Finito in carcere dopo una rissa per difendere la moglie, Pete ha la possibilità di tornare in libertà operando come agente sotto copertura. Film con il protagonista che si finge un’altra persona per incastrare il solito, pericoloso criminale, se ne sono viste a iosa, il che indica scarsa originalità. Nonostante ciò, la pellicola si lascia guardare con piacere, con una prima parte che procede leggermente con il freno tirato e una seconda prettamente carceraria in cui l’azione e la violenza entrano prepotentemente in scena garantendo sicuro svago.
Finito in carcere per un omicidio durante una rissa, un ex reduce del Golfo ne è uscito diventando informatore per FBI ed infiltrandosi in una gang di spacciatori. Al momento di incastrare il boss, qualcosa va storto... Piacevole sorpresa questo mix tra il criminale ed il carcerario che non racconta nulla di nuovo ma lo racconta con un ritmo che concede poche pause fino a diventare stringente nelle concitate sequenze finali. Film senza tante pretese ma solido, ben confezionato e con un cast sfruttato a dovere, a partire dallo svedese Joel Kinnaman ormai del tutto americanizzato.
Un thriller poliziesco che diventa un “prison movie” nella seconda parte. Dopo Escobar il regista Di Stefano conferma il suo talento dirigendo un film certo non originale per la storia che racconta, ma ben realizzato e segnato da una tensione crescente e da un approccio visivo molto realistico, dove la violenza non è gratuita ma finalizzata alla storia raccontata. Joel Kinnaman è un protagonista convincente. Buono il doppiaggio italiano. Buon film di un regista promettente.
Era facile cadere nel già visto ma Di Stefano sa rimescolare le carte con bravura garantendo un ottimo ritmo. Nonostante una girandola di personaggi e di intrecci non indifferente in cui il protagonista, interpretato da un valente Kinnaman, deve continuamente saltellare tra il ruolo del gatto e del topo. Validi anche gli altri attori del cast e la scelta delle location. Buono e avvincente nella seconda parte.
Qualche vuoto narrativo e qualche scelta contro logica non inficiano un prodotto che mantiene le aspettative fino alla fine e ha il pregio, per nulla scontato, di saper miscelare più generi restando comunque convincente e credibile in ogni sua parte. La buona regia e il discreto cast aiutano sicuramente una sceneggiatura che proprio una novità non è. Kinnaman si dimostra attore di sufficiente caratura e dimostra di potersi caricare sulle spalle il ruolo di interprete principale come già successo con Robocop. Owen poco più di un cameo ma comunque funzionale. Pike sui soliti standard.
Nulla di nuovo ma di robusto intrattenimento, a metà tra le storie di talpe e infiltrati e un dramma carcerario. Il regista sa gestire bene i tempi e così la storia fila via liscia, con una seconda parte tesa e veloce. Kinnaman è un buon protagonista, convincente, mentre gli altri lo seguono in ruoli di contorno in cui sembrano tutti calzare a pennello. Fotografia un po' televisiva.
Fa piacere vedere un regista italiano impegnato in una produzione internazionale, arricchita da qualche nome altisonante nel cast, a maggior ragione in un genere che il cinema italiano sembra purtroppo aver abbandonato. Peraltro il buon Di Stefano assolve il suo compito anche con sufficiente disinvoltura. A non entusiasmare semmai è la sceneggiatura, che assomma tutti gli stereotipi del poliziesco con infiltrati e del dramma carcerario, senza riservare particolari sorprese in nessuno dei due fronti, come dimostra la scontatezza dell'epilogo consolatorio.
Di Stefano esprime un ineccepibile serietà nel suo approccio al genere, costruendo il film senza ammiccamenti cinefili o strizzatine d'occhio allo spettatore. Atteggiamento che conferisce all'opera una struttura equilibrata e una tensione di realismo che, se paga pegno, in non pochi momenti, al ritmo e alla adesione emotiva, permette però sempre una visione asciutta e per così dire "responsabile". Non convincono fino in fondo la cesura carceraria e la coppia di poliziotti (Pike/Owen). Intenso e affilato Kinnaman, la De Arnas lavora di cliché e determinazione, Common di misura.
La mafia polacca, gli scontri tra polizia e FBI, una prigione che sembra un girone infernale e un poveraccio contro tutto e contro tutti solo per essersi fidato. Un thriller che mette insieme molte cose già viste, ma lo fa con grande classe e con un perfetto senso del ritrmo. Andrea Di Stefano, scoperto con L'ultima notte di Amore, dimostra di saper dirigere molto bene e di scrivere belle storie.
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