FALSI D'AUTORE-Perduti e ritrovati
Bizzarra fiaba/horror lituana che parte benissimo (l'ade dipinto che prende vita, tra orge, crocifissoni e bambine nude, una via di mezzo tra i furori russelliani e gli estetismi fiammeggianti greenawayani, l'incipit arrabaliano con Vita bambina pronta per un bagno bollente a base di schifose blatte che sbucano da ogni dove, la modella nuda con il falco, Vita che si specchia in uno stato onirico tra Borowczyk e il Jaromil Jireš di
Fantasie di una tredicenne)
Poi, tra incubi con ragnacci in stop-motion (nella teca mentre combattono e si imbozzolano, nella camera da letto di Vita, che fanno capolino dalla tenda, per arrancare sul soffitto-in stop-motion-, finire nel letto e raggiungere dimensioni consitenti da SF anni 50) o aracnidi giganteschi e pupazzosi alla stregua del
Tarantola di Arnold, che amoreggiano zulawskianamente nel lettone con Vita completamente nuda (naif gli SFX, ma nemmeno realizzati malaccio), il film svacca scimiottando l'horror d'oltreoceano.
Il pittore maledetto che entra negli incubi della giovane (e all'occorrenza si muta in ragnone) altro non è che una sottospecie di Freddy Krueger solo un pò più sporcaccione e il finalone nella sauna (il combattimento con il prete, che scade nel comico involontario) usa e abusa di stilemi cari al cinema esorcistico, prendendo di peso tutto l'armamentario del (de)genere, con lotte corpo a corpo, trasformazioni e battute slasher.
Nel mezzo di location campagnole che ne risaltano la bellezza lacustre e boschiva, si cita pure il nostro fulcione nazionale del periodo (quello dei fine anni 80) con corpi che si liquefano e schizzano liquami nauseabondi, nonchè mutazioni yuzniane/cronenberghiane da body horror da discount, con il ragnone antropomorfo (sempre negli incubi della ragazza) che assume gli osceni tratti della
Cosa bottiniana.
Sempre in bilico tra il trash e il cinema d'autore più raffinato (la fotografia è curatissima e dispensa meraviglie quasi argentiane), la prima e unica opera dello scenografo lituano Vasili Mass e un balzano incubo ad occhi aperti, che negli intenti dovrebbe essere un'allegoria orrorifica sulle pulsioni sessuali di una ragazza virginea (il simbolo del ragno come peccato e lussuria) ma che vira nei lidi della scoppiazza dell'horror tradizionale tra trasformazioni, spizzichi gore e l'eterna lotta del bene contro il male
Spesso noioso, a volte ridicolo (scultissima la sequenza in cui il rude e barbuto tuttofare caccia la lussuriosa linguaccia alla Fantozzi appena vede Vita), quà e là confusionario, speziato da squarci pittorici potentissimi, ma che scivola nella banalità più becera quando tenta di assestarsi alle regole dell'horror più tradizionale.
Un bislacco connubio dove risalta il talento visivo (non comune) del suo regista, che all'inizio sceglie il registro para-jodorowskiano, per poi abbracciare la narrazione del "monster movie" alla stregua di un William Malone qualsiasi.
Sconsigliato a chi soffre di aracnofobia.