Ciò che l'occhio non vede-L'introspezione della visione.
Corman e la teoria del "vedere oltre", ovvero arrivando a scrutare cosa c'è al di là, sino a "toccare" il divino, un enorme buco nero con un'occhio che ci guarda tutti.
Ancor oggi godibilissimo (la "spectarama" le dà quel retrogusto naif così vintage, che è insieme nostalgia e incubotici stati di allucinazione progressiva), che non perde un grammo del suo fascino.
Fuori dal ciclo poeiano, il guru del b-movie sembra anticipare i temi lisergici del
Serpente di fuoco e le visioni "accecanti" di Milland presagiscono i viaggi all'LSD che arriverano di lì a poco.
Impreziosito da momenti puramente geniali (la festa dove tutti, sotto gli occhi birbaccioni di Milland, ballano nudi il twist-con carrelata sui piedi -e le donne sono senza veli, le macabre visioni scheletriche, gli occhi di Milland che acquistano pian piano un colorito innaturale, fino a diventare due palle nere senza luce), la prosa cormaniana si ammanta di meraviglioso e di inquietudine, passando dal classico tema dello scienziato pazzo e della sua invenzioni, arrivando ai fenomeni da baraccone browninghiani (evocativo Milland , in abiti esoticheggianti, con una benda sugli occhi, che ritrae un occhio ciclopico, dove farà venire i brividi ad un giovane- e sbruffone- Dick Miller doppiato da Ferruccio Amendola), fino alla puntata del casinò a Las Vegas (da antologia quando Milland viene smascherato e le vengono strappati gli occhiali da sole) per arrivare al prefinale alla pre
Punto Zero (la folle corsa in auto on the road, seguita da un elicottero), alla chiusa agghiacciante e apocalittica (Se il tuo occhio ti offende, strappalo), che si ammanta di echi religiosi, di follia, di disperazione, sfociando nell'horror tout-court, tra i più belli e allucinati di tutta la SF sessantiana.
Il VEDO ANCORA, VEDO ANCORA, dopo che Milland si è strappato via la sua dannazione (come farà, più avanti, nella stessa situazione di condanna nel "vedere troppo oltre", Harvey Keitel nello struggente
La morte in diretta), pensata da Corman all'inizio, avrebbe dato al film un aurea ancor più nichilista e terrificante, ma anche così rimane un'epilogo che difficilmente si scorda.
La ragazzina con il cuore malato, la lite in sala operatoria tra chirurghi, la laidezza dell'imbonitore, la ragazza con la gamba rotta, il vagare di Milland per le polverose strade del Nevada, con quegli occhi mostruosi e la luce che le procura un martirio indicibile, la tenda con gli "invasati" religiosi, il peccato da estirpare, il macabro stop frame finale.
Tutti punti salienti di un piccolo gioiellino, parecchio avanti per i suoi tempi, e molto meno ingenuo di come appare a prima vista (e di certo cinema fantascientifico delle annate 50/60-salvo rare eccezioni-), con punte cattive e feroci inusuali per l'epoca (la salvezza, per il povero Milland, non è contemplata).
Cultissimo l'incipit, con un occhio enucleato che si staglia a tutto schermo, e che poi fluttua in una specie di teca fumosa.
Cronenberg si ricorderà della scimmietta cavia per
La mosca e Forbes riprenderà gli occhi neri nel terrificante finale della
Fabbrica delle mogli.
Forse , e con poche riserve, uno dei migliori film firmati Corman e straordinario Milland, sfortunato filantropo ad un passo dallo svelare l' esistenza divina prima del castigo.
Quanto darei per un pò di buio, perchè , ormai, la visione maledetta surclassa le palpebre, tormenta e angustia, fino alla drastica (e inevitabile) scelta conclusiva.