il risaputo slaheretto da discount.
Pur con tutti i suoi palesi difetti ha in sè qualcosa di sorprendente e particolare, qualcosa che va al di là delle regole standarizzate.
Non male lo score di Jeff Walton
In fin dei conti
The Barrens gli deve non poco, e anche
Identità ne sembrerebbe, in parte, debitore.
Tra il marasma della loffia new horror di inizio millenio, uno dei titoli sicuramente più curiosi che, almeno, tenta di distaccarsi dalla convenzionalità e che non lascia del tutto indifferenti.