Rassegna estiva: Melò d'agosto-Un'estate melodrammaticamente melodrammatica
Intensissimo dramma teatrale (o teatro filmato), girato tutto nell'arco di un solo giorno e quasi tutto in interni (se si escludono le poche scene fuori dalla casa a inizio film), dove Lumet, con cipiglio spietato e feroce, ritrae un gruppo di famiglia in un micro inferno.
Un film attoriale (mostruosi i quattro interpreti, ma la Hepburn ruba la scena a tutti) dove Lumet dà un saggio di straordinaria regia (fluidi e repentini movimenti di macchina e una chiusa finale da pelle d'oca, dove il regista di
Serpico allarga l'immagine, con i quattro seduti al tavolo e la Hepburn ormai completamente impazzita, fino a mostrare il set teatrale, in una dimensione tra l'incubo e la finzione.
Il nido familiare si trasforma in un covo di serpi, pronti a sputarsi in faccia cattiverie, crudeltà, spietati ricordi che affiorano prepotentemente, figli odiati e al contempo amati, genitori messi in croce, fallimenti e malattie, in un gioco al massacro di tagliente perfidia.
La Hepburn regala un personaggio perduto e dannato, una morfinomane dai tratti spettrali, maschera grottesca di mater terribilis quasi incestuosa nella sua possessività, sorta di grandma da gran guignol, che delira di suntuosi abiti da sposa, di voti monacali, di figli morti e mai voluti, delirando, urlando, piangendo e ridendo, nella quintessenza del melodramma più viscerale, scendendo le scale come se fosse il fantasma di sè stessa, mostruoso ritratto della pazzia muliebre, quasi una versione casalinga della Gloria Swanson di
Viale del tramonto.
Tra padri taccagni, un pò troppo attaccati alla bottiglia, figli tubercolotici e falliti, madri drogate fino all'osso , il ritratto familiare lumetiano prende i tratti di un decadente e putrido horror dei sentimenti, dove la meschinità e la spregevolezza sono parte integrante di questo nucleo familiare assai disfunzionale.
Nonostante sfiori le tre ore, il film tiene botta (si scade nel tedio quando si tira in ballo Shakespeare e i trascorsi attoriali del padre di famiglia) e quando è in scena la Hepburn si fanno faville.
Da sottolineare la sequenza in cui, dopo un'ennesimo sproloquio indotto dalla morfina, la Hepburn si getta a terra sul tappetto, ai piedi della goffa governante, che si infila una terribile scarpetta nera bassa antistupro al piedino.
Già dai titoli di testa (un sole cocente su sfondo bianco) Lumet dà già la dimensione del disagio e dell'atmosfera allucinata.
La parola "puttana" viene ripetuta più volte (siamo nel 1962) e a sentire Lumet è una delle sue opere a cui è più legato.
Certamente non il suo miglior film , ma un pregevole kammerspiel cinico e perfido, che terrà bene a mente (in contesti coniugali) Mike Nichols per
Chi ha paura di Virginia Woolf?
Inquietante e penetrante la partitura al pianoforte composta da André Previn.
Nella minirecensione dell'
Ovomaltin si affibbia alla Hepburn il ruolo di fumatrice di marijuana(!), in realtà è una morfinomane.