Il vero mistero è cosa voleva dire effettivamente Lussanet (pittore astrattista prestato al cinema), in questo sgangherato e bislacco fellaution dalle suggestive location (le isole norvegesi) ma dalla trama confusa e abborracciata, in un limbo sospeso tra onirismo e romanzo d'appendice andato a male.
Rutger Hauer (fresco dei trascorsi verhoeviani) è un misterioso galantuomo che si installa in un paesino norvegese dopo il suicidio di un giovane per amore. L'uomo, che non si sa bene chi sia e cosa voglia, comincia a sedurre le dame del luogo (la Kristel che non si spoglia ma dà una buona prova attoriale dopo
Il margine e la Tushingham già con lo sguardo spiritato alla
Morte non sa leggere), beccandosi un due di picche da entrambe. La prima lo usa solo per la sua frivolezza, la seconda non prova nulla per lui se non compassione.
Il povero Hauer perderà così il senno, tra momenti visionario/fiabeschi (di sculto il racconto favolistico della dama del castello e il mostro, una via di mezzo weirdissima tra
Fantaghirò e le immagini flou/patinate/oniricizzanti di Just Jaeckin, dove Hauer-in un nudo integrale-si getta senza pudore in un balletto che manco
Il flauto magico) cani rabbiosi, improbabili proposte matrimoniali, l'amore/odio che prova verso la Kristel (ma lei , da scafata Emmanuelle se ne frega, prendendolo per il bavero, civettando per non dargliela manco morta), e nel delirio della febbre (la rabbia contratta dal cane?) si mette ad abbaiare , a perdere la trebisonda fino al gesto estremo.
I dilemmi dell'amore non corrisposto? La perfidia femminile della seduzione solo per l'egoistico piacere di provare la propria bellezza sugli uomini? Una metafora sull'impossibilità di amare e di essere amati? Un apologo fiabesco e trasognato sul rifiuto della persona amata?
Emblematica la sequenza in cui la Kristel ( novella Carmilla) lecca e succhia la mano ferita ( il morso del cane) di Hauer, mentre lui ( da provetto conte Dracula) le ciccia il collo e la palpeggia ( da navigato sporcaccion)
Difficile dire cosa avesse in testa Laussenet in questa curiosa operazione tanto visionaria quanto scriteriata
Parecchio noioso, con momenti che girano a vuoto, indeciso sul registro di narrazione da prendere (dramma, fantasy), in un mix balzano che tira in ballo certo cinema di Herzog e di David Lean, con scorci fantastici alla Jean Cocteau.
A parte alcune sequenze fuori dal mazzo (il nano umiliato e deriso alla locanda in stile
The Elephant Man, l'acido gettato in faccia per vendetta), barlumi estetizzanti (la Kristel vestita di rosso con cappellino e ombrellino che si aggira, come un fantasma, per i sentieri di montagna) e la suggestione fiamminga della fotografia del grande Robby Müller, per il resto si respira un'aria stantia da
La figlia di Ryan incrociata con chincaglierie surreali da quattro soldi.
Pazzesco il cast (Hauer, Kristel, Tushingham, Ferreol, Rappaport) e vedere Hauer con l'eterna espressione da cane bastonato fa un certo effetto.
Terribile il commento sonoro di Laurens Van Rooyen.
Un oggetto strano, rimosso, sfuggente, sconclusinato, strampalato, che vale più per il cast messo insieme che nemmeno per la storia che propone (vedere l'eroina dell'erotismo duettare con il futuro androide Roy Batty non ha prezzo)
Per cultori di oggetti bizzarri o per fan irriducibili del duo Kristel/Hauer (ocio che però l'ex Emmanuelle rimane pudica quanto gelida).